Questa volta il regista Shinsuke Sato si è cimentato in un’ardua impresa: tra tagli, compressioni e il contesto modernizzato, ha creato un live action che non dispiace: ecco la recensione di Bleach, il film
Ormai tutto ciò che nasce animato, sa già che prima o poi diventerà anche un live action. Ormai siamo tutti un po’ terrorizzati quando ne viene annunciato uno nuovo e dopo le numerose critiche avanzate per i recenti Death Note e Fullmetal Alchemist, ci troviamo di fronte alla trasposizione di un’altra opera di successo.
Aspettavamo in molti il risultato del regista Shinsuke Sato (I Am a Hero), il film di Bleach è stato prodotto dalla Warner Bros. e distribuito dal colosso Netflix. È la trasposizione abbastanza fedele dell’omonimo anime e manga di Tite Kubo: purtroppo condensare tutto in 110 minuti scarsi, con un budget di 4 milioni di dollari, ha creato ovviamente un risultato criticabile. Nonostante i limiti imposti in partenza, il frutto del lavoro non è male, alcune scelte registiche sono state furbamente studiate e il punto forte dell’opera, che consiste senza dubbio negli scontri, è stato ben realizzato.
La trama è incentrata attorno a Ichigo Kurosaki, interpretato nel film da Sota Fukushi, uno studente delle superiori dagli insoliti capelli rossi, rimasto orfano della madre quando era molto piccolo, che riesce a vedere le anime delle persone morte e per indole cerca di fare sempre giustizia. A parte l’aiutare i morti a trovare l’Aldilà, vive una vita piuttosto tranquilla con il padre Isshin e le sorelline Karin e Yuzu, finché una sera qualsiasi entra nella sua vita Rukia Kuchiki, interpretata da Hana Sugisaki, una ragazza austera e abile con la katana che scopriremo essere una shinigami. Dopo un primo momento di stupore dato dal fatto che Ichigo riuscisse a vederla, coinvolge il ragazzo in uno scontro con un essere paranormale gigantesco. Mentre sta per perdere la vita, riesce a trasferire tutti i suoi poteri nell’insolito umano dai capelli rossi, Ichigo inaspettatamente riesce subito a controllare la sua nuova forza e sconfiggere definitivamente il mostro. Rukia da quel momento è costretta ad istruirlo e allenarlo affinché possa svolgere il suo compito, mietere anime dannate e ricondurre quelle meritevoli nell’altro mondo.
Il mondo da cui proviene è la Soul Society, posto in cui gli shinigami si allenano e si preparano agli scontri con gli spiriti. Con tanto di disegnini animati simili a dolci coniglietti, viene spiegato che le anime si dividono in Plus, ossia spiriti che devono solo essere aiutati ad entrare nell’altro mondo, e gli Hollow, generati da chi è morto con rancore e ha bisogno di essere letteralmente tagliato in due perché non crei danni.
Come nel manga, i personaggi sono presentati con delle schermate stile foto segnaletica, con impresse caratteristiche e abilità. Le scene salienti e gli scontri sono accompagnati da un sottofondo di musica rock, che insieme agli autobus catapultati in aria e le inquadrature delle metropoli giapponesi, ci introducono in un mondo giovanile e moderno.
Addirittura Rukia è dotata di un dispositivo, una sorta di GPS spirituale, che illuminandosi di viola (molto glamour) segnala gli spostamenti degli hollow. Purtroppo nella caratterizzazione dei personaggi il film si perde parecchio rispetto l’opera originale, non sono affatto approfonditi, ne tantomeno ben contestualizzati.
Nemmeno il protagonista ha una giusta presentazione e si passa da una scena a un’altra senza nemmeno una spiegazione utile a capire meglio i fatti. Chi non si è mai interessato all’opera di Kubo troverà sicuramente questa trasposizione confusionaria e poco coinvolgente, ma il regista ha cercato davvero di fare il possibile con le scene più salienti e i momenti della trama più iconici. Il mondo di Bleach è davvero vasto e complicato, probabilmente è stato raggiunto il miglior risultato ottenibile con i tempi cinematografici imposti.
Entrano in scena anche i compagni di classe di Ichigo, Chad (Yu Koyanagi) e Orihime Inoue (Erina Mano), Uryu Ishida (Ryo Yoshizawa) anche loro vittime di massicce compressioni -addirittura alla povera Inoue non hanno aggiunto le bellissime forme che la caratterizzano- e i gli shinigami Renji Abarai , Byakuya Kuchiki e Kisuke Urahara. Nessuna traccia della bella Yoruichi.
Tutte trasposizioni passabili, eccetto Renji. Renji che è sempre stato affascinante e irruento, impulsivo e dotato di un certa presenza fisica, sembra il povero Rufio di Hook Capitan Uncino. Capelli palesemente posticci e tatuaggi fin troppo finti.
Tuttavia la trama funziona, la relazione centrale tra Ichigo e Rukia, seppur con un taglio netto delle scenette comiche create da Kubo, è abbastanza bilanciata; le scene d’azione restano il punto forte e le angolazioni dei combattimenti sono davvero fedeli alle inquadrature degli scontri originali.
Gli hollow ricreati trapelano forza sovrannaturale e una potenza devastante, sono esseri mutaforma e spaventosi, colgono pienamente l’idea di anima dannata.
È uno degli arrangiamenti più godibile degli ultimi tempi, ripercorrendo davvero poco di tutte le saghe che compongono la storia, non poteva che concludersi con un finale aperto.
Daranno dunque la possibilità al regista di fare un seguito?
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