Capolavoro giapponese del 2006, Paprika è un viaggio tra le infinite manifestazioni della mente umana e i suoi meccanismi imperscrutabili
Paprika – Sognando un sogno di Satoshi Kon è un film che dal 2006 è invecchiato benissimo. Lo vidi in una delle poche proiezioni cinematografiche alla sua uscita e mi colpì molto per lo stile e l’originalità, ma anche dopo tanti anni mi ha lasciato piacevolmente sorpreso. La storia è tratta da un romanzo di Yasutaka Tsutsui, considerato un maestro della fantascienza. Molti suoi libri, infatti, sono stati trasformati in film con attori in carne e ossa e Paprika restava un’eccezione solo perché nessuno era stato in grado di farlo, per via delle immagini oniriche. Solo il genio visionario di Kon è riuscito nella difficile impresa di trasformare in immagini il lavoro di Tsutsui, modificando in parte la storia e regalandoci il suo ultimo grande capolavoro.
Il film, senza svelare troppo, parla di un futuro in cui sono state inventate le DC Mini, apparecchiature rivoluzionarie per la cura dei disturbi psichici che consentono agli psicoterapeuti di lavorare direttamente all’interno dei sogni dei pazienti a contatto diretto con l’inconscio, entrandoci, modificandoli e registrandoli.
La tecnologia delle DC Mini è custodita con la massima attenzione, perché considerata potenzialmente molto pericolosa se usata a scopi non terapeutici. Paprika, una giovane particolarmente capace e di cui non si conosce l’identità, utilizza illegalmente questa tecnologia per curare persone che hanno patologie. Dopo un furto di alcune unità di DC Mini, alcune persone iniziano a suicidarsi. Il detective Konakawa Toshimi, la dottoressa Chiba Atzuko e il grasso creatore del DC mini, il dottor Tokita Kohsaku, indagano sulla sparizione della preziosa tecnologia scoprendo che coloro che tentano il suicidio fanno tutti lo stesso sogno: una strana processione.
Si parla del rapporto tra sogni e realtà e il modo in cui è rappresentato il mondo onirico stupisce, è uno dei punti di forza del film. Sembra di trovarsi dentro un sogno vero, dove non tutto è facilmente comprensibile e la sequenza di avvenimenti non è razionale. La processione alla base del film è suggestiva e verrebbe voglia di usare il fermo immagine per studiare con attenzione tutti i suoi surreali partecipanti, dai ranocchi danzanti alle bambole di porcellana, dagli elettrodomestici semoventi ai giocattoli, il corteo è pieno di idee memorabili.
Al di là del particolare, l’aspetto grafico di questo film è fondamentale ed è sempre pieno di dettagli, le scenografie create da Kon sembrano veri e propri quadri che si potrebbero osservare per ore trovando sempre qualcosa di nuovo. La colonna sonora di Susumu Hiraawa è splendida e riesce a sottolineare le varie scene del film.
È un lungometraggio seminale, che ha avuto molte ripercussioni su quanto venuto dopo, basti pensare all’acclamato Inception, dove un regista innovativo come Nolan gira una storia molto simile, che deve molto a questo anime. Anche Kon si rifà a piene mani dell’immaginario cinematografico, infatti riempie Paprika di citazioni (a titolo di esempio, la stanza piena di bambole ricorda Blade Runner e alcune scenografie all’interno dei sogni, l‘Overlook Hotel, per non parlare delle citazioni più esplicite come Tarzan o Vacanze romane). Ho notato che Kon omaggia l’autore contemporaneo che per eccellenza si associa ai sogni, Michel Gondry: una scena del sogno iniziale mi ha ricordato tantissimo un vecchio spot della vodka del regista francese. Kon si spinge oltre con i rimandi, fino a citare tutti i suoi film precedenti e addirittura ritrae se stesso e Yasutaka Tsutsui come baristi all’interno del lungometraggio. Anche la trama presenta evidenti rimandi a pellicole come Matrix delle sorelle Swachoski o al Ghost in the shell di Masamune Shirow. Importante anche il riferimento a Domu – sogni di bambini di Katsuhiro Otomo, autore che ha dato la possibilità a Kon di esordire con materiale originale in uno dei cortometraggi di Memories. In generale, questo film va oltre l’esperienza visiva e sfida in maniera esplicita il pubblico a trovare tutti i rimandi, che sono allo stesso tempo esterni al film ma fanno anche parte della narrazione. Se nella storia la realtà narrata dei protagonisti si confonde con i sogni, il film stesso entra ed esce continuamente dalla realtà dello spettatore, con queste citazioni.
Paprika – Sognando un sogno è un film dalla struttura articolata e aumenta in complessità fino al finale, proprio come i sogni che vuole raccontare e necessita di più di una visione per apprezzarlo. Non necessariamente è importante trovare un senso a tutto quello che succede, la narrazione in senso stretto lascia il posto alle suggestioni. È un’opera maestosa che stordisce ed emoziona. Sono sicuro che sarà apprezzata anche chi non è abituato a vedere anime, grazie alle tematiche universali di cui parla. Tra l’altro questo anime ha contribuito molto a cambiare la percezione dei film d’animazione giapponesi, tanto che venne presentato in anteprima al Festival di Venezia.
Dopo la visione di Paprika – sognando un sogno aumenta il rimpianto per la scomparsa prematura dell’autore di capolavori come Tokyo Godfather, Perfect Blue e Paranoia agent. Satoshi Kon ci lascia quest’ultimo gioiello in cui sembra tirare un po’ le fila di argomenti già trattati in passato, è il suo testamento artistico (e viste in quest’ottica acquisiscono un altro significato la carrellata dei suoi film e la citazione a Otomo). Il suo punto di vista, il suo tratto e le riflessioni sul sottilissimo confine tra realtà e fantasia mancano molto, soprattutto in un mondo in cui il virtuale diventa sempre più preponderante rispetto al reale.
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