Finalmente è uscito nelle sale cinematografiche il quarto capitolo della saga animata più amata dai giovani (ormai adulti) del pianeta: Toy Story 4. Prodotto da Pixar Animation Studios e distribuito da Walt Disney Pictures, il film completa la magnifica tetralogia sui giocattoli che ci ha fatto appassionare e sognare dal 1995
Dopo i fatti del Sunnyside Daycare, visti in Toy Story 3, abbiamo lasciato Woody & Co. sul pianerottolo della loro nuova casa – quella della piccola Bonnie – destinati a un triste addio col loro “bambino” Andy, in procinto di partire in auto per il college, pronto ad iniziare una nuova vita nel mondo adulto. Questo malinconico ed emozionante passaggio di testimone, però, ha segnato il punto di ripartenza anche per i nostri amici giocattoli: alcuni inscatolati tra le cose da dare via ed altri rimasti a crescere con Bonnie. Per questi ultimi, le giornate nella cameretta della loro nuova “bambina”, trascorrono serene e piene di divertimento, grazie alla sua fervida fantasia che li catapulta in avventure sempre nuove ed entusiasmanti.
È così che si apre il quarto lungometraggio della saga di Toy Story: dentro una routine rassicurante e colorata che non fa presagire disavventure, se non qualche dilemma esistenziale per Woody, con cui la nuova bambina non instaura l’esclusivo rapporto che legava lo sceriffo giocattolo ad Andy. Tuttavia, Bonnie cresce a vista d’occhio e arriva al fatidico giorno dell’orientamento all’asilo. È così che i nostri amici giocattoli dovranno far spazio ad un nuovo, strambo, membro del gruppo: Forky, un giocattolo costruito da Bonnie con la spazzatura. Ed è da qui che saranno chiamati, come nella migliore tradizione della sceneggiatura hollywoodiana, ad un altro – incredibile – viaggio dell’eroe: un’avventura ricca di partenze, ritorni, suspance e divertimento.
Toy Story 4 colpisce sin dai primi fotogrammi, introducendo temi importanti quali l’emarginazione, l’altruismo, la solidarietà. E, sin da subito, comprendiamo che il viaggio avventuroso a cui saremo chiamati con i nostri amici giocattoli, riguarda in particolare Woody. Così, se la metafora della crescita di un bambino può sposarsi bene con ogni forma di dilemma esistenziale legato al cambiamento, in questo caso possiamo affermare che calza a pennello su Woody, sul suo celato tormento interiore. Sulla triste nostalgia di Andy che lo blocca in un eterno presente come sulle occasioni perse nel passato per cui il destino potrebbe offrire una seconda chance anche ad un giocattolo di gomma, capace di avere un anima solo quando gli umani non possono vederlo.
In un rocambolesco viaggio tra un negozio di anticaglie e un luna park – in cui ritroverà la pastorella Bo Peep e incontrerà nuovi amici – lo sceriffo di Toy Story, supportato da un Buzz in splendida forma e dagli altri storici personaggi della saga, dovrà vedersela con la sua coscienza e, alla fine, ritrovare se stesso.
Questa ricerca interiore di Woody servirà a riportare al loro posto tutti i tasselli di una storia delicata, in cui i legami, il mutamento e la maturità appaiono come concetti chiave. Come già detto, Woody ritroverà Bo Peep, la pastorella vista nei primi due capitoli della saga e per cui lui prova un sentimento che va oltre l’amicizia. Una figura forte e prorompente quella di Bo Peep che, insieme a molti altri personaggi femminili, declina Toy Story 4 nella modernità del dibattito di genere, della parità, dei movimenti che hanno seguito gli scandali hollywoodiani (e non solo) e le battaglie per la parità salariale. Oltre a questo inaspettato ritorno, incontreremo nuovi giocattoli che aiuteranno Woody a completare il “viaggio”: Ducky, Bunny e Duke Caboom, a cui è affidato il vero compito di “spalle comiche” dell’intera narrazione filmica. Nel negozio di anticaglie, la nuova compagnia dovrà vedersela con Gabby Gabby, una bambola vintage che, dietro un’apparente spregiudicatezza, nasconde una storia profonda e dolorosa. Ed è proprio nel negozio che si sviluppano le azioni più ricche di suspance del film: tra marionette che scimmiottano una tradizione di genere che va da Saw ad Annabelle, scaffali polverosi e un gatto famelico, i nostri beniamini giocattolo dovranno superare prove di coraggio e agilità ma, soprattutto, dovranno saper guardare oltre le apparenze.
Uno dei punti di forza – tutto italiano – di Toy Story 4 è la direzione del doppiaggio, comparto che si è avvalso della presenza di artisti del calibro di Corrado Guzzanti (Duke Caboom) e Angelo Maggi (conosciuto per aver dato la voce ad Iron Man e a Tom Hanks). Quest’ultimo, subentrato a dare la voce a Woody dopo la prematura scomparsa del grande Fabrizio Frizzi, storico alterego in carne ed ossa del nostro sceriffo.
Possiamo definire Toy Story 4 come “una nuova storia fatta di vecchi giocattoli”. Infatti, ció che risalta all’occhio, è la presenza costante di giocattoli di vecchia generazione, senza alcun supporto tecnologico. Parliamoci chiaro: i giocattoli sono la chiave universale per aprire la porta della fantasia. Senza la capacità di sognare, ogni essere umano resta solo un composto di liquidi e ossa, capace di camminare. Così, la scelta compiuta dai creatori di mostrare nel film giocattoli che obbligano ad una partecipazione attiva dei bambini, suona come una critica (necessaria) alla frenesia del presente. All’incapacità di guardarsi negli occhi, di condividere viaggi immaginari senza il bisogno della virtualità.
Questo film ha la capacità di riportare indietro le lancette del tempo per diverse generazioni di spettatori, quasi tutte ormai adulte ma pronte ad emozionarsi ripensando a bambole, macchinine, pupazzi e lunghi pomeriggi passati a viaggiare insieme a loro nel mondo magico della fantasia. E alla mente tornano perfino i nomi dati a quei giocattoli, gli stessi che ci hanno aiutato a superare le paure, con cui abbiamo combattuto le incertezze, che abbiamo usato come veicolo per entrare in relazione con gli altri. E forse non è un caso che ad affollare le sale per vedere Toy Story 4, sono soprattutto i 20/30 enni, sospesi a metà tra quella dimensione genuina di gioco e il (sopr)avvento della tecnologia. Proprio per questo, voglio dedicare questa riflessione sul film a Rudy, un cane di pezza che vive con me da più 30 anni. Grazie per avermi dato forza durante le notti tempestose o più buie del solito. Grazie amico mio!
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