Durante il Comicon di Napoli siamo riusciti a fare quattro chiacchiere con Wes Craig che, oltre a essere autore del fumetto Deadly Class, nel 2021 è stato tra gli sceneggiatori di Gotham City Villains Anniversary Giant #1. Ci ha presentato il suo nuovo lavoro, Kaya, edito da Edizioni BD e ci ha raccontato un po’ di sè e della sua visione del mondo.
Intervista a Wes Craig
Siamo al primo giorno di Comicon e immagino sia il tuo primo a Napoli, dico bene?
Il primo a Napoli, il primo in Italia, sebbene io e mia moglie abbiamo già visitato l’Italia una quindicina di anni fa. Era la prima volta che avevamo abbastanza soldi per viaggiare, per cui ci siamo detti “Andiamo in Italia!”. Iniziammo a Milano e scendemmo per tutto… lo stivale, dite così? Arrivammo fin giù, e visitammo almeno una decina di posti, mentre eravamo qui. Però sì, è la prima volta che vivo l’esperienza di un convention del genere in Italia.
So che i Comicon in giro per il mondo sono diversi gli uni dagli altri. C’è qualcosa che ti sta colpendo particolarmente, di questa esperienza italiana?
Guarda, sono stato a molte convention qui in Europa, e la cosa che mi colpisce sempre è che sono più… non vorrei dire più rilassate, perché i ritmi sono intensi, ma al tempo stesso arrivi, firmi copie per qualche ora, poi vai a pranzo o quello che è. In America, invece, è molto più capitalista, direi: ti siedi e disegni o firmi dalle 8/9 del mattino fino alle 8/9 di sera.
Lo stile europeo è un po’ più rilassato, mi piace. Oggi, ad esempio, prima di arrivare alla mia postazione per il firmacopie, ho fatto un giro per vedere che aria si respirasse, ed è stato bellissimo vedere tutto così tanto rappresentato. Per esempio, la prima cosa che ho visto è stata una traduzione di Robert Trum e moltissimi manga, ovviamente. Ma tantissimo di tutto: americani, italiani, roba da tutte le parti del mondo, non solo con un focus sui fumetti italiani o europei, ma a livello globale.
È stata una cosa bellissima da vedere. E poi roba vintage, e nuova, in pratica tutto ciò che il mondo del fumetto ha da offrire. Ed è stato stupendo vedere quanto sia frequentato! Sono stato ad alcuni Comicon che sono alle loro prime edizioni, e stanno ancora cercando di far funzionare tutto, mentre questo ormai è avviato, stabile.
Non so se sai che in Italia i fumetti fanno ancora fatica a essere riconosciuti come vera “letteratura”. In nord America è lo stesso, o il vento sta cambiando?
Più o meno è lo stesso, ma le cose stanno cambiando. Ricordo quando ero dai miei e guardavo I Simpson, mia madre che era in cucina e rideva a tutte le battute, ma non sarebbe mai venuta a sedersi con me, perché non era ciò che facevano gli adulti. Ma appunto, questo vale per la sua generazione.
La mia è la prima che non se ne preoccupa più di tanto: ci sono cartoni e fumetti e cose simili per adulti, per bambini, per tutti. Certo, in nord America c’è ancora un po’ di barriera alla piena accettazione, ma ecco, non è più quella di un tempo. Quando ero al college, c’erano ancora professori che guardavano i fumetti come qualcosa di inadatto a un illustratore serio, o a un artista; era una cosa da cui tenersi alla larga. Però parliamo di molto tempo fa, circa vent’anni fa, per cui quei professori ormai sono andati via, e si spera siano stati rimpiazzati da altri più aperti.
Per me, quello che mi ha aperto gli occhi, è stato una fiera che ho fatto a Parigi – o fuori Parigi, giù di lì – con il mio editore, e mentre camminavamo ho visto una coppia di persone anziane guardare fumetti; e dal modo in cui li stavano guardando, sono abbastanza certo che non stessero cercando qualcosa per i propri nipoti, ma per sé stessi. Pensai “questo, in America non lo vedresti mai”. Ed ecco, un giorno spero che sia così in tutto il mondo.
A volte pare si faccia fatica a rendere il fumetto un’arte popolare.
Oggi è difficile, con tante opzioni differenti: voglio dire, ci sono cose che sono solo intrattenimento – che va benissimo, sia chiaro! – e poi ci sono quei fumetti più artistici, per così dire. Il punto è che se dici “fumetto” la gente pensa ai supereroi, ma non è così, non è solo quello. Così come il fumetto non è un genere: è un mezzo, che proprio come i film, o i libri può veicolare qualunque tipo di storia.
Semplicemente, posizionarsi di fronte agli occhi della persona media è complicato.
Parlaci un po’ di questa nuova serie, Kaya, di cui in Italia sono usciti i primi due volumi. C’è già una previsione su quanti volumi possiamo aspettarci, o stai ancora sviluppando la storia e vedrai dove ti porta?
Originariamente, negli Stati Uniti la storia è pubblicata dalla Image Comics, e sta per uscire il terzo volume. In Italia siamo di poco indietro. Io sono un tipo che non riesce ad andare a braccio, che ha bisogno di avere tutto ben strutturato e ordinato nella testa. E nei miei progetti, ho tutto chiaro fino al volume sette/otto, è quello il mio piano.
Chiaramente, è strutturato per grandi linee: giusto i punti principali che voglio affrontare nella trama. Poi, quando faccio la stesura vera e propria, partendo da quei punti vedo dove mi portano i personaggi, e magari per quando ci arrivo cambio idea. Magari la trama cambierà perché succede qualcosa di evidente o molto forte, capisci che intendo?
Ma sì, di base mi piace avere una mappa iniziale.
Chiaramente, se fai bene il tuo lavoro, e i personaggi sono abbastanza veri, ti trascineranno in direzioni che non avevi previsto, o parte di quella mappa che avevi disegnato all’inzio non funzionerà, perché allora non li conoscevi così bene come ora.
Capita mai che i personaggi ti portino per strade inaspettate e ti sorprendano?
Certo, e in realtà quella è la speranza. Ogni personaggio che immagine è come una creatura di Frankenstein a cui aggiungi un pezzo di questo, un poezzo di quello, e alla fine si alzano e camminano da soli. E tu speri che non si limitino a muoversi per inerzia, ma che a un certo punto inizino a prendere le proprie decisioni. Poi molto dipende dai personaggi.
Ad esempio, Kaya non è una grande sorpresa, per me: è come una versione piccola di Conan il Barbaro; sa cosa vuole, deve sempre fare la cosa più onorevole, è un maschiaccio; ha un numero di opzioni molto limitato. Ma ci sono altri personaggi che sono più simili a degli imbroglioni e potrebbero fare qualunque cosa; sono più divertenti da immaginare, perché sono sempre quelli che mi stupiscono di più.
Da dov’è nata l’idea alla base di Kaya?
Parliamo di molti anni fa, prima che diventassi un fumettista professionista. A quel tempo, inviavo pitch agli editori, e ne inviai uno chiamato The Third Kingdom, ambientato nel mondo di Kaya, ma senza lei né Jin. C’erano delle guide, che erano basate sulla mitologia norrena. Uno degli dèi era come Odino, un altro come Thor e un altro come Loki – la versione vichinga, non quella Marvel – anche perché è una delle mie cose preferite. Da bambino adoravo i fumetti di supereroi e amavo le mitologie nordica e greca, per cui feci una storia su quello.
Ma ero agli inizi, e mi resi conto che ero più capace a creare un mondo che una trama avvincente. Non c’era nessun personaggio che ci guidasse in quel mondo e lo rendesse figo, e mi chiesi perché mai un lettore avrebbe dovuto avventurarcisi senza nessuno per cui fare il tifo. Poi, mentre stavo lavorando a Deadly Class con Rick Remender ho cominciato a sviluppare il personaggio di Kaya sul mio taccuino. All’inizio, era una tostissima donna adulta, praticamente; non ricordo come, ma a un certo punto mi sono detto che se fosse stata una ragazzina, allora ci sarebbe stato molto altro contro di lei.
È tosta, certo; ha un braccio robotico; ma dopotutto è ancora una bambina, e a volte non sa cosa fare. Il fratellino Jin, invece, originariamente è quello che in America chiamano McGuffin (un espediente narrativo, ndr), un tesoro, o un’idea, o uno scopo che i personaggi vogliono raggiungere e che li muove. In questo caso, è una persona, che buoni e cattivi stanno cercando perché su di lui c’è una profezia, che i cattivi vogliono impedire si avveri.
Loro lo inseguono e Kaya cerca di proteggerlo, ed è questo che avvia il viaggio attraverso un mondo fantastico e pericoloso.
Mi piace molto la dinamica del personaggio forte in contrasto con quello innocente, lo metto in un sacco di cose. E poi i contrasti, in generale, sono tanti: Kaya è un maschiaccio tirato su da uno zio cacciatore; ha poca pazienza e cerca di proteggere Jin, che si comporta da monello, per cui all’inizio non vanno neppure d’accordo.
C’è molto “dramma” in tutto questo.
Vedo che hai fatto un bellissimo uso dei colori: immagini le tue storie già a colori, o è un passaggio che avviene in un secondo momento?
A volte sì, a volte no. In questo caso, io preparo il lavoro solo con l’inchiostro nero e con una lievissima nota di acquerello; poi lo passo a Jason, il colorista di questa storia, e lui fa il resto. Prende quello spunto e lo porta in vita con colori vibranti. Quella è una cosa sua, per cui gli lascio spazio per farlo serenamente. Io penso ai colori un po’ come alla colonna sonora nei film: ti aiutano a entrare nell’emozione di quella specifica scena.
Se il personaggio è depresso, diminuisci la saturazione e magari usi più sfumature del blu; se la situazione è emozionante o sconvolgente, vai sui rossi e sui gialli… cerchi un po’ di capire come i colori possono influenzare le emozioni del lettore mentre va avanti. Su alcune scene, poi, non ho la più pallida idea di cosa fare e lascio fare a Jason. All’inizio, quando dovevamo ancora conoscerci bene e sintonizzarci, gli lasciavo delle note: ma andando avanti, ci si fida sempre più. E a volte, tira fuori esattamente la cosa che avevi immaginato senza che tu glielo dica. È sorprendente, ma è anche parte del divertimento.
C’è un messaggio che speri di far arrivare alle persone, attraverso Kaya?
Non voglio diventare pesante, ma anche se sto facendo una storiella semplice e divertente, non è solo quello. Chiaramente non posso paragonarmi a George Orwell, ma penso a qualcosa di simile a La fattoria degli animali: puoi leggerla come storiella, ma sotto c’è molto di implicito e allegorico. Se lo leggi da piccolo, vedi un livello; se poi lo rileggi più avanti, ti rendi conto che forse è più simbolico di quanto pensassi. Ecco, spero di stare creando qualcosa che dia quell’effetto, se non nei singoli episodi, nella sua interezza.
Jin, per esempio, è un profeta, una sorta di personaggio salvifico, come Mosé, o Gesù o Daenerys Targaryen [prima di impazzire!, ndr] o qualcuno del genere. Ma so che è un cliché, per cui ho cercato di dargli un po’ di movimento: non si trasformerà in un personaggio malvagio e odioso, ma deve diventare qualcosa di più complesso del semplice “arriva il salvatore e salva tutti”.
Anche perché è una cosa a cui non credo, quindi sto trovando difficoltà a raccontarlo bene e a renderlo più simile alla vita. In questo mondo le persone sono così divise, che ti capita di dover lavorare con persone con cui sei in contrasto, no? E nella storia funziona allo stesso modo: i personaggi sanno dove vogliono andare, ma non ci arriveranno a meno che non stringano alleanze e patti con persone che magari non amano particolarmente.
È la vita: non puoi metterti su un piedistallo e pensare di essere il detentore della verità; tra le altre cose, tutti sbagliamo, mala differenza è nel perché fai quello che fai? Lo fai per te stesso? Per dirti quanto sei bravo? O lo fai per le altre persone, per portare tutti in un posto migliore? È bello vedere le persone sporcarsi le mani.
Ti faccio la mia ultima domanda, prima di lasciarti libero. Se per un giorno potessi essere un artista famoso, vivo o morto, e fare arte come quella persona, chi vorresti essere?
Caspita, questa è tosta. Non saprei… me ne vengono in mente tre, che hanno visto l’industria del fumetto nella sua evoluzione. C’è Will Eisner, perché mi piacerebbe essere lui, o guardare da sopra la sua spalla mentre inventa cose per il suo Spirit. Poi di sicuro Jack Kirby, e credo non ci sia neanche bisogno di dire perché. Era lì agli inizi della storia del fumetto, ed era ancora lì a fare fumetti negli anni ’80.
E infine Joe Kubert, perché a quanto ne so, ha iniziato a 15 anni lavorando negli studi temperando matite, cancellando le linee a matita e cose così; ed è passato da quello a essere un artista e uno scrittore leggendario per la DC Comics, oltre a fondare una scuola di fumetto. È stato in così tante aree diverse del fumetto che dev’essere meraviglioso vedere attraverso i suoi occhi. Poi l’ho conosciuto, quando ormai era abbastanza avanti con gli anni, e sembrava molto figo.
Una testa piena di capelli bianchi e tanta gentilezza verso i fan. È così che voglio essere quando sarò vecchio.
Prima di quest’intervista, avevamo recensito per voi il primo volume di Kaya (trovate il nostro parere qui), e dopo queste parole non riusciamo ad aspettare che escano i volumi successivi. Vogliamo scoprire che succederà a Jin e Kaya e vedere dove la strada porterà Wes e noi; in tempi così divisi e divisivi, è bello pensare che esista un posto in cui la cooperazione è la chiave.