In questo speciale proviamo a ragionare sulla seconda stagione di Tredici (13 Reasons Why), per capire cosa non ha funzionato rispetto alla prima serie
A distanza di un anno, la serie che ha smosso pesantemente critica e fruitori facendo un vero e proprio boom, si ripresenta sugli schermi Netflix con la seconda stagione che, a differenza della prima, proprio non va: analizziamo i perché partendo dalla trama.
Ci eravamo lasciati con la storia di Hannah Baker, una ragazza presa di mira dai bulli della sua scuola così tanto da portarla al suicidio. Prima di morire lascia, però, dei nastri a Tony, un giovane della sua scuola, che ha il compito di distribuirli ai responsabili che l’hanno costretta all’estremo gesto: ognuno riservato ad una persona diversa (tranne il caso di Justin Foley, che è presente in due), contenente un motivo diverso. Ebbene, i nuovi fatti si svolgono dopo la tragedia, raccontano il processo che vede contrapposte la scuola e la famiglia della vittima e le testimonianze degli studenti della Liberty.
Probabilmente il prodotto è stato realizzato per farci sentire anche le ragioni di chi è stato accusato all’interno delle cassette, ma il primo grande problema che si nota in modo palese, è che molte situazioni probabilmente non erano state contemplate prima dagli sceneggiatori, bensì sono state realizzate in corso d’opera. La conseguenza naturale di ciò è che il personaggio di Hannah ne esce totalmente svilito e demolito. L’esempio più lampante è quello di Zach: scopriamo, dalla sua testimonianza, che ha avuto il primo rapporto con lei. Ora, questo personaggio ha già un file dedicato, è “colpevole” di averle rubato un biglietto dalla cassettina scolastica. Perché mai, viene da chiedersi, non viene nominata questa vicenda, com’è possibile che la giovane sia stata scossa più da un foglio nascosto, che dall’essere stata usata? Veniamo, inoltre, a sapere della nuova situazione sentimentale del padre, stabilitosi con una donna che già frequentava durante la scorsa stagione e di cui Hannah era a conoscenza. Anche il non aver accennato questo è emblematico: siamo comunque di fronte a un tradimento ai danni della povera madre. Chiari sintomi di grossi buchi di trama; vedendo tutta la serie in rapida successione, sembra che gli autori le abbiano fatto parlare di molti motivi francamente evitabili per il suicidio, facendogliene trascurare altri ben più seri.
A proposito di parlare… i dialoghi. Qui si apre un’altra voragine. L’episodio che riguarda la testimonianza di Tyler è il riassunto perfetto. Lui dice di aver visto Hannah scattarsi qualche foto provocatoria col cellulare per giustificarsi di averla fotografata diverse volte senza permesso. Come potesse questo cambiare la gravità del suo gesto lo sa solo lui, ma la cosa più incredibile è che la giuria viene effettivamente colpita dalla dichiarazione.
I personaggi, infatti, in particolare dal punto di vista psicologico, sono scritti veramente male, a mio avviso. Menzione “d’onore” in ciò a Bryce Walker, gestito peggio di tutti e lasciando trasparire un messaggio facilmente fraintendibile. Il passaggio in cui si fa capire allo spettatore che Bryce ha distrutto la reputazione di Hannah perché ne fosse innamorato è falso, oltre che pericoloso. Questo perché, durante tutte, e sottolineo tutte, le puntate imperversa con atteggiamenti, più o meno velati, che mostrano come non solo non abbia capito la morale della favola, ma proprio non gliene freghi più di tanto. Ad aggiungersi a questo triste quadro è la condanna che gli viene applicata: tre mesi di libertà vigilata a seguito della scoperta degli stupri che ha compiuto (su Jessica ed Hannah). In pratica, alla fine della fiera, ne esce pulito e integro, come se nulla fosse successo. Veramente pessimo messaggio lanciato al pubblico, che ovviamente non è l’unico e nemmeno il più grave.
Un’opera che, ricordiamolo, fa della sensibilizzazione al bullismo, al suicido e alla violenza i suoi punti cardine, non può permettersi di mostrare che, dopo i fatti successi alla Baker, dopo che nessuno ha ascoltato l’enorme dolore che l’ha portata alla morte, i ragazzi della scuola facciano lo stesso errore con Tyler, emarginandolo, non comprendendolo e picchiandolo. Ho adorato la fine della prima stagione, perché, culminando nel suicidio, ha fatto capire che le nostre azioni ai danni di qualcuno, anche le più insignificanti all’apparenza, hanno delle conseguenze alla fine. Ma che senso ha ora ripetere questo circolo? Le persone dovrebbero imparare dai propri errori, soprattutto in questi casi.
A salvarsi, in 13, sono la recitazione (escludendo il monoespressivo Clay), la regia e la fotografia (discrete). Meriterebbe comunque di essere visto, per farsi un’idea del fenomeno e di ciò che prova a raccontare. È degli ultimi giorni, tra l’altro, la notizia che la serie è stata rinnovata alla terza stagione e, non immaginando di cosa possa parlare un filone narrativo che doveva concludersi in 13 puntate, la domanda da porsi continua ad essere: ”è davvero necessario tutto ciò?”