Abbiamo letto Mazinga Nostalgia, lo straordinario saggio di Marco Pellittieri arrivato alla sua IV ristampa, che stavolta esce per Tunué, con un’edizione rinnovata e ampliata. Ecco cosa ne pensiamo
Marco Pellitteri è un punto fermo nel mondo che gira. In quel mondo dove tutto va terribilmente nella direzione sbagliata, pieno di notizie parziali, fonti contraffatte; ricerche veloci e risposte insoddisfacenti. Pellitteri è come il Rocchi per le versioni di greco o la Treccani quando cerchiamo il significato di una parola.
Mazinga Nostalgia, rieditato da Tunué, è una specie tristemente in via d’estinzione. Controcorrente si prende il suo tempo fino a quando non è sicuro di farvi sentire a proprio agio in sua compagnia; il che accade sorprendentemente dopo le prime venti pagine nonostante ne conti più di mille.
Uno studio storico e sociologico prezioso, minuzioso. Bello (anche da vedere oltre che da leggere).
Parto, come accade spesso, da considerazioni care per chi scrive. Essere parte di una famiglia che con orgoglio si firma MegaNerd, vuol dire, tra l’altro, aver trovato delle persone care che condividono un percorso di formazione altamente influenzato dalla cultura fumettistica e animata proveniente, tra l’altro, dal Giappone. Leggere Mazinga Nostalgia ci ha fatto sentire ancora di più parte di qualcosa di bello. Finalmente.
Pellitteri legittima con cognizione la portata di un fenomeno che oramai i più si limitano a riconoscere – sempre con un po’ di spocchia che non li abbandona nel prenderne atto – mentre lui, da molti anni ne spiega l’importanza senza che quest’ultima sovrasti le altre componenti culturali che ci contraddistinguono e che Pellitteri, con calma, decifra a dovere.
Mazinga Nostalgia parla di una generazione attraverso specifici canali espressivi. Una generazione nata in piena guerra fredda con una babysitter catodica a casa, e i fumetti comprati in edicola a turno con gli amici. Di strada ne ha fatta tanta quella generazione, che ha iniziato così a volare alto con la fantasia, superando il cemento della città. Ha imparato da eroi improbabili a farsi forza, conosciuto una cultura lontanissima prima che Internet annullasse di colpo le distanze. E tutto questo sì, ci fa essere nostalgici, come suggerisce il titolo dell’immenso lavoro dell’Autore.
Eppure non solo di nostalgia si tratta. Sarebbe riduttivo leggere i due tomi che compongono l’opera e concludere che sia solo un bel tuffo nel passato. Lo studio è profondamente attuale. Da una parte il fenomeno in discussione sta vivendo una seconda età dell’oro proprio in casa nostra. Basti pensare che appena l’anno scorso Mazinga Z Infinity è stato proiettato nelle nostre sale prima ancora che in Giappone o al ritorno corposo delle pubblicazioni d’autore ad opera delle nostre case editrici; ancora, l’accoglienza a braccia aperte da parte dei fan di vecchia data di Devilman Crybaby. E mi fermo qui. Più che di nostalgia si tratta di qualcosa che non se ne è mai andato e che si reinventa per il piacere dell’ormai iconica Goldrake Generation e per chi è venuto dopo di loro.
Dall’altra, finalmente, si dà il giusto peso a quella che per troppo tempo è stata etichettata con disprezzo come subcultura o banale cultura pop; come se in questi sottogeneri si nasconda qualcosa di indefinibile o peggio, di spregevole. Un po’ come in campo musicale, avete presente? Si etichetta un genere come indie perché non si sa di cosa si sta parlando.
Pellitteri è dalla parte dei buoni e con pazienza spiega, racconta, approfondisce. Perché benedetti ragazzi miei si deve approfondire, studiare per capire un fenomeno. Sta tutto lì.
Mazinga invece è solo un simbolo, un nome per racchiuderli tutti. Da pasionaria del Maestro Nagai non posso che essere felice che sia assunto a titolo. La cosa bella è che il rimando è immediato. Evocare Mazinga richiama un universo pieno di arte corposa, comunicativa che proviene dal Giappone. Dio, il Giappone.
Dopo aver finito Mazinga Nostalgia mi sono chiesta come sarebbe stata la mia vita se non avessi comprato la mia prima “sottiletta” di Dragon Ball; se non avessi mai visto Porco Rosso o Gundam. Se un tizio improbabile incontrato in fumetteria non mi avesse regalato il primo volume di Devilman. E infine, se le opere di Osamu Tezuka non fossero parte di me così in profondità da esserne diventata gelosa. Chissà. Quello che è certo è che il cemento della periferia sarebbe stato solo grigio invece che un punto di partenza per vedere tutti i colori che si nascondono dietro di lei.
Fate tesoro di opere come queste. Sono la nostra memoria viva.
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