Abbiamo visto in anteprima Downsizing – Vivere alla grande, l’ultimo film di Alexander Payne con Matt Damon, Kristen Wiig, Hong Chau e Christoph Waltz. Ecco cosa ne pensiamo:
Paul Safranek (Matt Damon) è un terapista occupazionale, un uomo medio con difficoltà economiche, che rincorre la fine del mese e il sogno di una vita più soddisfacente e meno faticosa. Lo vediamo vivere prima con la madre poi con la moglie Audrey (Kristen Wiig), senza che nessun cambiamento riesca a scalfire il suo ruolo. Finché un giorno la coppia decide di sottoporsi al “rimpicciolimento”, una procedura irreversibile e ormai utilizzata da decenni, che li ridurrà ad esserini di circa 12 cm di altezza.
L’idea del rimpicciolimento dell’essere umano nasce come rimedio al sovraffollamento e all’eccessiva produzione di rifiuti che ormai da anni aggravano l’emergenza climatica. Un villaggio composto da centinaia di persone può occupare infatti un’area di pochi metri quadrati e produrre nell’arco di quattro anni l’equivalente di una sola busta di rifiuti. I vantaggi dell’operazione si fanno sentire anche sul piano economico, nel momento in cui i beni ridotti a dimensioni piccolissime possono essere acquistati a un prezzo irrisorio e gli abitanti vedono improvvisamente il loro patrimonio moltiplicarsi e la vita dei loro sogni a portata di mano.
Questo è lo scenario in cui Paul e Audrey decidono di tuffarsi, ma mentre vediamo il marito sottoporsi all’intervento, la moglie spaventata, si tira indietro avvertendolo solo dopo della sua decisione. Paul si ritrova così solo, in un nuovo mini mondo, pieno di opportunità.
Ma se è vero che tutto assume un valore più alto rimpicciolendo, non ci vuole poi molto a capire che la società rimarrà quello che è: chi possiede tanto avrà tanto, chi non ha niente continuerà a non avere niente. Lo scopriamo imbattendoci in Ngoc Lan Tran (Hong Chau), una dissidente vietnamita rimpicciolita contro la sua volontà, entrata in America clandestinamente all’interno di uno scatolone e che per colpa del viaggio ha subito l’amputazione di una gamba. È nel quartiere in cui lei vive, lontano dalle comodità e dalla ricchezza promessa, tra persone in fin di vita o dimenticate dal mondo che Paul comincia ad aprire gli occhi. Questo è solo uno dei momenti che nel corso del film mostrerà l’altra faccia delle promesse, dei buoni propositi e delle opportunità.
Gli spunti di riflessione a partire dal rimpicciolimento sono infatti molti e offrono al film un grande potenziale satirico, che però a mio parere non viene sfruttato. Ogni ombra sulla società, ogni polemica, ogni risvolto negativo non viene mai approfondito, rimane solo un accenno e la storia prosegue senza curarsene.
Perché? Perché non è quello il punto.
Il punto è la ricerca senza fine di qualcosa di grande che ci spinge di volta in volta verso qualcosa di più grande ancora, sperando costantemente di trovare un senso a quello che facciamo e renderlo un percorso più sensato ai nostri occhi.
È vero infatti che Paul sceglie di farsi rimpicciolire per cambiare vita, ma è affascinato dall’idea di aver aiutato il pianeta, di aver partecipato a qualcosa di superiore che rappresenti uno scopo. Dal primo momento in cui lo vediamo la sua vita ci appare ripetitiva, insoddisfacente e senza dubbio fuori dal suo controllo; il rimpicciolimento gli offre la giusta occasione per vederla come il tassello di un puzzle, il suo contributo all’interno del grande gioco dell’universo.
Rincorrendo questa idea, l’operazione risulta solo l’inizio di un viaggio potenzialmente senza fine, che Paul percorre cercando qualcosa di sempre più “nobile”: la salvaguardia del pianeta, il ritorno alle origini del progetto di Downsizing, il salvataggio della razza umana, il trasferimento in una moderna Arca di Noè… un crescendo che procede come una corsa in salita e che a un certo punto ci fa chiedere “qual è il senso?”.
Ed è quello che si chiederà anche Paul, bloccandosi poco prima dell’ultima grande impresa, realizzando che il suo viaggio non finirà mai. Sono le sue stesse parole che gli risuonano in testa: «Se tutto questo non ha senso, allora io chi sono?» e improvvisamente il rimpicciolimento, il trasferimento, i cambiamenti e le grandi imprese sbiadiscono di fronte a ciò che è il vero oggetto della ricerca: sé stesso.
Citando il New Yorker, «He didn’t need to get shrunk in the first place. He needed a shrink»: non c’è mai stato davvero bisogno del rimpicciolimento, il suo viaggio doveva essere quello interiore, tanto che il contesto risulta a un certo punto insignificante.
Non apprezzeremo mai nessuna grande impresa, non saremo mai abbastanza soddisfatti di nessun grande progetto, di nessun premio, riconoscimento e traguardo, se prima non riusciamo a cogliere la bellezza e l’importanza del minimo: la forza che abbiamo alzandoci la mattina e affrontando la routine, il profumo della colazione e il piacere di un pasto caldo, il sorriso di qualcuno che ci ringrazia, noi stessi e il piccolo spazio che occupiamo nel mondo. Questo è il messaggio più bello del nuovo film di Alexander Payne, e la nuova visione di Paul, mentre lo vediamo tornare a casa con la soddisfazione e l’orgoglio di essere semplicemente “Paul Safranek, a good man”.
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