Non sono l’unica a dispensare atti d’amore verso il mondo di Lupin III. Ci siamo lasciati con Lupin III: La Pietra della Saggezza, primo storico lungometraggio dedicato alla creatura di Monkey Punch. Oggi ripeschiamo Basette, cortometraggio del 2008 della brillante coppia Mainetti – Guaglianone
Basette è un piccolo gioiello italiano e – soprattutto – un’intuizione che a distanza di anni, possiamo confermare abbia fatto centro. Nel 2015 usciva nelle sale Lo chiamavano Jeeg Robot grazie proprio a quel banco di prova in grado di dimostrare che la subcultura giapponese è parte integrante di quello che siamo. Claudio Santamaria è il nostro Hiroshi Shiba; Valerio Mastandrea, Lupin III.
Basette si muove nella periferia romana raccontandoci, con sottile ironia, la microcriminalità. Le creature di Monkey Punch diventano l’involucro perfetto per narrare un panorama realista, amaro, popolato da ambigue figure caricate proprio dall’ambiente che le circonda.
Prima ancora che Basette vedesse luce, nessuno aveva dubbi. Se mai si fosse prodotto qualcosa in Italia su Lupin, solo Valerio Mastandrea avrebbe potuto indossare con credibilità la leggendaria giacca rossa. Somiglianza a parte, Mastandrea è l’istrionica maschera del cinema italiano – quello bello – e, sopra ogni cosa aggiungo io, non ha mai fatto mistero della sua passione per un po’ di sana giappocultura. Non solo il protagonista di Basette è perfetto. Daisuke Jigen è interpretato da un mostruoso Marco Giallini mentre Goemon dal bravissimo Daniele Liotti. Tre attori perfetti per tre leggende animate. Chiudono brillantemente il cerchio Luisa Ranieri nei panni di Fujiko e Flavio Insinna in quelli dell’Ispettore Zenigata.
Non si gira in carne e ossa una puntata di Lupin. Basette racconta con intelligenza un mito intramontabile legato alla nostra crescita avvenuta in parte davanti alla tv. Antonio è figlio di borgata, quella romana del Quadraro. Il più piccolo componente di una famiglia di ladri alla meno peggio che puntualmente svaligiano l’Upim sotto Natale, per rivendere i giocattoli a Piazza Navona durante l’appuntamento della Befana. Dai casermoni popolari del Quadraro a quelli di Tor Bella Monaca; dalle avventure di Lupin III in televisione all’arresto della mamma di Antonio che ruba per lui il costume di carnevale del ladro di Monkey Punch.
Antonio sognava di diventare ricco e furbo come Lupin, ma la vita è tutta un’altra storia. Nessuna ricca contessa o casinò da svaligiare: il colpo si farà all’ufficio postale. Il sogno di una rapina che deve segnare una svolta, rivela tutti i suoi difetti, perché nessuno, in fondo, può realmente essere Lupin. Nonostante questo, Basette ci crede così tanto da riuscire a miscelare perfettamente la fantasia con la realtà. Il faccia a faccia tra Lupin e Zenigata, il ferire perfetto di katana dell’amico Tony che diventa Goemon nella centrale della polizia, difficilmente si riescono a dimenticare.
Mainetti rende omaggio a quel mostro sacro di Lupin parlando della periferia romana. Riprende i primi piani di Kyōsuke Mikuriya nei dialoghi, apre il campo su Fujiko al momento giusto. Riesce a dar vita e a sviluppare in soli diciassette minuti un soggetto originale in cui i personaggi d’animazione sono presenti senza mai palesarsi fino in fondo. Ed è proprio questo il bello. Non è chiaro, e davvero poco importa, quale sia il confine tra l’amara verità e l’anime, tra il desiderio di essere il nostro eroe, fosse pure un ladro, e il limitarsi a indossare un costume di carnevale per sopravvivere.
Il mio primo giorno da ladro è iniziato con le lacrime. Vorrei che l’ultimo finisse con un sorriso.
E quel sorriso amaro si realizza in una scena che commuove, perché ci riporta definitivamente alla realtà. Antonio sorride notando un bambino con la felpa di Cowboy Bepop. Spike Spiegel forse non raggiungerà mai la grandezza di Lupin III, ma lo possiamo considerare un degno successore. E così Basette ci saluta, strizzando benevolmente l’occhio ai nuovi eroi impressi nelle nostre felpe, t-shirt che sfoggiamo ogni qualvolta ci sentiamo liberi di essere noi stessi. Lo fa mentre la periferia ci risucchia e, in questo caso, non ci lascia scampo perché ormai è troppo tardi.
Basette è una contaminazione perfetta. È un atto d’amore di cui ogni appassionato di Lupin III dovrebbe fare tesoro.
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