Ragazze Cattive: il graphic novel di Ancco, la portavoce di un’intera generazione

Abbiamo finalmente messo le mani su Ragazze Cattive, l’opera di Ancco portata in Italia da Canicola… e ci ha davvero stupito per la sua intensità. Questa è la nostra recensione

Ragazze cattive fa male. Immergersi nell’opera di Ancco e far finta di nulla è impossibile. Probabilmente la quasi totalità dei lettori che si avvicineranno alla storia di Chinju e Jeong-ae l’adolescenza l’avranno passata da un pezzo e trovarsi a ricordare cos’abbia voluto dire stringere i denti e andare avanti fa mancare la terra sotto ai piedi. Soprattutto se a doverlo fare sono le ragazze di un tempo, quelle che con coraggio sono diventate le donne di oggi.

Dalla Corea è giunta sino a noi l’opera di un’autrice che si fa portavoce del disagio giovanile che, seppur calato in un’altra decade e in un Paese lontano, cattura perfettamente l’irrequietezza e la fragilità di ognuno; dei sopravvissuti certo, ma anche di coloro che dalla gabbia di quegli anni, stanno cercando di evadere adesso. Girate le spalle e non ascoltate chi si riempie la bocca con ridondanti sproloqui su quanto sia bella quell’età e che tutto passa in fretta lasciando spazio ai problemi veri. L’intensità di quegli anni non è paragonabile a nulla. Certo, la vita va avanti, i problemi e le preoccupazioni si moltiplicano. Ma persino una semplice sigaretta fumata in quel periodo ha un sapore tutto suo che no, non è ripetibile. Se Chinju ripensa ai tempi della scuola, lo fa al crepuscolo, quando i contorni tra il giorno e la notte sono confusi. E in quel periodo, il corpo e la mente si nutrono di colore vivo, ma all’esterno restituiscono il bianco della purezza e il nero del dolore.  L’adolescenza è un cazzo di crepuscolo dal quale non è così scontato venirne fuori, soprattutto se a te, la strada non te la indica nessuno.

Ragazze cattive è una storia aspra di vite interrotte e poi riprese. La storia di ragazze a un bivio che ti chiama a prendere decisioni in fretta e scappare se necessario; a cercare coraggio laddove la rassegnazione a consegnarsi a una vita terribile fatta di soprusi e di adulti con gli occhi terribilmente vuoti, può costarti la speranza in un futuro migliore.

La cattiveria non c’entra, si chiama autodifesa.  Chinju e Jeong-ae cercano protezione e un rifugio sicuro dove si sperimentano i ritmi del branco; dove, a comandare, è chi grida più forte.

In bilico tra l’infanzia e l’età adulta, Ancco parla della scuola, della strada. Racconta famiglie in difficoltà che non sanno affrontare i propri figli se non con la violenza. Di istituzioni irretite dal metodo scriteriato, sordo della prepotenza. Senza lasciare spazio all’immaginazione, queste ragazze portano cicatrici addosso e non si preoccupano nemmeno di nasconderle. La normalità dopotutto non ha bisogno di essere un segreto. E allora si sceglie, senza pensarci troppo, la fuga.

È davvero interessante il contesto sociale della Corea post dittatura che accompagna la storia di queste anime inquiete. Con un realismo che non scade mai nella condanna banale, la prevaricazione che subiscono le protagoniste racconta una società indurita dal controllo militare prima, e dalla grave crisi finanziaria sul finire degli anni Novanta poi. Ancco non prende posizione, si limita a renderci partecipi come farebbe un maestro del neorealismo, aprendo il campo per osservare il contesto delle storie dei protagonisti della vita. E nella brutalità senza finzione, c’è una bellezza disperata che lei sa trasmettere perfettamente.

Ancco, Corea del Sud, classe 1983, con il suo racconto in parte autobiografico, nel 2017 ha ricevuto il Premio Rivelazione al Festival di Angoulême e a parere di chi scrive, può essere annoverata come una delle più interessanti scoperte di quest’anno ricco di pubblicazioni degne di nota. L’Autrice ha uno stile grafico asciutto e incredibilmente lucido, tanto i pensieri più che ricordi sembrano calce viva scorrendo come lo fanno i giorni; e poi gli anni.

Nonostante tutto, ci sono solo le ragazze. E no, non sono cattive. Le ragazze hanno coscienza che crescere è un lavoro.
Sono la bellezza del mondo.

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Sig.ra Moroboshi

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Contro il logorio della vita moderna, si difende leggendo una quantità esagerata di fumetti. Non adora altro Dio all'infuori di Tezuka. Cerca disperatamente da anni di rianimare il suo tamagotchi senza successo. Crede ancora che prima o poi, leggerà la fine di Berserk.

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