Sarà perché i mattoncini sono nella nostra vita più di quanto immaginiamo – del resto, è sufficiente ricordare quanto ci hanno detto a scuola nelle lezioni di scienze -, ma la Lego continua ad esplorare l’universo umano dal di dentro. Dopo la solitudine di Batman, il tema centrale di Lego Ninjago – il film è la paternità difficile. Garmadon, malvagio fratello del maestro Sensei Wu, è un signore della guerra che vuole conquistare la città di Ninjago. Ogni giorno scatena il proprio esercito, con il suo seguito di distruzione. Naturalmente non riesce, ma fa sì che suo figlio sedicenne, Lloyd, venga sempre più emarginato a scuola; Lloyd, però, nasconde un grande segreto: è uno dei Ninja chiamato a difendere proprio chi lo esclude. La trama è semplice, ma come nel mondo reale, nel quale la figura maschile appare sempre più in difficoltà, fra lavoro che non si trova, cerette, barbe hipster ed istinti primordiali crescenti, anche nel regno della fantasia le cose non sono così lineari come può sembrare a prima vista. Qual è il confine fra giusto e sbagliato? Cos’è più importante il lavoro, pure se di signore della guerra, o insegnare al proprio figlio come lanciare o prendere un oggetto? Perché è spesso la madre a dover rinunciare alla carriera, in questo caso di signora della guerra, per tirare avanti la carretta? Insomma, le mille domande che molti si pongono ogni lunedì mattina alzandosi. Il film è ben costruito, compresa la doppia sorpresa dell’arma definitiva e della definitiva arma definitiva, con una carezza che alla fine salverà l’umanità o, quanto meno, i tanti microcosmi Lego che prendono vita nelle camerette di milioni di bambini da tre a novantanove anni.
Greystoke