Esce nei cinema italiani The Monkey, la nuova commedia horror firmata Osgood “Oz” Perkins, adattamento di un racconto di Stephen King. In questa recensione (no spoiler, tranquilli) vi spieghiamo perché è un film da non prendere troppo sul serio
The Monkey non è un film che va preso sul serio, iniziamo col dire questo.
Il film, scritto e diretto da Osgood “Oz” Perkins (primogenito di Anthony Perkins) è l’adattamento del medesimo racconto di Stephen King presente nella raccolta Scheletri, pubblicata nel 1985.
Si tratta di una commedia horror ricca di libertà creative, easter eggs kinghiani disseminati qua e là e molto humour.
Il fulcro della vicenda è che la morte non può essere controllata da niente e da nessuno, succede e basta, che lo si voglia o no.
All’inizio della sua immensa carriera, King adorava infilare nei suoi romanzi (o racconti, come in questo caso) oggetti inanimati posseduti da entità malefiche. Basta ricordarsi di Christine (da cui è tratto l’ottimo film di Carpenter), per avere le idee più chiare di quel che stiamo dicendo. A differenza di allora però, qui il terrore è praticamente inesistente. Il film è l’esatto opposto di Longlegs, costruito tutto su una base di sottile inquietudine, ma privo di eccessi visivi, che era poi il suo punto di forza, ammesso che un punto di forza vero, ci sia stato.
Qui abbiamo una scimmia giocattolo (ma per carità, non chiamatela così!) che non è nient’altro che il male incarnato.
Perkins sostituisce i fastidiosi piatti stridenti con un altrettanto urtante tamburo su cui l’orrenda scimmia batte le piccole bacchette, dando vita a un macabro preludio di morte. Bisogna proprio augurarsi di non sentirla mai suonare quel maledetto aggeggio, se non si vuole rischiare di fare una fine orrenda.
The Monkey – La morte non può essere controllata
Hal e il suo fratello gemello Bill scoprono, tra i tanti oggetti collezionati da padre, una bizzarra scimmia a carica. Girano la chiave e la bestiaccia inizia a suonare. Poco dopo, la babysitter viene decapitata. E così inizia la danza macabra, tanto per citare King un’altra volta. A ogni rullo di tamburo, accompagnato da una musichina da luna park, corrisponde una terribile morte. La Scimmia – o forse, il fato – non risparmia nessuno, ma proprio nessuno. Ma attenzione! Guai a chiederle commissioni. Lei si arrabbierà e farà comunque di testa sua. Insomma, capita l’antifona, i fratelli chiudono la bestia in una scatola e la gettano in un pozzo. E per molti anni, possono vivere una vita tranquilla.
Ma, come King insegna, a volte ritornano.
E quindi, a distanza di un paio di decenni, eccoci di nuovo alle prese con il letale giocattolo, ehm, strumento di morte.
E qui arriviamo al punto di forza del film, che purtroppo è anche quello dolente: la parte comedy. Le morti sono sì, raccapriccianti, ma al contempo, fanno anche ridere. Perlomeno, questo è l’intento di Perkins. La verità è che alcune scene, grazie all’ottimo montaggio o a fermi immagine studiati ad hoc, risultano anche divertenti. Peccato però, che il tono dovrebbe essere un altro e risata dopo risata, sembra di assistere al peggior Final Destination in circolazione, più che alla trasposizione cinematografica di una storia di King.
Oltretutto dopo un po’ la questione stanca. Va bene la satira, va bene la commedia horror, va bene anche alleggerire la storia, ma non siamo qui per ridere… oppure sì? Francamente, questo aspetto non è chiaro.
C’è anche da dire che gli horror conditi da scene “divertenti” bisogna anche saperli fare, specialmente se carichi di viscere, teste che saltano e corpi ridotti in poltiglia. Ma si sa, di Damien Leone ce n’è uno solo, guardiamo in faccia la realtà. Mica a tutti riesce la stessa magia.
Al netto di questo, anche la morale intrinseca sulla fragilità della vita, purtroppo viene meno. Per non parlare del rapporto tra i due fratelli, dove la crudeltà di uno, finisce per apparire stupida, quasi senza senso.
E rieccoci al cospetto della noia.
Le morti non fanno paura, ma a un certo punto non fanno neanche più ridere.
Davvero un peccato, perché il potenziale è enorme. C’è anche da dire, che persino in Longlegs, non abbiamo assistito a questo spettacolo straordinario che millantava di essere. Tolto Nicolas Cage, truccato come una vecchia zia gonfia di botox, ma comunque performante, il resto risulta piuttosto nullo. Un film piatto, tutto sommato. Di sicuro poco memorabile.
The Monkey fa più o meno lo stesso effetto. Un film che non si può definire piatto, ma è comunque poco incisivo, divertente, finché non ci si ricorda d’essere al cospetto di un horror, con una morale annientata da un humour preponderante e molto, molto ingombrante.
Non il peggior film tratto dalle opere di King (ma qui la lista delle oscenità è talmente lunga…), ma nemmeno tra i migliori. E non c’è bisogno di puntare a Shining (di Kubrick) o a Misery (di Rob Reiner), basta pensare a The Mist (di Frank Darabont). Ecco, il film di Oz Perkins non è minimamente paragonabile, siamo parecchie spanne sotto.
Se siete amanti delle commedie horror, dove la parola chiave è, appunto, “commedia”, beh, vi piacerà un sacco. Se invece siete sostenitori del buon vecchio horror, truce e classico, lasciate stare a prescindere e puntate su altro.
Però, signori, che gran peccato.
In sala dal 20 marzo, distribuito da Eagle Pictures.

The Monkey
Theo James: Hal e Bill
Christian Convery: Hal e Bill da bambini
Tatiana Maslany:
Elijah Wood:
Colin O'Brien:
Rohan Campbell:
Sarah Levy: