Until Dawn: Fino all’Alba – Rivivi l’incubo tra brividi e ironia

Arriva nei cinema l’ennesimo adattamento cinematografico di un videogame. “Until Dawn: Fino All’alba” è un film corale che porta in scena una vera e propria dichiarazione d’amore per il cinema horror più genuino, quello pensato per intrattenere e far divertire senza inutili orpelli. Lo abbiamo visto in anteprima e queste sono le nostre impressioni rigorosamente no-spoiler

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Luci spente, fino all’alba

C’è una storia curiosa dietro la nascita di “Until Dawn: Fino all’Alba” che vale la pena essere raccontata. Il regista svedese David F. Sandberg ha sempre avuto una naturale inclinazione per il genere horror. Fin da ragazzo, quando il padre gli regalò una videocamera VHS-C, ha iniziato a sperimentare con brevi filmati (che con il tempo sono diventati veri e propri cortometraggi), cercando di costruire a una propria voce autoriale. Il punto di svolta arriva nel 2013: uno di questi corti, realizzato a bassissimo costo e diffuso sui social, diventa virale.

Si tratta di “Lights Out, 2 minuti e mezzo di video che catturano l’attenzione dell’industria hollywoodiana. Tre anni dopo il cortometraggio viene trasformato in un lungometraggio (“Lights Out – Terrore nel Buio“), il cui successo è dimostrato dai circa 150 milioni di dollari di incassi al botteghino a fronte di un budget di appena 5 milioni.

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La carriera di Sandberg ha così preso il volo. L’anno successivo, il 2017, al regista svedese venne affidata la regia di “Annabelle 2: Creation“, film prequel di “Annabelle” e quarto capitolo del fortunato franchise “The Conjuring“. Anche in questo caso il riscontro al botteghino è stato strabiliante: oltre 300 milioni di dollari di incasso a fronte di soli 15 milioni di investimento.

Un’incursione dolorosa nel mondo dei cinecomics

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Poi qualcosa dev’essere andato storto. Forse per l’allettante compenso o, più probabilmente, per la possibilità di entrare nel mondo delle grandi produzioni hollywoodiane, vallo a sapere. Il regista svedese decide di accettare la sfida e sedersi dietro la macchina da presa per un cinecomic. Dopo aver rifiutato la regia di “Venomper divergenze interne con la produzione, ha detto sì a “Shazam! (2019), film ispirato all’omonimo supereroe di DC Comics.

Nonostante quello dei cinecomics fosse un genere per lui alieno, Sandberg dimostrò ancora una volta il proprio talento, confermandosi anche con il sequel “Shazam!  – Furia degli Dei (2023). Entrambe le pellicole, incentrate sulle avventure del noto personaggio DC interpretato da Zachary Levi, sono buonissimi film, di certo non inferiori ad altri capitoli del “DC Extended Universe“. Tuttavia, qualcosa si è incrinato, e non per motivi legati alla qualità dei film o all’accoglienza della critica.

Una parte rumorosa e tossica del fandom ha mal digerito il tono leggero e ironico dei due Shazam!, arrivando persino a rivolgere minacce di morte al regista. Un clima tossico e insostenibile amplificato dai social che ha portato Sandberg ad una dolorosa conclusione: «Mai più un film tratto da una proprietà famosa. Non ne vale la pena».

Una promessa di marinaio

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La solenne promessa di David Sandberg è quella che, in termini tecnici, definiremmo “di marinaio”. Troppo forte il richiamo del cinema horror, il genere che lo ha portato al successo. Troppo forte la voglia di ritrovare la libertà creativa cimentandosi con una IP famosa nel campo videoludico. Non è più un mistero, sta diventando una moda. Sono tantissime, e risulta impossibile citarle tutte, le produzioni per il cinema e per la TV che si ispirano a marchi significativi nel campo dei videogiochi.

Il caso più eclatante (e recente) è rappresentato da “Un film Minecraft” (2025), pellicola che si basa sul celebre gioco “Minecraft” creato da Notch e sviluppato dalla Mojang, che, nel momento in cui scriviamo questa recensione, ha superato i 700 milioni di incasso. Impossibile non citare “The Last of Us“, fortunata serie TV giunta alla seconda stagione creata da Craig Mazin e Neil Druckamn, dal nostro punto di vista la migliore trasposizione per il cinema di un videogioco.

Nella testa di Sandberg deve essere passata l’idea ambiziosa di replicare questi incredibili successi, accollandosi il rischio di scontentare la fan base che ha adorato il videogame.

L’ultimo insulto videoludico di Hollywood ?

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Per chi non lo sapesse, “Until Dawn” è un videogioco survival horror sviluppato da Supermassive Games e pubblicato nel 2015 da Sony Computer Entertainment in esclusiva per PlayStation 4. Nel 2025, Sony pubblica per Playstation 5 e Microsoft Windows una versione remastered arricchita da nuovi contenuti. La trama segue un gruppo di ragazzi che si ritrovano in una baita isolata sulle montagne di Blackwood Pines, in Canada, un anno dopo la misteriosa scomparsa di due sorelle, Hannah e Beth, avvenuta durante una vacanza nello stesso luogo.

Il loro soggiorno nella baita si rivela più complicato del previsto. I ragazzi dovranno fronteggiare minacce sia umane che soprannaturali, tra cui un misterioso assassino mascherato e creature note come Wendigo, esseri demoniaci la cui ispirazione arriva dalla mitologia dei Nativi Americani Algonchini. Le decisioni prese dai giocatori di fronte ai bivi narrativi influenzano l’andamento della trama, portando alla sopravvivenza o alla morte dei vari personaggi.

Come in “The Last of Us”, il gioco ha una forte componente narrativa e uno stile “cinematografico” che facilita una trasposizione per il grande schermo. Sandberg compie nuovamente un atto coraggioso. Decide di non replicare fedelmente la trama del gioco ma di crearne una tutta nuova, senza però snaturare le atmosfere e gli elementi portanti del materiale originale. D’altronde, sintetizzare una storia dalla durata di oltre 10 ore in una pellicola da 103 minuti sarebbe un’impresa impossibile.

Dopo la pubblicazione del primo trailer promozionale non sono mancate le critiche preventive. Qualcuno ha addirittura parlato di questo adattamento come «l’ultimo insulto videoludico di Hollywood». Ma è davvero così terribile “Until Dawn: Fino all’Alba” ?

Un gruppo di ragazzi intrappolati in un loop mortale

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La sceneggiatura di Gary Dauberman, sviluppata sulla base di un soggetto di Blair Butler, ci porta in una remota valle che è diventata teatro di misteriosi sparizioni, tra cui quello di una ragazza di nome Melaine (Maia Mitchell). Clover (Ella Rubin), la sorella della ragazza, assieme al suo gruppo di amici, decide di recarsi nel luogo per fare luce sulla vicenda, giungendo in un edificio abbandonato che un tempo era un centro per visitatori.

Il gruppo si ritrova testimone di strani fenomeni sovrannaturali e preda di un misterioso assassino mascherato. La loro morte per mano di quest’ultimo non li farà precipitare nell’oblio eterno. I ragazzi si risveglieranno vivi nello stesso momento in cui il tutto è iniziato, come in un mortale loop. Le loro morti si ripeteranno ad ogni ciclo, sempre più dolorose, sempre più terrificanti. Ad ogni iterazione saranno destinati a perdere un frammento della loro umanità e a subire inquietanti alterazioni fisiche.

Quando scoprono che i loop di cui sono vittime non sono infiniti e che per sopravvivere è sufficiente arrivare incolumi fino all’alba, il gruppo mette in campo tutto il loro ingegno per uscire sano e salvo d quell’inferno.

David F. Sandberg e Gary Dauberman giocano con lo spettatore facendogli vivere un’esperienza simile a quella offerta dal videogioco, dove ogni scelta può alterare radicalmente il corso degli eventi. Nel film, il loop temporale, simboleggiato dalla clessidra presente anche nel manifesto, diventa un espediente narrativo che richiama la meccanica del “Butterfly Effect” del gioco, in cui piccole decisioni conducono a conseguenze imprevedibili.

Uno slasher horror che rispetta il videogioco

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Il videogioco di “Until Dawn” è strutturato in modo tale da incentivare il giocatore a rigiocare più volte il titolo per fargli esplorare sentieri narrativi sempre diversi con la prospettiva di sbloccare nuovi finali della storia. I protagonisti di “Until Dawn: Fino all’Alba” si ritrovano intrappolati in questa stessa dinamica, e questo espediente narrativo non rappresenta solo un rispettoso omaggio al materiale originale da cui è tratto ma anche una fonte di grande divertimento per il pubblico che assiste allo spettacolo.

Il film è ricco di quegli elementi ricorrenti che caratterizzano gli slasher horror che coinvolgono un gruppo di adolescenti: il villino sperduto nel bosco, la cantina ombrosa che nasconde mortali minacce, i jumpscare che fanno saltare dalla sedia. Non manca nemmeno una buona dose di body horror, un sottogenere che sembra tornato vivo dopo il bellissimo “The Substance” (2024) di Coraline Fargeat. Dobbiamo ammettere che, anche in questo caso, gli effetti visivi e il trucco sono di ottima fattura.

E non è un caso, dal momento che questi sono curati da “Applied Arts FX Studio“, noto per il lavoro in film come “Hereditary(20128) e “Thanksgiving(2023), il cui approccio predilige l’ausilio di trucchi prostetici e effetti realizzati in camera, minimizzando al massimo l’uso della CGI (vedere per credere).

Non manca nemmeno una buona dose di autoironia. “Until Dawn: Fino all’Alba” è una pellicola che non si prende sul serio. Alcune scelte stilistiche sono mirate esclusivamente a far divertire il pubblico. Le esplosioni dei corpi al contatto con misterioso liquido velenoso, il muro di pioggia che delimita l’area dentro la quale si muovono i personaggi e altre singolari trovate sono li per dire allo spettatore: «ci stiamo divertendo, seguiteci».

I momenti che strappano un sorriso sono numerosi, ma questi non sono invadenti e stucchevoli come in recenti produzioni simili (qualcuno ha detto “The Monkey” ?). Infine, la fotografia (affidata a Maxime Alexandre) e l’impianto scenografico (curato da Jennifer Spence,  significativo l’ottimo lavoro su “Tenet“, pellicola del 2020 di Christopher Nolan) sono di grande impatto. Le location, tutte molto suggestive, richiamano quelle del gioco portando lo spettatore che si è dilettato con il controller alla mano su territori a lui familiari.

“Until Dawn: Fino all’Alba” restituisce l’essenza più genuina del genere horror

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Until Dawn: Fino all’Alba riporta sul grande schermo l’essenza più genuina del genere horror, che è priva di particolari pretese intellettuali, che nasce con il solo scopo di divertire il pubblico e lontana dalle recenti produzioni cerebrali o pigre. Durante la proiezione, ci siamo immersi in un’atmosfera che ci ha riportato indietro nel tempo, a quando da ragazzi dopo la scuola ci rifugiavamo nelle piccole sale cinematografiche di quartiere con l’entusiasmo di chi si stava per divorare l’ennesimo slasher horror, sommersi tra dolciumi e popcorn condivisi con gli amici e lanciati ai poveri spettatori che ci sedevano accanto.

Until Dawn: Fino all’alba non è certo un capolavoro del cinema horror. Se siete appassionati del genere, troverete sicuramente pellicole migliori. Tuttavia, la risposta alla domanda iniziale è: no, non è un film terribile come alcuni vorrebbero far credere. Anzi, si lascia guardare con piacere, superando le aspettative e le critiche preventive che lo hanno preceduto.

“Until Dawn: Fino all’Alba” è al cinema a partire dal 24 aprile, distribuito da Sony Pictures Italia.

Until Dawn: Fino all'Alba

Until Dawn: Fino all'Alba

Paese: USA
Anno: 2025
Durata: 103 minuti
Regia: David F. Sandberg
Distribuzione: Eagle Pictures
Cast:
Ella Rubin,
Odessa Adlon,
Michael Cimino,
Ji-young Yoo,
Belmont Cameli
Voto:

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Mr. Rabbit

Stanco dal 1973. Ma cos'è un Nerd se non un'infanzia perseverante? Amante dei supereroi sin dall'Editoriale Corno, accumula da anni comics in lingua originale e ne è lettore avido. Quando non gioca la Roma

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