La Città Proibita è l’ultimo lavoro, in ordine di tempo, di Gabriele Mainetti: stavolta il regista romano ci porta tra le vie del Rione Esquilino di Roma, dove tra gangster e integrazione, ci mostra un grande film action, a dimostrazione che certi generi sappiamo trattarli bene anche in Italia. Questa è la nostra recensione, ovviamente senza spoiler
L’ultima fatica di Gabriele Mainetti arriva quattro anni dopo Freaks Out e, come questo e il precedente, che ha segnato l’esordio del regista, anche La Città Proibita è ambientato a Roma. Una città in qualche modo però diversa dal solito, specialmente perché vista attraverso gli occhi di una ragazza cinese esperta di arti marziali. Siamo ben lontani dalle periferie mostrate in Lo chiamavano Jeeg Robot, dove la protagonista era una Roma dura, difficile e stravolta dalla malavita locale, questa volta siamo in una zona centrale e considerata la più multietnica della capitale: il rione Esquilino.
Scritto da Mainetti stesso, affiancato da Stefano Bises e Davide Serino (sceneggiatori di alcune tra le maggiori serie di successo italiane, tra cui Esterno Notte e M. Il figlio del Secolo) il film, prodotto da Wildside, PiperFilm e Goon Films, affronta un genere poco battuto in Italia, quello dei film action a base di arti marziali, i cosidetti Kung Fu Movies. Genere che esplode a livello mondiale nel 1973 con Bruce Lee, sfruttatissimo poi negli anni ’80 e ’90 dai tanti film di Van Damme o ancor prima da quelli di Chuck Norris, che nella seconda metà dei novanta subisce una drastica diminuzione, in favore di generi come la fantascienza e il thriller.
Il cast si mantiene in equilibrio tra nomi famosi, come Marco Giallini, Sabrina Ferilli e Luca Zingaretti, oltre a volti meno noti, come la giovane e bella Yaxi Liu (stuntwoman controfigura di Yifei Liu in Mulan) ed Enrico Borrello (visto, tra le altre cose, nella serie Supersex).
La Città Proibita porta l’action tra le vie dell’Esquilino
Come già detto, siamo all’Esquilino, quartiere dove la presenza di ristoranti e negozi cinesi è preponderante. La protagonista, Mei, in Italia per cercare la sorella scomparsa, si rende conto ben presto che la stessa è finita in un brutto giro. Entrata in possesso di una serie di informazioni, arriva dunque al ristorante “da Alfredo” dove incontra, casualmente, il cuoco Marcello al quale stravolge la vita in ogni senso possibile.
La sequenza iniziale è di grande impatto, tant’è che ci si dimentica quasi di essere al cospetto di un film italiano, di solito meno avvezzi a scene d’azione simili. E non pensare a Kill Bill diventa impossibile, vista la somiglianza comportamentale tra “La sposa” di Uma Thurman e l’agguerrita Mei. Ma ben venga questo aspetto.
Un po’ meno la narrazione del Rione Esquilino: artefatta, irreale, vicina alla fantascienza. Il quartiere viene mostrato come un esempio di integrazione, colorato, allegro e dove tutte le etnie vanno perfettamente d’accordo tra loro. A partire dal mercato con le sue tante bancarelle, ormai chiuso da decenni, o i portici, mostrati come luoghi vivaci e vivibili, cosa purtroppo ben distante dalla realtà, o ancora il giardino Nicola Calipari, meglio noto come Piazza Vittorio, raccontato come un luogo di aggregazione, sereno e tranquillo.
Peccato che in realtà non lo sia affatto. E come se non bastasse questo, ecco una serie di cliché a completare il quadro: lo strozzino di quartiere (Giallini, sempre fantastico), accompagnato da picchiatori camuffati da bodyguards, giovani immigrati sfruttati dal medesimo e cinesi, perlopiù malavitosi. Una serie di aspetti che invece di far riflettere su quanto alcune realtà siano davvero problematiche (lo sfruttamento, l’integrazione e l’onestà), mostrano una versione delle cose stereotipata e molto, molto distante dalla quotidiana realtà. Ma è cinema, quindi sottilizzare troppo è superfluo.
Ciò detto, il film in sé funziona. Una trama forse un poco banale, niente che non si sia già visto (perlomeno all’estero), ma comunque visivamente ben realizzata, ricca di scene d’azione girate con cura, ottime inquadrature, un buon montaggio e una bellissima fotografia a opera di Paolo Carnera. Un compito ben eseguito, artisticamente promosso, anche se la parte conclusiva finisce per diventare prolissa e i combattimenti rischiano di diventare ripetitivi e alla lunga possono stancare. Magari una sintesi migliore dei fatti avrebbe giovato alla resa complessiva.
La Città Perduta è uno di quei film che ha diversi finali messi insieme. In pratica, quando credi che sia finito, in realtà riprende vita e va avanti. E questo accade almeno due, se non tre volte. Da una parte è un bene, perché genera hype, dall’altra meno, perché suscita anche stanchezza.
Di sicuro è apprezzabile il coraggio di realizzare un film così lontano dai soliti lavori nostrani, ma in questo Mainetti è un maestro, lo ha ampiamente dimostrato negli anni passati.
Un regista capace di dar vita a storie del tutto diverse tra loro, eppure accomunate da un fattore imprescindibile: il coraggio di osare. Tanto di cappello.
Peccato che stavolta i personaggi non siano così incisivi come quelli visti nei precedenti due film. Più nel primo, a dire il vero, dove tra Claudio Santamaria “Jeeg” e Luca Marinelli col suo “Zingaro”, il livello era davvero, davvero, altissimo. C’è anche da dire però, che quando si toccano picchi così elevati, ripetere l’impresa diventa quanto meno complicato.
Comunque, qui, tolta la protagonista perfetta, Marco Giallini, che dove lo metti sta bene, e Sabrina Ferilli, particolarmente a fuoco, gli altri risultano abbastanza piatti e purtroppo alquanto dimenticabili.
Il dubbio è, che nonostante come già detto l’impatto visivo sia notevole, la resa complessiva lo porti a essere annoverato tra i film discreti, ma non eccezionali. Quei film che quando li vedi, pensi che siano davvero buoni, poi ci rifletti e dopo qualche giorno già non te li ricordi quasi più.
Però, in sala, quando sei lì davanti allo schermo, ti diverti eccome. Che alla fine è esattamente ciò che conta.
In buona sostanza, un valido intrattenimento, a dimostrazione che certi film in Italia possiamo farli di sicuro. Basta crederci, dopotutto.
In anteprima sabato 8 marzo e in sala da giovedì 13 marzo 2025.

La Città Proibita
Enrico Borello: Marcello
Yaxi Liu: Mei
Marco Giallini: Annibale
Sabrina Ferilli: Lorena
Chunyu Shanshan: Mr. Wang
Luca Zingaretti: Alfredo
Elisa Wong: madre di Mei