Painstation – Il lato doloroso del retrogame | Passione Arcade

Questa settimana la nostra macchina del tempo ci trasporta nell’ormai lontano 2001: mentre il mondo stava accoglieva la mitica PlayStation 2, Volker Morawe e Tilman Reiff decidevano che era giunto il momento di far provare del dolore fisico ai gamers. Come? Ma con la Painstation, che domande!

copertina passione arcade painstation

Secondo voi un videogioco può far male?
Probabilmente alcuni di voi avranno annuito leggendo questa domanda, altri no, ma fidatevi, alla fine di questo articolo scoprirete che i videogiochi possono fare male, in maniere che neanche immaginate.
Adesso però fatemi dare un po’ di contesto per farvi entrare nel mood di questo articolo un po’ diverso dal solito.

Di recente mi è capitato di vedere il video di un giornalista che seguo da un po’ sui social, che ha raccontato di aver lanciato un joypad contro la parete di casa sua e di averlo rotto.
Questa reazione è stata causata da un passaggio particolarmente complicato all’interno di un famoso videogioco noto proprio per la sua spiccata difficoltà.
A mio parere forse una reazione un po’ eccessiva, ma non difficile da comprendere.

Dopotutto, quante volte abbiamo battuto i pugni sul control panel di un cabinato arcade (si, parlo al plurale perché sono sicuro di non essere stato il solo a farlo).

In fin dei conti la rabbia fa anch’essa parte della rosa di emozioni che vengono risvegliate da questo media e spero che fin qua siate d’accordo con me.
Tuttavia ho sentito dire da una madre relativamente giovane (direi sulla quarantina), che preferirebbe non far giocare ai videogiochi suo figlio sedicenne, “perché lo fanno arrabbiare, e non va bene…”.

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Ecco, forse dopo questa affermazione inizierete a friggere un pochino, cosa che a me è successa piuttosto velocemente, infatti quella che ne è seguita è stata una discussione in cui ho cercato di far capire alla giovane madre che il videogioco in quanto strumento ludico e comunicativo, non può lasciare sopite emozioni come rabbia, felicità o tristezza.

Insomma, si ritiene accettabile inveire contro una squadra di calcio perché perde, ma non possiamo arrabbiarci se il nostro cavaliere manca l’appoggio e precipita giù da un burrone facendoci perdere tutti i bonus ottenuti sino a quel momento? VERAMENTE??

Con un videogioco è possibile emozionarsi fino a piangere, arrabbiarsi perché le cose non sono andate come volevamo noi oppure semplicemente divertirsi e ridere con gli amici mentre ci si sfida a Mario Kart o a Street Fighter II. Tutto questo è videogiocare, non credete?

Capcom Arcade Stadium:STREET FIGHTER II - The World Warrior -
Una sfida che dovrebbe sembrarbi famialiare… Ryu vs Ken in Street Fighter II

Ovvio, prendere a calci la televisione oppure passare con il tagliaerba sopra i dischi dei giochi come si vede in alcuni video su internet, può non essere considerato sano, ma se ci si limita a reazioni meno violente tutto torna ad una dimensione ragionevole e se vogliamo terapeutica.
Mi piacerebbe dirvi che dopo questa chiacchierata l’opinione di quella madre sia cambiata, ma ahimè ne dubito.

Adesso però è giunto il momento di parlarvi di un altro aspetto che riguarda i videogiochi, il dolore e la sfida che questi offrono... A inizio articolo vi ho fatto una domanda, ed è giunto il momento di dare una adeguata risposta, alla Mike maniera, ovviamente.

Per rimanere  sul tema spie e agenti segreti, come nell’articolo dedicato a Rolling Thunder, voglio riportarvi alla memoria un videogioco che si vede nella pellicola dedicata a 007, Mai dire Mai.
Ricordate? Si tratta di una pellicola che ha come protagonista Sean Connery e come Bond girl Kim Basinger, tra l’altro nel cast recita persino un giovane Mr.Bean.

Nessuna descrizione della foto disponibile.

In questa film erano presenti diversi videogiochi arcade, anche perché alcune scene erano girate in un casinò, alcuni reali come Centipede della Atari (vi invito a recuperare la pellicola e ad individuarlo), altri creati apposta, come quel simulatore olografico con una caratteristica molto particolare.

Ogni colpo inflitto nel gioco provocava al videogiocatore del dolore reale.
James Bond stesso dimostra una buona resistenza infliggendo dei danni all’avversario durante una partita.
Ricordo benissimo la sequenza in questione, anche perché essendo sempre stato appassionato di videogiochi, appena ne appariva uno in televisione la mia attenzione veniva subito catalizzata.

Che oggetto futuristico quel videogioco, talmente futuristico che pensai a lui come ad una astronave di Guerre Stellari, si insomma roba da fantascienza, chi mai creerebbe una cosa del genere?
Ecco, tutto questo poteva anche essere vero, prima del 2001, ovvero prima della creazione della PainStation (sì, Pain, non ho sbagliato a scrivere)!

Arriva la Painstation!

Arte, esperimento sociale, mera provocazione? Probabilmente tutte e tre le cose contemporaneamente.
painstation

Questo particolare videogioco nasce dalla mente di due studenti universitari della accademia di Arti Mediali di Colonia, Volker Morawe e Tilman Reiff.
L’idea di partenza era quella di creare un videogioco in grado di oltrepassare i confini tra gioco, arte e dolore.

Per prima cosa era necessario scegliere un videogioco semplice ma al contempo che offrisse un buon livello di sfida, in grado di risvegliare lo spirito competitivo. Qualcosa tipo… PONG per esempio (cliccate qui per saperne di più). Dai, tutti sappiamo giocare ad un gioco del genere, l’unica regola? Fare goal nel campo avversario muovendo in alto e in basso delle “racchette” digitali.

Ora la parte più divertente (onestamente questo dipende dai punti di vista, LOL) era capire come provocare dolore al giocatore e in quale misura.
Immaginatevi un arcade tipo cocktail, un tavolino rettangolare con lo schermo piazzato in mezzo, uno spinner per ogni giocatore posto sul lato destro (per chi non avesse idea di cosa sia uno spinner, immaginatelo come la manopola del volume di un stereo) e una piastra metallica su cui appoggiare la mano libera sul lato sinistro.

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Il cuore della Painstation risiede proprio nella piastra posta sul lato sinistro della postazione di gioco, infatti attraverso di essa verranno inflitte delle punizioni fisiche al giocatore.
Il funzionamento è tanto semplice, quanto crudele: un sensore sentirà la presenza della mano del giocatore chiudendo un circuito, togliere la mano dalla piastra causerà la sconfitta immediata.

Potreste quindi domandarvi perchè si debba voler togliere la mano da quello strano supporto… beh, perché a seconda del tipo di handicap che andrete a toccare con la vostra pallina digitale, il vostro avversario subirà una piccola scossa, una scottatura dovuta al surriscaldamento della piastra oppure una “frustata” di un cinghietto rotante.

Un esperimento fuori dal comune?, una provocazione? forse, ma è sorprendente l’accoglienza che il pubblico ha riservato a questo singolare cabinato arcade. Quella che doveva essere una “semplice” installazione oggetto di studio di due laureandi si è trasformata in un vero e proprio fenomeno mediatico, tanto da essere installata anche in luoghi differenti dal contesto accademico, ne fecero richiesta addirittura in club e LAN-Party.

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Probabilmente il successo della Painstation è dovuto ad una base di masochismo che abbiamo noi giocatori nel cercare di superare le sfide, magari per semplice goliardia o per amore del rischio proprio come nel film di James Bond citato prima.

Ad ogni modo ho mantenuto la promessa fatta ad inizio articolo, vi ho fatto scoprire (se già non ne avevate sentito parlare) che un videogioco può anche causarvi dolore, fisico!
Come giustificate il successo di un esperimento del genere? ci fareste una partita? ma soprattutto chi vorreste sfidare? (direttore facciamo un doppio?)
In attesa di leggere le vostre risposte non mi rimane che ricordarvi una cosa, ovvero che io, sono Mike! e vi do appuntamento al prossimo articolo di Passione Arcade sempre e solo sulle fantastiche pagine di MegaNerd.it!

 

chiusura passione arcade

 


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Arcade Mike

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Io? sono Mike! cresciuto a pane e videogiochi non perdo occasione per infilare qualche monetina in un vecchio cabinato arcade facendomi rapire dalla storia che queste macchine sono ancora in grado di raccontare.

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