Blake Lively ha denunciato Justin Baldoni, suo co-protagonista e regista di It Ends With Us, per molestie e per aver tentato di distruggere la carriera dell’attrice.
Il The Hollywood Reporter è entrato in possesso di una documento presentato da Blake Lively contro il regista e co-star di It Ends With Us, Justin Baldoni in cui si fa riferimento a molestie sessuali e a un tentativo di distruggere la reputazione dell’attrice.
Il team legale di Baldoni non ha perso tempo, e ha risposto definendo “vergognose queste accuse mosse a Mr. Baldoni, alla Wayfarer Studios e ai propri rappresentanti.”
Secondo la denuncia di Lively, le cose sono sfuggite di mano già mesi fa, al punto che si rese necessario un incontro per affrontare la questione, causa di un ambiente di lavoro ostile. Durante il meeting, tra le richieste fatte da Lively c’erano:
- Non mostrarle foto di nudo o immagini di donne
- Evitare qualunque riferimento alla precedente dipendenza di Baldoni dalla pornografia
- Evitare di parlare di esperienze sessuali di fronte all’attrice o ad altri
- Non menzionare più i genitali del cast o della troupe all’attrice o ad altri
- Non fare più allusioni al peso dell’attrice
- Non aggiungere ulteriori scene di sesso, sesso orale o simili oltre a quelle concordate con Lively all’atto di accettazione del progetto
Secondo quanto condiviso anche da TMZ, che per primo è entrato in possesso della documentazione, le richieste sarebbero state accettate sia da Baldoni che dalla Wayfarer Studios, che si è inoltre impegnata a promuovere il film come precedentemente concordato, ossia con un focus positivo sulla forza e la resilienza di Lily (il personaggio di Lively).
Tuttavia, a pochi giorni dal lancio del film, Baldoni ha iniziato a spostare il focus sugli aspetti più gravi della storia, che racconta di violenza domestica, venendo così meno a quanto concordato.
Le dichiarazioni dei due attori e dei rispettivi team legali lasciano presagire un’aspra battaglia legale, qualora la questione non venisse risolta con una mediazione…
Lively vs. Baldoni
In una dichiarazione rilasciata a The New York Times, Lively ha parlato di alcuni messaggi privati che mostrerebbero un piano vero e proprio per rovinarne la reputazione, aggiungendo:
«Spero che la mia azione legale serva a rivelare la verità su queste sinistre e vendicative tattiche, volte a danneggiare chi denuncia comportamenti sbagliati, e che aiuti a proteggere altri che potrebbero essere presi di mira.»
Dal canto suo, Bryan Freedman, legale di Baldoni, Wayfarer Studios e tutti i suoi rappresentanti, ha rilasciato una dichiarazione a THR, attaccando le affermazioni di Lively.
«È vergognoso che la signora Lively e i suoi rappresentanti muovano accuse così gravi e assolutamente false al signor Baldoni, Wayfarer Studios e tutti i suoi rappresentanti, come ulteriore tentativo di “aggiustare” la propria reputazione negativa, che si è guadagnata attraverso le sue osservazioni e azioni durante la campagna per la promozione del film.
Parliamo di interviste e attività con la stampa, di dominio pubblico, realizzate in tempo reale e senza post-produzione, che hanno dato alla rete la possibilità di farsi un’idea e un’opinione proprie.
Queste accuse sono totalmente false, oltraggiose e intenzionalmente salaci, con l’intento di danneggiare pubblicamente e rimaneggiare la narrazione dei media. Wayfarer Studios ha preso la decisione di assumere proattivamente un crisis manager, prima della campagna marketing del film, […] a causa delle numerose pretese e minacce della signora Lively.
Tra queste, la minaccia di non presentarsi sul set, la minaccia di non promuovere il film, arrivando anche a minacciare di farsi da parte durante la distribuzione, qualora le sue richieste non fossero state accolte.»
Negli ultimi anni, Baldoni ha costruito una carriera sul capovolgimento dei modelli classici: celebre un suo TED Talk del 2017 in cui parlava della ridefinizione della mascolinità aprendosi all’ascolto, tra le altre cose. Ha poi fondato la Wayfarer Studios con l’intento di
«Rivoluzionare il tradizionale modello degli studios di Hollywood, mettendo equità e giustizia sociale al centro, assumendo dirigenti, creativi e registi che riflettano la diversità del mondo in cui viviamo — più donne e persone di colore rispetto alla media della maggior parte delle aziende di Hollywood — e creando un ambiente favorevole, dove scrittori e registi condividono il successo dello studio.»
Parole molto belle, se supportate dai fatti; ma un po’ di puzza di diversity, inclusivity e altre -ity hollywoodiane, si sente. In particolare perché, a prescindere da dove sia la ragione, le richieste che Lively fece a suo tempo sono troppo specifiche per non avere una motivazione, e sono troppo condivisibili per essere attaccate.
È forse normale, alle porte del 2025, dover ancora chiedere di evitare battute volgari o a sfondo sessuale sui luoghi di lavoro?
Lasciamo a voi la risposta; intanto, attenderemo ulteriori sviluppi di questa storia per tenervi aggiornati.
Fonte: The Hollywood Reporter