L’editoriale del nostro direttore, in ricordo del grande Sergio Bonelli, scomparso il 26 settembre 2011
Il 26 settembre 2011 si è spenta una luce.
Una luce che ha illuminato un mondo che ne aveva disperatamente bisogno.
Sergio Bonelli non era semplicemente un autore o un editore. Era molto di più per il fumetto italiano.
Era l’ultimo baluardo di un’editoria che sparisce con lui, un uomo capace di credere che una parola stampata potesse valere 1000 videogiochi, che un bel disegno non poteva temere alcun tipo di concorrenza mediatica. Sergio Bonelli nel fumetto ci credeva.
Ci credeva così tanto che non è mai dovuto ricorrere ad alcun tipo di restyling, per i suoi personaggi: per loro pretendeva unicamente belle storie e bei disegni. Sono quelli a fare la differenza, non un cambio di costume, un logo scintillante o chissà quale altra diavoleria.
In primis veniva il racconto, sarebbe stato quello ad appassionare. Chi l’ha conosciuto mi racconta di quanta fatica abbiano dovuto fare i suoi collaboratori per fargli accettare l’idea che tutto sommato alla casa editrice un sito Internet serviva. Ha dato il suo assenso alla fine di varie discussioni, ma in cuor suo ha sempre continuato a pensare che un suo editoriale su Tex o sul “Giornale della Sergio Bonelli Editore” fosse molto più adatto a parlare con i suoi lettori. Che non l’hanno mai abbandonato, con buona pace della crisi dell’editoria.
Il tempo passava inesorabile, ma i suoi fumetti erano lì, sempre uguali ma sempre diversi, una certezza in un Paese in cui di certo, ormai, non c’è più niente. È riuscito a fregarsene della fredda logica degli affari e a imporre il calore della passione, creando uno dei più grandi colossi editoriali d’Europa. Se avesse ceduto al marketing, al fascino della rete, alle mode del momento e alle lusinghe del cinema oltre i due miseri film realizzati, probabilmente sarebbe stato ancora più ricco, ancora più conosciuto.
Ma probabilmente a lui non importavano queste cose.
Lui voleva belle storie e bei disegni. Tutto qui.
Ora, non fraintendete questo articolo come se fosse il ricordo di chi lo conosceva bene, di un amico o di un parente: non ho mai avuto la fortuna d’incontrare Sergio Bonelli, ogni cosa che ho visto o letto è stato unicamente grazie alle rare interviste che concedeva o attraverso i suoi editoriali, in cui ci parlava – a noi lettori – in un modo talmente schietto e diretto, che era davvero come se fosse lì, davanti a noi. A spiegarci perché era stato costretto ad aumentare il prezzo di una collana, magari chiedendo anche scusa. A farci capire che a volte il mercato può essere spietato e che alcune collane, nonostante tutta la passione del mondo, proprio non potevano farcela a navigare nel grande mare delle edicole. Non lo so, leggerlo era come fare una chiacchierata con un nonno che ti spiega come va il mondo. Io la vedevo così e spero vivamente che questa frase venga presa nel modo più affettuoso possibile: ogni volta che dalle pagine del suo Giornale introduceva una serie o un autore, riusciva quasi a farti capire quanto lavoro, sudore e sacrificio c’era dietro a ogni pagina. In questo era unico: non ti convinceva a comprare una serie facendo leva su chissà quali slogan: ti spiegava proprio l’idea che c’era alla base, perché era giusto raccontare questa storia e come mai era stato scelto proprio quel disegnatore lì.
Fattorino, magazziniere, redattore, autore, direttore, editore: Sergio Bonelli è stato il tuttofare del fumetto italiano, anche se «La vera fatica è la responsabilità di avere tante persone», si legge in un’intervista del 2002 a Ink 22. «Quando eravamo quattro gatti, c’era l’impressione che fosse un gioco che tu potessi smettere da un momento all’altro. Adesso è diventata un’azienda pesante, come numero di persone, e questo senso di responsabilità si sente». E sì. Perché lui è riuscito nell’incredibile impresa di creare e rendere solida un’azienda che si basa unicamente sul fumetto italiano, facendola diventare un’istituzione (sono persino stati coniati i termini Bonelliano e Bonellide) del nostro Paese: per un autore italiano, poter lavorare in Bonelli è un traguardo, una medaglia d’appuntarsi sul petto.
Se la vita di Sergio Bonelli fosse stata un fumetto, probabilmente ne sarebbe uscita una storia perfetta, con l’uomo comune che batte i tempi moderni soltanto con una manciata di ottime idee e nient’altro…
Invece è stata una storia vera.
Ed è stata fantastica.
Proprio come piacevano a lui.
Ciao, Sergione. Grazie.
Mr. Kent