Dopo una lunga sequela di tribolazioni arriva in questi giorni nelle sale di tutto il mondo “Monkey Man“, l’action thriller e opera prima del regista Dev Patel. Queste sono le nostre impressioni, rigorosamente no spoiler
Da qualche anno, tra un set e l’altro, Tom Hanks si diletta a scrivere libri. Recentemente è uscito in Italia edito da Bompiani la sua seconda opera letteraria dal titolo “Nascita di un Capolavoro del Cinema“. Vi starete chiedendo cosa c’entrino Tom Hanks e i suoi libri con “Monkey Man“, opera prima da regista di Dev Patel. Ci arriviamo, continuate a leggere, per favore.
In “Nascita di un Capolavoro del Cinema” Hanks ci racconta, con uno stile romanzesco, il dietro le quinte della lavorazione di un film. Si tratta di un saggio sul mondo del cinema che nasce dalle esperienze di vita vissuta del celebre attore e racconta l’enorme circo di cartapesta che circonda la nascita di una pellicola. Macchinisti, tecnici, attrezzisti, aiutanti, organizzatori, montatori, ma anche attori emergenti, vecchie glorie e grandi star da “TikTok” vengono messi a nudo con i loro vezzi e le loro virtù. Ne emerge un racconto appassionante che evidenza quanto sia complicato realizzare un film e come la possibilità di mandare tutto in vacca sia dietro l’angolo in ogni momento del processo produttivo, dalla concezione dell’idea iniziale alla distribuzione finale. Nello specifico, nel film oggetto della narrazione, ne accadono di tutti i colori: problemi di budget, difficoltà logistiche, capricci degli attori, fughe dal set e amorose. Addirittura succede che un attore ci lascia le penne.
Hanks, dall’alto della sua esperienza, ironizza sul mondo patinato delle produzioni cinematografiche dispensando alcune perle di saggezza. All’inizio della narrazione l’attore americano vuole mandare un monito a tutti coloro che, sia per diletto che per professione, scrivono e fanno critica sul cinema. Hanks dice che non esiste alcun film che merita di essere odiato, perché fare un film è troppo difficile. Nessuno ci da il diritto di odiare o disprezzare un film, anche se questo ci risulta noioso. Se un film non è bello, si sta seduti in attesa che finisca, uscire prima è un peccato mortale. L’odio dovrebbe essere riservato ad un ingorgo in tangenziale oppure ai broccoli lessi che si sono freddati. La cosa peggiore che si può dire di un film che non ci è piaciuto è “Non è il mio genere, ma tutto sommato non è niente male“.
Quando ci siamo documentati su “Monkey Man” per cercare di capire a cosa andavamo incontro entrando in sala, abbiamo scoperto che questo film ha avuto una genesi che definirla complicata è un eufemismo. Una vera e propria sequenza di catastrofi, prima fra tutte la pandemia che ha martoriato il mondo e tutte le produzioni nate in quel periodo. Nello specifico, le esigenze legate al Covid hanno bloccato le riprese, trasferendo la produzione dall’India all’Indonesia. Inoltre ci sono stati problemi con l’allestimento del cast, tanto che le controfigure sono state selezionate su YouTube e alcuni membri della troupe si sono dovuti improvvisare comparse. Come se non bastasse, le attrezzature in dotazione sono risultate difettose e Patel si è dovuto arrangiare girando alcune scene con lo smartphone.
Lo stesso Patel ha attraversato il suo personale girone dantesco: il giovane attore si è rotto due dita dei piedi prima dell’inizio dei lavori, una mano al secondo giorno di riprese (tanto che gli hanno inserito chirurgicamente una vite per poter proseguire con la lavorazione) e si è strappato una spalla durante una sequenza di combattimento. Non è finita qua: Patel ha anche contratto un’infezione agli occhi girando una scena in cui striscia sul pavimento di una toilette. Inizialmente il film doveva essere proposto al pubblico tramite la piattaforma Netflix, poi Jordan Peele, talentuoso attore e regista cinematografico, uno che si sta costruendo un nome autorevole nell’establishment hollywoodiano dopo opere convincenti quali “Get Out” (2017), “Noi” (2019) e “Nope” (2022), ha avuto modo di vedere il film rimanendone favorevolmente colpito tanto da incentivare l’acquisizione della pellicola da parte di Universal Pictures per la distribuzione nelle sale.
Alla luce di tutto questo, potremmo mai disprezzare questo film ? Voi che siete lettori attenti vi starete anche chiedendo perché mai dovremmo parlare male di “Monkey Man“. La risposta è semplice: perché “Monkey Man” non ci ha convinto del tutto.
La storia di “Monkey Man” è quella di Kid (interpretato dallo stesso Dev Patel), un ragazzo indiano che rappresenta la casta più povera di un paese sporco, agonizzante e martoriato da un sistema di caste che genera abissali diseguaglianze sociali e economiche. Kid è uno che porta sulle sue mani i segni di un passato traumatico. Il ragazzo è infatti testimone della brutale uccisione della madre da parte di un’elite corrotta che vuole sradicare la sacralità del luogo a beneficio di insediamenti industriali. Il ragazzo intraprenderà la strada della vendetta lastricata dal sangue, dapprima guadagnandosi da vivere partecipando a combattimenti combinati alla “Fight Club” indossando una maschera da scimmia, poi infiltrandosi sempre più all’interno delle organizzazioni politiche corrotte che si muovono dietro i responsabili delle aberrazioni perpetrate nei confronti del popolo e della sua famiglia.
Ammettiamolo, la trama di “Monkey Man” è quanto di più banale e derivativa ci sia capitato di vedere. Quello dell’uomo del popolo, funestato da un trauma atroce e che, alimentato dalla sete di vendetta, si trasforma in “Terminator” facendosi giustizia da solo, è un topos abusato nel genere action-thriller in cui si colloca la pellicola. Solo negli ultimi mesi abbiamo visto ben due film che si rifanno a questo cliché: “The Beekeeper” di David Ayer e “Silent Night” di John Woo, quest’ultimo il migliore di questo ristretto lotto (in questo articolo potete leggere la nostra recensione). Ma il riferimento più forte è quello a John Wick, personaggio che viene esplicitamente citato in “Monkey Man“, anche negli abbigliamenti del protagonista.
Dev Patel, attore britannico di origine indiane noto al grande pubblico per il ruolo di John Malik nel film pluripremiato “The Millionaire” (2008), è il one man show di questo film. A soli 34 anni fa il suo debutto alla regia e alla sceneggiatura animato dalla passione per le arti marziali e, in particolare, dei film di Bruce Lee e Jackie Chan. Patel ha dato tutto se stesso per la realizzazione di questo film e la dimostrazione è la caparbia con cui ha affrontato le disavventure che abbiamo elencato all’inizio di questa recensione. Il giovane regista britannico non ha tradito le sue radici inserendo numerosi riferimenti alla cultura indiana tra cui la leggenda di Hanuman, un dio appartenente alla razza vanara (una specie di uomini-scimmia) che rappresenta la personificazione di saggezza, giustizia e onestà. Un paladino difensori degli oppressi dal quale il personaggio di Kid trae ispirazione. I riferimenti all’induismo e alla cultura indiana sembrano tuttavia presenti come mero contorno. Sin dall’inizio appare subito chiaro quale siano i buoni e i cattivi della vicenda, pertanto tutta la storia si trascina su brutali combattimenti e lo sfondo di un paese caotico quanto affascinante, seppur valorizzato da una buona fotografia, sembra fine a se stesso.
L’aspetto che ci ha lasciato favorevolmente colpiti è stata la cifra stilistica adottata nella regia. Patel, seppur molto giovane e all’esordio come regista, confeziona un prodotto dal ritmo frenetico che sfrutta al massimo la telecamera a mano (e lo smartphone…). Il risultato finale è un gioco di inquadrature che si fa schizofrenico durante le numerose sequenze di combattimento ma che conferisce a tutta la messinscena il giusto livello di caoticità. A questa sensazione di entropia contribuisce la colonna sonora, un misto di hip hop e musica elettronica accompagnata dalle tipiche sonorità indiane.
“Monkey Man” è un film che trae forte ispirazioni dai grandi classici degli action movie risultandone pesantemente derivativo. È un vero miracolo che questa pellicola sia giunta nelle sale cinematografiche ed è una benedizione che ciò sia avvenuto, perché in quest’opera assolutamente non perfetta emerge il talento cristallino di Dev Patel, sorprendente nel suo primo lungometraggio da regista. Capita che certi film non funzionino come un orologio svizzero, oppure che non riescano perfettamente nel loro intento. Quello di “Monkey Man” non è un genere che è nelle corde di chi vi scrive ma, tutto sommato, non è per niente male.
“Monkey Man” è nelle sale distribuito da Universal Pictures a partire dal 4 aprile.
Monkey Man
Dev Patel: Kid
Sharlto Copley: Tiger
Pitobash: Alphonso
Vipin Sharma: Alpha
Sikandar Kher: Rana
Sobhita Dhulipala: Sita
Ashwini Kalsekar: Queenie
Adithi Kalkunte: Neela
Makarand Deshpande: Baba Shakti
Zakir Hussain: Maestro della tabla
Flavio Aquilone: Kid
Simone D'Andrea: Tiger
Raffaele Palmieri: Alphonso
Stefano Thermes: Alpha
Alessandro Budroni: Rana
Laura Romano: Queenie
Massimiliano Plinio: Baba Shakti