La quarta parte de La Casa di Carta è disponibile su Netflix dal 3 aprile. Conclusa la visione, queste sono le nostre impressioni a caldo.
La Casa di Carta è una delle produzioni di maggior successo del colosso dello streaming che, cercando di cavalcare ancora, il più possibile, l’onda del successo, rilascia la quarta parte ed annuncia, praticamente in contemporanea, di avere tutta l’intenzione di proseguire, almeno sino a una sesta stagione (o parte se preferite).
Tuttavia, l’onda sembra essersi esaurita già da un po’ e noi spettatori assistiamo a quella che ormai è una risacca che lascia tanto amaro in bocca. Eravamo partiti bene, anzi benissimo. Peccato aver vanificato ogni bel ricordo delle prime due parti con la terza, e ora con una quarta che potete tranquillamente non vedere. Se il vostro cuore piange ancora Berlino e si scalda con i canti della resistenza, desistete dalla visione; non lasciate che la curiosità, o il vostro masochismo da series addicted prenda il sopravvento. Al contrario, se la consistente parte soap della sceneggiatura è il motivo che vi ha spinto a continuare la visione, allora godetevi le otto puntate da poco disponibili.
Riprendiamo da dove ci eravamo lasciati ovviamente. Siamo all’interno della Banca di Spagna grazie a quei due irresponsabili che rispondono al nome di Tokyo e Rio. È l’inizio di una guerra vera e propria.
Lisbona (Raquel) e il Professore sono in fuga, divisi. L’unità militare di emergenza giunge nella fattoria dove si trova Lisbona, e il suo ex collega Suarez la minaccia ripetutamente per farle svelare dove si trova il Professore. Quest’ultimo è in ascolto di tutto quello che succede. Improvvisamente, partono due spari che lo convincono di averla persa per sempre.
All’interno della Banca di Spagna, la nostra Nairobi sragiona a causa di Alicia Sierra che esce dalla tenda da cui la polizia comanda le operazioni, con in mano un orsacchiotto blu. Il pupazzo non solo apparteneva a suo figlio ma era anche il mezzo che Nairobi usava come corriere per la droga. La ragazza è attirata in una trappola e, scoprendo il fianco, verrà centrata al petto da un cecchino. La lasceremo stesa a terra, in ansia per il suo destino, mentre Palermo, Rio e Tokyo, con il fuoco negli occhi, si preparano all’irruzione della polizia.
Il racconto, anche in questa quarta parte, si snoda con le modalità a noi note. Flashback e salti temporali guidano le otto puntate e le nostre menti abituate, e a proprio agio, con la scelta a monte di Alex Pina che, bisogna riconoscerglielo, ha fatto bingo riuscendo a confezionare lo show più popolare non in lingua inglese adottato da Netflix.
Idealmente possiamo dividere la quarta parte in due, salvando perlopiù dalla quinta puntata al finale di stagione. Invero, la prima abusa di noiosi flashback e nostalgici ricordi di Berlino, come se fosse necessario redimerlo e renderlo umano ai nostri occhi. Non c’è azione, nulla di ciò a cui eravamo abituati. Dove sono i colpi di scena che tanto ci erano piaciuti? La narrazione scorre piatta e probabilmente preferisce poggiare su coloro che non ci sono più perché i protagonisti attuali non ci comunicano nulla. Fra tutti, ne escono da perdenti Palermo, per lui solo conferme di errori di sceneggiatura, Tokyo che non ha nulla da dire, Rio (totalmente assente).
Tokyo non riesce più a catturare la nostra attenzione e sembra quasi percepirlo. In diverse occasioni, lei stessa manda avanti forzate seduzioni che non trovano piglio nelle vittime. La vediamo, tra gli sbadigli, inerme mentre i riflettori si allontanano da lei. Che tristezza.
Stesso dicasi per Rio e Denver. Rio, non pervenuto, Denver troppo preso dalle sue turbe sentimentali per Stoccolma per accorgersi del disastro che si consuma intorno a sé.
Nel frattempo, all’esterno, Lisbona è letteralmente posta sotto sequestro dalla polizia (che aveva inscenato la sua morte, ricordate?). Alicia Sierra sa il fatto suo, bisogna ammetterlo, e fa di tutto per farsi odiare dagli spettatori che ormai provano empatia per la banda. Il popolo, anche virtuale, è dalla loro parte. Poco importa che gli stessi stiano commettendo un reato dietro l’altro, che abbiano sequestrato decine di persone, vero? Anche io faccio il tifo per loro, sia chiaro. Tuttavia, inneggiare alla resistenza per poi intascarsi il bottino, non è lotta di classe.
Gli stupidi siamo noi, perché ci siamo cascati con tutte le scarpe. Ci troviamo nella Banca di Spagna perché la banda si è fatta beccare, altrimenti le Città sarebbero rimaste tutte beatamente a spassarsela tra agi, feste e buon vino. E forse questo è l’aspetto che più infastidisce. Le premesse erano altre, il Professore aveva ipnotizzato anche noi facendoci assaporare aria di rivoluzione. Negli otto nuovi episodi, le idee sono sbiadite, le denunce di abusi, la sopraffazione violenta del potere è ridotta a barzelletta da bar. E in effetti, già all’inizio si passa dai canti della resistenza a Ti Amo di Umberto Tozzi. Vedere per credere.
Si respira un che di grottesco, di ridicolo in diversi momenti, e si può riassumere con un nome: Arturito.
Anche la povera Nairobi, il personaggio a mio parere, più bello che questa serie ci ha regalato, ne esce sconfitto. Sacrificato da una sceneggiatura che deve continuare a tutti i costi e impantanarsi in una quinta parte che non avrà nulla da raccontare.
Riconosco che La Casa di Carta o si ama, o si odia. Non esistono grigi arrivati a questo punto della narrazione. A partire dal quinto episodio, assistiamo a un minimo di ripresa, indubbiamente. Il Professore torna a fare ciò che gli riesce meglio e, senza dirvi troppo, la squadra classica viene definitivamente abbandonata a una storyline che ha smesso di funzionare. Tuttavia nuove leve, ci fanno venire abbastanza curiosità da arrivare alla fine.
Che peccato. Ciò che vi consiglio di vedere è lo speciale La casa di carta: il fenomeno. Questo sì che va visto. Per il resto, concedetevi un bel rewatching delle prime due parti e la chiudiamo così.
Abbiamo parlato di:
4 Comments
Mario Carollo
(10 Aprile 2020 - 08:28)Non si può che condividere in toto la recensione della Moroboshi, se non fosse per la penultima parte dove il professore ricomincia a fare il professore…
Da 10 le prime due, da quattro le ultime due. Non credo che vedrò la quinta, almeno non prima di aver letto la recensione della Moroboshi.
Sig.ra Moroboshi
(10 Aprile 2020 - 10:42)Grazie Mario! Mi raccomando allora, continua a seguirci!
Un abbraccio virtuale dalla Signora Moroboshi.
Francesca
(22 Aprile 2020 - 09:44)Grande analisi, condivisibile in ogni sua sfumatura fatta eccezione per la (non) analisi della terza stagione che, seppur preludio del disastro narrativo della 4, ha un’ampiezza di respiro nelle scelte di sguardo e in alcune linee narrative che meriterebbero comunque “un canto del cigno” 🙂 Grande Moroboshi!
Sig.ra Moroboshi
(22 Aprile 2020 - 11:47)Grazie cara Francesca! Sicuramente la terza parte ha degli elementi positivi, soprattutto sul finale! Aspettiamo la quinta parte e vediamo dove gli sceneggiatori vogliono andare a parare (aiuto)!