Il Ragazzo e l’Airone parla allo spettatore con le parole di Hayao Miyazaki, che decide di mettere in scena il personale resoconto della propria vita, di tirare le somme e, con quella serenità che lo ha sempre contraddistinto, forse anche ammettere i propri sbagli. Ecco la nostra recensione, come sempre senza spoiler
“E tu, come hai vissuto?”
Me lo immagino, il Sensei Hayao Miyazaki, porsi questa domanda mentre tiene tra le mani una copia del romanzo di Genzaburō Yoshino, “E voi come vivrete?” (Kimi-tachi wa dō ikiru ka?) appunto, che ha appena riletto dopo anni, magari in una vecchia edizione.
Ed intanto la sua fervida mente, ancora avvolta nella nostalgia, immagina già cosa trarre da quelle pagine e come trasformarle in una base da cui partire per costruire la sua ultima opera, IL RAGAZZO E L’AIRONE, ora anche nelle sale nostrane grazie a Lucky Red.
Ultima forse non in senso assoluto, stando a quanto dichiara il suo storico produttore Toshio Suzuki, perché il Maestro sarebbe già pronto ad inseguire nuove idee, ma di sicuro, una di quelle che percepisci come necessarie per mettere un punto ad una lunga e straordinaria carriera.
Qui torniamo a quella domanda iniziale, che inevitabilmente Miyazaki deve essersi posto, perché in “The Boy and the Heron” ha riversato tanto di sè, del suo vissuto, della sua persona e del suo personale, un misto di sentimenti che ha cercato di tradurre in animazione, con quella qualità eccelsa a cui ci ha abituato lo Studio Ghibli, dalle immagini straordinarie, dalle musiche capaci di creare particolari atmosfere e soprattutto, dal desiderio di raccontare, e mai come stavolta, raccontarsi.
Ma andiamo un attimo con ordine, e proviamo a riassumere la trama del film, facile a dirsi però un pizzico complicato a farsi, anche perché sembra sempre di fare un torto non solo al film, ma anche al desiderio dello stesso Studio Ghibli (e di rimando, di Miyazaki), che sia il grande schermo a disvelare la storia del giovane Mahito Maki.
D’altronde, il mistero ha avvolto tutta l’atipica promozione del film, riservata a poche immagini e un trailer mostrato al mondo solo quando ormai l’opera era già nelle sale giapponesi.
Dicevamo di Mahito e della sua storia, ambientata durante la Guerra del Pacifico, evento fondamentale per entrare nell’ottica di visione della pellicola sin dalle sue prime immagini.
Il ragazzo ha conosciuto il dolore e il lutto per la morte della madre Hisako, e ora si ritrova a convivere con il fatto che suo padre si è risposato con quella che sarebbe sua zia, Natsuko, sorella minore di Hisako.
Sensazioni contrastanti albergano nel suo petto, e il desiderio di rivedere sua madre lo condurrà in un viaggio oltre la dimensione del sogno, accompagnato da uno strano Virgilio con le sembianze di un airone grigio.
Non cito la “Divina Commedia” a caso, perché ne “Il Ragazzo e l’Airone” Miyazaki riversa tantissimo immaginario, tra cui l’opera dantesca, ma non solo.
Si possono riscontrare le influenze più diverse, dai quattro angoli del globo (e forse un segno, mai così evidente, che cambiano i confini, mutano le tradizioni, eppure certi schemi non smettono di tornare e farsi veramente universali), e ad un certo punto, ti rendi conto che molta di quella Fantasia a cui stai assistendo è un continuo gioco di rimandi alla produzione della Ghibli, e nel particolare di Miyazaki stesso.
Potreste vederci un tocco de “Una Tomba per le Lucciole“, qualcosa de “Il Mio Vicino Totoro“, così come di tanti altri incanti a cui ci ha abituato il Sensei.
Che qui decide anche di giocare d’azzardo, di sfidare lo spettatore e parlargli con cuore aperto, ma con quell’eleganza di chi non vuol peccare di presunzione prendendosi il palcoscenico in prima persona, utilizzando gli strati per nascondere il proprio sentire in bella vista senza mai urlarlo, eppure facendo in modo che sia ben presente, che quei semi gettati nelle retine dello spettatore germoglino, visione successiva su visione successiva.
Con “Il Ragazzo e l’Airone“, Miyazaki coglie l’occasione di mettere in scena il personale resoconto della propria vita, di tirare le somme e, con quella serenità che lo ha sempre contraddistinto, forse anche ammettere i propri sbagli e chiedere perdono (nondiméno, a suo figlio Gorō), partendo, con la memoria, a quando da ragazzo si ritrovò a leggere per la prima volta “E voi come vivrete?”, che, non a caso, è un libro che nel film esiste, ha un proprio peso specifico e non solo come mero easter-egg, come potrebbe pensare qualcuno.
Così si crea un cerchio, che parte da Miyazaki, passa attraverso Mahito e ritorna a Miyazaki stesso, al suo essere un costruttore di storie (qualcuno direbbe poesie) animate e che attraverso quel mezzo, hanno sempre trovato pienissima espressione.
Un racconto che diventa metafora per il tema dell’Eredità, di cosa si sta lasciando dietro di sè, di quanto possa essere talmente pesante il proprio tratto distintivo, il proprio “marchio di fabbrica”, al punto da schiacciare tutto e tutti, rendendo impossibile affrontare la sfida.
La stessa che i giovani, e di questo messaggio il Maestro si è sempre fatto latóre, devono sempre lanciare verso gli adulti, per superarli e poter così crescere e camminare al loro fianco, con fiducia.
Ma non c’è solo questo, perché la pellicola, come detto, procede per strati sovrapposti, e altrettanto fanno i suoi messaggi, il suo incanalare immagini e sensazioni vive, di meraviglia visiva e di significati, che però, una volta tanto, e penso sia anche giusto, arrivati a quest’età ed intuendo lo scopo che ha sorretto quest’ultima fatica del Sensei, costringono ad accantonare un poco la magica Magia in senso stretto.
Stavolta, il viaggio è più insondabile, onirico e straniante (nel senso positivo che possa avere questo termine) ma in una qualche misura più drammatico, e questo lo si ravvisa anche nella colonna sonora di Joe Hisaishi, che qui ricrea la sensazione del volo fantastico, tenendo però i piedi piantati su un terreno musicale più austero, non per questo meno meritevole di plauso, anzi.
Ognuno di noi, ogni spettatore, anche quello apparentemente deluso dal non aver ricevuto quanto si aspettava, ha l’occasione rara di portare a casa con sé il proprio personale messaggio, senza dover necessariamente sottostare a quella pratica così fredda dello “spiegone”. Un messaggio su cui riflettere, su cui apporre note e considerazioni, merito di una visione non vuota, non fine a sé, ma che sa saziare l’appetito di chi ha voglia di Cinema e di quel modo unico che ha questo medium di affabulare.
C’è tanto nella storia del giovane Mahito, in questi voli (continuo ad utilizzare questo termine, perché è anche questo un punto chiave, non solo del film ma dell’intera produzione del cineasta, qualcosa di radicato nella sua personale storia umana) di sogno che trascinano lui e il pubblico in una dimensione uguale ma diversa a tanti altri lavori di Miyazaki, che a 83 anni non smette di stupire, forse per primo proprio sé stesso.
Perché anche “Il Ragazzo e l’Airone” è baciato da quella perfezione tecnica che da sempre contraddistingue i lavori dello Studio, quella ricercatezza, nel segno e nel modo di comporre con le immagini, che travolge, incanta e ti fa sussurrare “Bellissimo”, mentre la persona seduta nella poltroncina vicina alla tua sorride, annuendo di par suo.
E nuovamente, mi ritrovo incantato da come i tanti significati nascosti nelle linee dell’animazione sappiano parlare al me adulto, con una sensibilità intensa e mai banale.
Forse, è qui che potrebbe stare un punto dolente, giusto?
Perché, solitamente, viene sempre da considerare certe opere animate, incluse quelle dello Studio Ghibli, come capaci di comunicare con entrambi i mondi, quello giovane e quello di chi la fanciullezza se l’è lasciata alle spalle da quel dì, costringendo chi poi volesse farne una critica ragionata, a rimettersi per un paio d’ore quelle scarpe ormai troppo piccole, cercando di comprendere quanti più punti di vista possibili, ed unirli.
Ecco, per me, con Miyazaki, non è mai così, non riesco davvero mai a pormi in questa prospettiva, continuo a percepire sempre l’anziano signore, riverso sul suo tavolo da lavoro, intento a disegnare e creare, ed infondere alle sue storie quella maturità, quell’esperienza mista al talento, e pretendendo dallo spettatore la stessa attenzione.
E l’aver saputo, nel tempo e nonostante tutto questo, incantare i più piccoli è ciò che poi ha portato i suoi lavori a fregiarsi di quel termine ormai così usurato da non aver più forza, che è “Capolavori“, perché si son fatti forti di una universalità importantissima.
Anche per questo, forse, viene così difficile utilizzarlo per “Il Ragazzo e l’Airone“, e non vedo perché debba essere necessario farlo, in quest’era di estremi.
Magari basterebbe quel “Bellissimo” di cui sopra, che comunque non è poco, non lo è per nulla e mai dovrebbe esserlo, non quando si ha la possibilità di avere opere di questo carattere.
Perché stavolta l’anziano signore si è sollevato dal tavolo da disegno, e sul suo volto, il sorriso sornione ha lasciato posto ad un’espressione più seria, anche triste.
Si è guardato indietro, e si è posto una domanda, una di quelle a cui trovare una risposta è difficile, a cui dare un senso unico ed univoco è complicato, se non addirittura impossibile.
Così ha deciso di fare quello che ha sempre fatto, di utilizzare le Storie e che siano solo loro a decidere dove vogliono andare, quale labirinto creare e nel quale farci perdere, senza una mappa per trovare l’uscita, ma semplicemente accompagnandoci con le immagini e la musica, e una volta arrivati ai titoli di coda e liberi dall’intrico, ritrovarci in mano il testimone di quella domanda, quella che ha fatto nascere tutto e quella che da sola vale la visione.
E a cui solo noi, e noi soltanto, possiamo dare l’unica risposta che abbia un valore.
Quello stesso valore che rende “Il Ragazzo e l’Airone” l’opera ultima di un grande autore, magari non quella definitiva, ma di sicuro, quella più sincera ed onesta.
E di questi tempi, forse, è proprio quest’onestà il dono migliore che possiamo ricevere!
Il Ragazzo e l'Airone
Titolo originale: 君たちはどう生きるか
Kimi-tachi wa dō ikiru ka
Anno: 2023
Durata: 124 minuti
Regia, soggetto e sceneggiatura: Hayao Miyazaki
Casa di Produzione: Studio Ghibli, Toho, Studio Ponoc
Distribuzione italiana: Lucky Red
Doppiatori italiani:
Giulio Bartolomei: Mahito Maki
Federica De Bortoli: Natsuko/Hisako
Chiara Gioncardi: Kiriko
Stefano Dori: airone/uomo-airone
Lucrezia Marricchi: Himi
Rodolfo Bianchi: prozio
Gianfranco Miranda: Shōichi Maki
Paola Giannetti: Aiko (cameriera n.4)
Giulio Bartolomei: Mahito Maki
Federica De Bortoli: Natsuko/Hisako
Chiara Gioncardi: Kiriko
Stefano Dori: airone/uomo-airone
Lucrezia Marricchi: Himi
Rodolfo Bianchi: prozio
Gianfranco Miranda: Shōichi Maki
Paola Giannetti: Aiko (cameriera n.4)
Uscita nelle sale: 1 gennaio 2024
Voto: