Dopo un lungo silenzio…
Ecco che, in tempo per uno dei più celebri riti pagani, il Dr. Connors esce dal suo laboratorio per tornare a deliziarvi con un argomento sviscerato in più e più modi: il vampirismo.
Torno a scrivere dopo un sacco di tempo su un argomento che avevo pianificato di trattare circa due mesi e mezzo orsono. Dopotutto, ora che è halloween non posso trattenermi dal pubblicare le mie riflessioni su un argomento molto di moda negli ultimi anni: i vampiri ed il vampirismo.
A partire dai racconti di natura gotica, che affondano le radici nelle tradizioni balcaniche (parlo dei due capisaldi della letteratura: “Dracula” di Bram Stoker, che in realtà ha preso spunto dal meno noto “Il vampiro” di John Polidori), l’immaginario collettivo ha sviluppato una vera e propria fissazione nei confronti del vampirismo. La figura si è evoluta nel tempo, adattandosi al contesto sociale ed al segno dei tempi, mostrando la malleabilità di un personaggio che è destinato ad essere immortale sia sulla carta stampata, che sul grande e piccolo schermo… ma soprattutto nella mente delle persone. L’aspetto su cui intendo incentrare la mia attenzione riguarda la dieta preferita di un vampiro, che in letteratura è trattata ponendo più o meno l’accento sulle modalità di nutrimento: il sangue.
Facendo i vampiri parte di un mondo molto incentrato sull’aspetto gotico, difficilmente ci si sofferma a riflettere su come in natura esistano degli esempi di creature tanto ben caratterizzate da permetterci di tracciare un profilo sulle modalità di predazione e dieta paragonabile al loro.
Le creature a cui mi riferisco hanno la caratteristica di trarre il proprio nutrimento dal sangue e sono definite ematofagi. L’ematofagia, strano ma vero, è una pratica piuttosto diffusa tra alcune specie. In particolare, ho intenzione di trattarla riferendomi ad uno specifico insetto: le stramaledettissime zanzare.
Questo genere di parassitismo, per cui il nutrimento di una specie, il predatore (o il succhiante), porta un diretto svantaggio per un’altra, l’ospite (o il succhiato), è scientificamente caratterizzato. In particolare, si riconoscono 4 fasi nella predazione e nel nutrimento che caratterizzano tutti gli ematofagi, e che nell’immaginario collettivo possono essere ugualmente associabili sia ai maestosi e intimorenti vampiri, sia a quelle zanzare rompiscatole.
Qualunque ematofago che voglia nutrirsi efficacemente di sangue deve fare i conti e risolvere alcuni problemi di base:
- Localizzare l’ospite;
- Raggiungere il sangue;
- Acquisire il sangue;
- Digerire il sangue.
Messa in questo modo, ci si rende subito conto di quanto in realtà un ematofago debba prodigarsi per poter ottenere un nutrimento sufficiente al proprio sostentamento. Di seguito descriverò nel dettaglio, ma senza scadere in un formalismo troppo accademico, ciascuna delle seguenti fasi che tutti gli ematofagi (vampiri compresi) devono assolvere.
Per quanto riguarda la localizzazione dell’ospite, esistono principalmente 2 soluzioni adottabili: nel primo caso, le dolci creaturine vi si associano in maniera permanente. Questo è il caso dei pidocchi e delle pulci. La seconda soluzione, adottata da organismi più furbi e complessi, è quella di condividere il medesimo habitat, per sfruttare in maniera temporanea l’ospite solo quando è necessario: questa classe è definita degli ectoparassiti temporanei, e comprende zanzare e anche i vampiri. Un’informazione che personalmente trovo affascinante e molto raffinata è che gli scienziati dividono questi ectoparassiti in due gruppi: diurni e notturni, consentendo così al fanatico di letteratura gotica medio di classificare ufficialmente i vampiri tra gli ectoparassiti temporanei notturni. Soffermandoci sul gruppo dei temporanei, e tralasciando in questa breve trattazione pidocchi e pulci, ci dobbiamo chiedere a questo punto come possano localizzare l’ospite. Ebbene, a seconda che si tratti di ematofagi notturni o diurni abbiamo soluzioni differenti. I diurni utilizzano tipicamente degli stimoli visivi, quindi banalmente guardano ed osservano. I notturni, invece, utilizzano sia stimoli visivi, anche se in misura minore, sia mezzi ben più raffinati: stimoli sensoriali come calore, vapore acqueo, anidride carbonica (tipici della respirazione, caratteristica condivisa dagli esseri viventi ed apparentemente assente nei vampiri) e componenti del sudore che vengono captati da appositi recettori termici ed olfattivi. I vampiri sono, per questo motivo, degli eccellenti predatori.
Altro tasto dolente della nutrizione riguarda il secondo punto, ossia il raggiungimento dei vasi sanguigni. In questo caso, il discorso è più semplice. In natura si sono sviluppate due tipologie di nutrizione:
- Gli ematofagi che utilizzano un apparato pungitore-succhiatore, in grado di nutrirsi direttamente nel capillare usando uno stiletto molto lungo (come ad esempio le zanzare);
- Gli ematofagi che utilizzano un apparato laceratore-succhiatore, provocano lesioni rompendo i vasi sanguigni, si formano delle pozzette ematiche da cui l’insetto succhia il sangue (come la mosca tse-tse o i pappataci, responsabili della trasmissione della leishmaniosi).
Risulta evidente come i vampiri, anche in questo caso, presentino delle analogie con la tecnica adoperata dalle zanzare. I due piccoli fori lasciati dai loro canini, infatti, non creano pozzette ematiche e quindi piccoli lividi; raggiungono direttamente il vaso sanguigno.
Il terzo problema concerne l’acquisizione del sangue. Quando ci tagliamo si avviano immediatamente una serie di meccanismi che stimolano l’aggregazione piastrinica per “tappare il buco” appena creatosi, nonché la coagulazione, che limita la perdita di globuli rossi. Risulta evidente dunque come l’ematofago debba far fronte ad una serie di efficaci meccanismi che rischiano di fargli ingerire solo acqua. A quel punto, se gli fosse sufficiente, gli converrebbe andare a nutrirsi alle numerose fontanelle presenti ai bordi delle strade. Tuttavia, essendo anche loro furbi, contengono nella loro saliva una serie di componenti che vanno a bersagliare queste diverse parti della risposta emostatica, riuscendo dunque ad acquisire le proteine necessarie per il loro sostentamento.
Per quanto riguarda l’ultimo punto, non mi soffermo particolarmente in quanto troppo specifico e di poco interesse. Risulta rilevante solo per un aspetto che poco ha a che fare con i vampiri, ossia il rischio che gli ematofagi, bevendo sangue, ingeriscano accidentalmente degli agenti patogeni o delle sostanze nocive in grado di metterne a rischio la salute. Mi limito a dire che solitamente l’intestino degli ematofagi produce una membrana, detta membrana peritrofica, che ha due funzioni: da una parte consente il passaggio degli enzimi utili a digerire le proteine ingerite, dall’altra funge da barriera contro gli agenti patogeni. Questo conferisce una notevole resistenza all’ematofago, consentendogli di acquisire selettivamente solo i nutrienti a lui necessari.
Insomma, se da una parte la vita da ematofago è pesante e piena di rischi, dall’altra le relative caratteristiche fisiche gli consentono di fronteggiare praticamente tutti gli inconvenienti del mestiere. Sto scrivendo queste poche righe dopo aver passato la notte a scacciare una zanzara fastidiosa, per poi svegliarmi stamattina con una bolla su una guancia. Quindi direi che si può aggiungere tranquillamente una quinta peculiarità: sono pazienti, moolto più pazienti di noi. Sti rompipalle.
Se per le zanzare provo fastidio, nonostante mi affascini la loro biologia, per il genere vampiresco provo un timore quasi reverenziale, poiché si è sviluppato nel tempo delineando le caratteristiche che fanno realmente parte della famiglia degli ematofagi, nonostante gli autori dei vari racconti non ne fossero (presumibilmente) a conoscenza. Siamo dunque di fronte ad una figura carismatica, che ha vita propria ed è destinata a perdurare nel tempo.
Ma allora ho una domanda: cosa è andato storto negli ultimi anni? Forse qualcuno dovrebbe aggiustare il tiro.
Dottor Connors