La Casa di Carta – Recensione prima parte

È senza dubbio la serie del momento: La Casa di Carta ha un animo spagnolo, l’ambizione americana e un pizzico d’Italia nel cuore. Parliamo della prima parte, composta da 13 episodi attualmente disponibili su Netflix

Da qualche tempo non si fa altro che parlare di questa benedetta Casa di Carta
C’è chi parla di capolavoro, chi la boccia senz’appello, chi è incuriosito da una vicenda tanto semplice quanto intricata e vuole vedere dove va a parare.

Probabilmente intorno alle prime quattro o cinque puntate mi sarei segnato in quest’ultima voce, ma andando avanti con la visione ammetto di essermi appassionato sempre di più alla rapina messa in piedi dal Professore. Sarà che il tema mi ha sempre affascinato, sarà che ritrovo nella scrittura elementi tanto paraculi quanto profondi, alla fine ci sono cascato con tutte le scarpe: sì, La Casa di Carta ha conquistato anche me, almeno per questi primi 13 episodi. Qui parleremo solo della prima parte, è bene specificarlo. Così com’è bene chiarire subito che per quanto mi sia piaciuta, comunque non ci troviamo di fronte a un capolavoro. Ma a una serie davvero ben fatta, che guarda al modello americano come alla stella polare, senza rinnegare le sue origini spagnole, decisamente radicate nell’anima dei protagonisti. 

All’inizio accennavo al fatto che la trama è semplice solo in apparenza: otto rapinatori, guidati da una mente criminale “infallibile” che ha studiato un piano minuzioso in modo maniacale, attaccano la Zecca di Stato a Madrid. Non vogliono semplicemente rubare i soldi e scappare, quello sarebbe stato fin troppo semplice. Loro vogliono stampare direttamente una valanga di milioni: banconote evidentemente non segnata che potrebbero spendere ovunque, senza problemi.
Per farlo, però, hanno bisogno di tempo, dunque decidono di barricarsi all’interno della Zecca con diverse decine di ostaggi.

Da lì in poi inizia un’appassionante partita a scacchi con la polizia spagnola, con il Professore che sembra essere sempre un passo avanti a tutti.
Lui non entra con la sua squadra, agisce da un capannone segreto guidandoli passo passo grazie a una serie di telecamere, restando in continuo contatto con loro. Sarà lui a intavolare la trattativa con la Polizia, espediente questo utile solo per prendere tempo e permettere ai rapinatori di stampare quanto più denaro possibile (8 milioni di euro l’ora) e contemporaneamente scavare un tunnel che li porti fuori da lì.

 

I rapinatori sono degli sconfitti, gente che ha perso tutto o quasi. Il Professore lo sa, li ha studiati e ha dato loro un nuovo scopo: diventare ricchi in modo impressionante, realizzare la rapina del secolo senza far male a nessuno, anzi.
Per come ha in testa il suo piano, alla fine loro dovrebbero persino apparire come degli eroi agli occhi dell’opinione pubblica. Un piano machiavellico, ingegnoso, studiato in ogni minimo particolare, comprese tutte le possibili varianti critiche.

Il Professore non vuole alcun tipo di errore o sbavatura, ecco perché ha chiesto alla sua squadra di non aver alcun tipo di rapporto interpersonale. Nessuno di loro conosce i nomi dei propri compagni, a ognuno di loro è stato chiesto di scegliere un nome fittizio, magari di una città: ecco dunque che avremo Tokyo, Denver, Mosca, Berlino, Nairobi, Rio, Helsinki e Stoccolma.

Guardando la prima puntata, si ha subito la sensazione di trovarci di fronte alla protagonista, Tokyo (Ursula Corbero). In realtà, anche se la sua sarà la voce narrante di tutta la vicenda, il suo personaggio viene usato per farci entrare nella vicenda. Tokyo ci prende per mano e ci porta a cospetto del Professore, dove piano piano verranno svelati gli altri protagonisti della serie. Su tutti spicca Berlino (interpretato da uno straordinario Pedro Alonso), il personaggio sicuramente più disturbato del cast. Berlino non è come gli altri, lui è pronto a tutto pur di portare a termine la missione: non tanto per i soldi, quanto per soddisfare un ego smisurato, grande forse anche più della Zecca di Stato. Il Professore lo nomina capo sul campo: sarà dunque lui a gestire le cose all’interno della Zecca. Sgradevole, elegante, narciso, folle: Berlino è l’uomo forte della squadra e proprio per questo, il più odiato.

Tutta la serie ruota attorno alla rapina, che si basa su questo “piano perfetto” che sembra davvero non avere falle. La vicenda copre tutti gli episodi della serie, che vengono di tanto in tanto intervallati da efficaci flashback in cui vediamo come sono stati addestrati i rapinatori, come si sono preparati al colpo del secolo. La Casa di Carta gestisce molto bene i due diversi piani narrativi, giocando molto tra passato e presente, facendoci affezionare sempre di più ai vari personaggi. In qualche modo giustificandoli, anche. Il messaggio sembra quasi essere “sono rapinatori, non cattivi” ed è proprio questo – a mio avviso – uno dei punti di forza della serie.

La nota dolente, è invece la Polizia. Dovrebbero essere gli antagonisti della serie, ma balbettano decisamente troppo di fronte al “piano perfetto” del professore. Sembra quasi che se non ci fosse l’ispettore Raquel Morillo (Itziar Ituño), non saprebbero letteralmente cosa fare. Tutto il peso dell’operazione è sulle spalle di una donna tormentata, in qualche modo anche lei sconfitta dalla vita, che insegue una pace interiore che probabilmente non troverà mai. La sua vicenda personale s’intreccerà più volte con la storia principale, fino a fondersi totalmente in un’unica, grande storyline.

Ci sono poi gli ostaggi: ognuno con una propria personalità, avrà reazioni diverse alla rapina. Per quanto la squadra del Professore non usi violenza su di loro, non si trovano certo in una situazione piacevole, anzi. Ed è proprio per questo che è interessante vedere la storia anche dal loro punto di vista, terrorizzato e spaesato. Tra gli ostaggi facciamo la conoscenza di Arturo, direttore generale della Zecca, e di Monica, la sua segretaria e amante. Sì, probabilmente qui siamo nel bel mezzo di un classico stereotipo, ma aspettate di conoscerli prima di giudicarli, perché qui niente è davvero come sembra.

Come dicevo in apertura, La Casa di Carta ha sicuramente vari livelli di narrazione: se a uno guardo superficiale può apparire come una serie semplice, forse anche stereotipata, in realtà la nasconde molto di più. Innanzitutto l’obiettivo, la Zecca di Stato: questo è un colpo al potere, oltre che una rapina. Si mette in ginocchio un’istituzione, sbeffeggiandola, ridimensionandola. Inoltre le vicende umane dei rapinatori, beh, sono quelle di persone che potremmo conoscere. Storie di persone che non ce l’hanno fatta e che hanno trovato nel crimine una blanda scusa per i loro fallimenti oppure una via di fuga da una realtà che non sentivano loro.

No, non è certo un capolavoro.
Però è un tentativo coraggioso di proporre qualcosa di diverso, che nonostante alcune palesi forzature nella storia, riesce a convincerti che sì, le cose dovevano andare esattamente così. Come dice un Professore ossessivo, maniacale, più sveglio di tutti.

Ci vediamo per la seconda parte.

 

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Mr. Kent

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Appassionato di fumetti, curioso per natura, attratto irrimediabilmente da cose che il resto del mondo considera inutili o senza senso. Sono il direttore di MegaNerd e me ne vanto.

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