Il destino a volte è crudele e non guarda in faccia nessuno, nemmeno chi da bambino è costretto prematuramente a perdere un proprio compagno di giochi. La vita va avanti e la crescita porta ognuno di noi verso la propria strada, ma quanti legami si spezzano davvero? Com’è possibile sopportare il ricordo di chi non c’è più? Ecco Ano Hana, la toccante storia di un gruppo di amici legati da un’esperienza struggente.
Ci sono storie che raccontando la quotidianità dei protagonisti riescono a toccare tematiche profonde senza forzature e dando grande spessore ai personaggi. È il caso di Ano hi mita hana no namae o bokutachi wa mada shiranai (Ancora non conosciamo il nome del fiore che abbiamo visto quel giorno), conosciuto più sinteticamente come Ano Hana, anime di undici episodi diretto da Tatsuyuki Nagai e prodotta dalla A-1 Pictures.
L’incipit è accattivante: Jintan è un adolescente che ha lasciato la scuola e si vergogna così tanto di come sta andando la sua vita che cambia strada quando rischia di incrociare i vecchi amici d’infanzia. Anaru, apparentemente superficiale e molto attenta all’idea che gli altri hanno di lei; Poppo, solare e giocoso, da poco tornato in Giappone e che vive di lavori saltuari; Yukiatsu e Tsoruko, che frequentano il liceo di alto livello, eccessivamente competitivi. Tutti assieme da piccoli avevano nominato il loro gruppo “Super Buster della pace”, insieme a un’altra bambina, Memna. Purtroppo, quest’ultima muore in un incidente e gli amici lentamente si perdono di vista. Jintan, un giorno, si accorge di poter vedere e parlare con lo spirito di Memna.
Lei vuole che lui esaudisca un desiderio, lo stesso che aveva prima di morire, che però non riesce a ricordare. Si riavvicineranno ai loro vecchi compagni di giochi e assieme scopriranno che nessuno di loro ha mai realmente superato la morte di Memna.
Ogni personaggio è ben caratterizzato e ha problematiche definite, ricorrenti nella nostra società (e forse estremizzate in Giappone): l’eccesso di competizione o il suo contrario, la rinuncia a trovare il proprio posto nella società, abbandonando gli studi, come fa Jintan, o la paura di Aruko che gli altri la giudichino male. Durante la serie i ragazzi riusciranno a capire quali sono le motivazioni alla base dei loro problemi personali e potranno andare avanti, crescendo.
Temi come l’elaborazione del lutto, le responsabilità della crescita, ma soprattutto la nostalgia che i protagonisti provano, già da adolescenti, verso il paradiso perduto dell’infanzia vengono trattati senza esagerazioni e drammatizzazioni eccessive, anche se non mancano i momenti emozionanti (scommetto che anche al più cinico scapperà una lacrimuccia nello splendido finale).
L’animazione è di buon livello (a parte qualche scena digitale che poteva essere risparmiata) e ogni dettaglio è curato, in particolar modo la colonna sonora, che sottolinea i momenti più importanti. La sigla iniziale dell’anime (Aoi shiori, dei Galileo Galilei) è orecchiabile e le immagini ben rappresentano le atmosfere https://www.youtube.com/watch?v=4HHcnKgOyTQ e la finale (Secret base – Kimi ga cureta mono degli Zone) è perfetta per i momenti più commoventi.
Ano hi mita hana no namae o bokutachi wa mada shiranai incuriosisce anche perché permette di conoscere qualcosa in più rispetto al Giappone, in quanto viene raccontata la vita di tutti i giorni dei protagonisti ed è capace di regalarci uno spaccato di tradizioni e religione buddista, accompagnandoci a visitare gli altari nelle case per ricordare i defunti e facendoci partecipi di riti antichi, non sempre del tutto comprensibili da noi occidentali, fino ad arrivare alla stessa Memna che desidera raggiungere il nirvana.
Piccola nota dolente è il fatto in Italia non è mai stato tradotto il film che ne è stato tratto: la storia vede riuniti un anno dopo gli eventi della serie i “Superbuster della pace” e racconta la vicenda dal punto di vista di Memna. Speriamo arrivi presto l’edizione italiana!
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