Gianluca Iacono, il bravissimo doppiatore di Vegeta in Dragon Ball, ha realizzato un bellissimo video in ricordo di Paolo Torrisi, la mitica voce italiana di Goku
Probabilmente lo sapete, ma è bene ricordarlo: Goku, un personaggio che ha cresciuto intere generazioni, il mitico Sayan creato da Akira Toryama per la saga di Dragon Ball e amato da migliaia di persone, era doppiato da Maurizio Torresan, in arte Paolo Torrisi.
Non si è mai saputo molto sulla sua vita, ma lo scorso 10 giugno, grazie ad un video condiviso su YouTube dal nostro amato Vegeta (ovvero dal suo doppiatore italiano, il bravissimo Gianluca Iacono), dalla durata di circa 30 minuti possiamo capire chi era davvero la voce che ha sconfitto Freezer, l’indimenticabile Paolo Torrisi.
Maurizio Torresan (questo il suo vero nome) è sempre stato portato per la televisione, infatti appare per la prima volta in TV da bambino, nel 1962, in un carosello.
Negli anni 70, all’età di circa vent’anni, Maurizio doppia un bambino in Tre Nipoti e un Maggiordomo, distorcendo la sua voce in un modo incredibile. Incontra successivamente Cip Barcellini, fondatore della Merak Film e inizia a lavorarci insieme: sarà lui a nominarlo direttore di doppiaggio.
Poi, negli anni 90, Gianluca Iacono, che narra la storia durante la maggior parte del video, arriva in Merak, dove Maurizio è già direttore di doppiaggio, e doppia il suo primo anime, Sailor Moon, che veniva doppiato anche da Paolo Torrisi, ancora nel ruolo di un bambino.
Arriva il 1996, un anno importante per Gianluca e per Maurizio.
Torrisi infatti propone a Iacono un’occasione davvero speciale: doppiare Vegeta nella serie animata di Dragon Ball.
Da lì, Maurizio e Gianluca cominciano a diventare amici, i due parlano molto delle rispettive passioni (automobili, recitazione, ecc.) e iniziano a mettere le basi per quella che sarà una grande amicizia. Gianluca racconta che Maurizio in sala di doppiaggio voleva dare sempre il massimo e pretendeva che tutti lo facessero lo stesso.
Di seguito potete vedere lo splendido video di Gianluca Iacono:
Arriva poi l’anno fatidico, il 2005.
Si doveva finire di doppiare una serie di Dragon Ball, Maurizio aveva già concluso le sue parti da solo, mancavano solo due turni per finire la serie.
Un giorno si presenta nell’ufficio di Cip e gli dice che deve andare dal medico a fare dei controlli, e che quindi non riuscirà a fare quei due turni. Cip gli dice di non preoccuparsi, che li farà lui.
Delle ultime ore di Maurizio, è testimone Egidio Morici che affida al suo blog un ricordo toccante e sincero, che abbiamo scelto di riportare per intero, con il massimo rispetto:
“Non ne posso più!” diceva al medico, ansimando e contorcendosi dal dolore, in una stanza del San Raffaele. L’ospedale era ancora illuminato dalla luce biancastra di una Milano frenetica, troppo concentrata, là fuori, a correre in tutte le direzioni per non pensare alla vita.
Il medico, seguito dalla solita schiera di tirocinanti armati di notes e matita, parlava a bassa voce: “L’operazione è troppo rischiosa, occorre che i valori ematici si ristabiliscano”
Mio padre, nel letto a fianco per un intervento alla colecisti, lo aveva visto arrivare qualche giorno prima: un ometto sulla cinquantina dai modi gentili, con un’ostruzione alle vie biliari che gli aveva lasciato il tempo di sistemare la sua roba nel comodino, prima di cominciare a torturarlo con la febbre e i dolori acuti.
Decisi di uscire. Eravamo in troppi nella stanza ed io ero l’unico che poteva fare spazio, visto che le informazioni su mio padre le avevo già avute.
Feci un giro per i corridoi, mentre fuori dalle finestre la città cominciava ad accendersi per la notte: navigli, happy hour, strade chiuse per lavori e colori di un Natale già consumato ai primi di dicembre. Tutto sembrava sbiadito e distante, espressione di un mondo vincente sempre giovane e sano; lontano da flebo, termometri, cateteri, brutte notizie e tenaci speranze, che ingrigiscono le pareti di ogni ospedale, nonostante i quadri appesi e le sale tv.
Al piano di sotto, la tv del San Raffaele dava i cartoni animati. Mi fermai per qualche minuto. Nella saletta c’era solo un bambino sugli otto anni, rapito da Dragon Ball. Fu come rivedere me trent’anni fa, assorbito dalle avventure degli Ufo Robot. Anch’io, come lui, avevo avuto i miei eroi, invincibili, buoni e con la soluzione ad ogni problema che arrivava sempre alla fine della puntata.
Ma quello era un posto dove alla fine della puntata non è detto che tutto si possa risolvere con l’alabarda spaziale di Goldrake o col bastone magico di Goku.
Dopo la sigla finale, il bambino mi guardò con aria compiaciuta: “Visto che forza?”
“E già, non lo batte nessuno” risposi “speriamo che non si ammali mai”
“Beh, anche se si ammala, Goku non può morire perché un attimo prima si può sempre trasformare!”
Era una logica che non faceva una piega, anche se apparteneva ad un mondo colorato, dove distinguere i buoni dai cattivi era di una semplicità disarmante.
Ritornato nella stanza al piano di sopra, vidi che l’ometto respirava a fatica e l’ittero lo aveva fatto diventare tutto giallo. Lo guardavamo impotenti, fino a quando mio padre gli disse: “Vuole un bicchier d’acqua?”
“No, grazie” rispose con un filo di voce “Vorrei che mi facessero qualcosa per non sentire più sto dolore, mi creda, non ce la faccio più”
A quel punto squillò il suo cellulare, lui guardò il display, si schiarì la voce e rispose con un tono che ci lasciò stupefatti:
“Pronto? Ciao mamma… si, sto meglio… sto aspettando l’altra visita del medico. Non ti preoccupare, non stare sempre a telefonare, ti ho già detto che mi faccio sentire io. Come? Ma lascia stare, non ce n’è bisogno, figuriamoci… mettersi ad impensierire la gente per nulla… Dai, stai tranquilla, ti richiamo io dopo… Ciao”
Dopodiché fece ricadere il braccio sul letto, espirando profondamente per recuperare quell’energia servita a tranquillizzare la madre all’altro capo del telefono.
Mentre ritornavo a casa in macchina, non potevo fare a meno di pensare a quell’ometto dalla forza straordinaria e a quella telefonata che sembrava un miracolo. Non avevo visto nessuno vicino al suo letto. Non doveva essere sposato e chiunque lo avesse chiamato al cellulare, non si sarebbe certo allarmato nel sentire quella voce in grado di trasformare una pericolosa ostruzione delle vie biliari in un’unghia incarnita.
In realtà la situazione era difficile: operare d’urgenza ad alto rischio, oppure tentare di normalizzare i valori del sangue perdendo del tempo prezioso? Qualcuno avrebbe deciso in base ai protocolli.
Intanto le condizioni postoperatorie di mio padre miglioravano sempre di più ma, quando il pomeriggio seguente tornai a trovarlo, lo vidi preoccupato. Pensava a quell’ometto:
“Ieri sera lo hanno trasferito al primo piano. Stamattina ho incontrato il medico e ho chiesto se lo avessero operato. Lui mi ha risposto che si trova in terapia intensiva”
“Ma lo hanno operato o no?”
“Non lo so… il medico andava di fretta. E poi io sono solo un compagno di stanza, non un parente. Anzi mi ha detto più di quello che poteva dirmi”
“Effettivamente…Tu invece come ti senti?”
“Bene. Ormai potrebbero anche dimettermi”
“Speriamo. Che ne dici di una passeggiatina per il corridoio?”
Ci incamminammo in tre: io, mio padre e quell’asta a rotelle con la bottiglia della flebo attaccata in cima. Ogni tanto ci fermavamo davanti alle stesse stampe e agli stessi quadri appesi al muro, commentando particolari sempre nuovi; ci serviva ad alleggerire la tensione.
Al ritorno della nostra passeggiata incrociammo il bambino della sera prima, quello che guardava i cartoni. Mi salutò sorridendo, col pollice su. Io risposi con lo stesso gesto e, nonostante andasse di fretta per stare al passo con una donna che doveva essere sua mamma, dopo averlo incrociato, mi voltai indietro e vidi che con una mano mi salutava e con l’altra mostrava indice e medio in segno di vittoria.
Mio padre era un po’ perplesso:
“Ma chi è? Lo conosci?”
“Era in sala tv ieri, a guardare Dragon Ball. Un cartone animato dove…”
“Si lo so, dove c’è un ragazzino che a un certo punto si trasforma in un uomo muscoloso che batte tutti. Ogni tanto lo guardo anch’io”
Ci sono risorse dei propri genitori che i figli non si aspetterebbero mai. Ecco, questa era una di quelle: la capacità, alla soglia degli ottant’anni, di guardare un cartone animato.
L’indomani mattina tornai al San Raffaele per riportare a casa mio padre. Aveva ragione lui: ormai potevano dimetterlo. Dopo aver raccolto la sua roba nel trolley, si imbacuccò in modo esagerato “per affrontare il gelo di dicembre”.
Stavamo andando via e l’ometto non era ancora tornato dalla terapia intensiva.
A quel punto decisi di segnarmi il suo nome, scritto sulla scheda paziente attaccata ai piedi del suo letto. Chissà, un giorno avrei potuto rintracciarlo, magari anche chiedergli come avesse fatto a modificare la voce in quel modo, per tranquillizzare sua mamma.
Avevo appena rimesso l’agendina nel marsupio, quando sentii dal corridoio la voce di mio padre che inaspettatamente aveva beccato il medico:
“Scusi dottore, mi sa dare notizie del mio compagno di stanza? Come sta?”
“E’ mancato…” aveva risposto con fare di circostanza “Purtroppo non ce l’ha fatta”.
Quasi contemporaneamente, nella stanza era entrato un infermiere a raccogliere in un sacchetto di plastica tutta la sua roba. Quei movimenti di routine apparivano di una velocità così impietosa da travolgere tutto. Anche le ciabatte, così ordinatamente appaiate, non si sono potute sottrarre a quella che, in quel momento, mi sembrava una furia irrispettosa.
Ma la vita continua. È così che dicono tutti.
Qualche mese dopo, sfogliando la mia agendina, rividi quel nome e senza un perché lo digitai in google: Maurizio Torresan.
Rimasi sbalordito!
Era un doppiatore dei personaggi dei cartoni animati, anzi di più, un direttore di doppiaggio. Il migliore.
Conosciuto come Paolo Torrisi, aveva dato la voce ad un sacco di personaggi che hanno accompagnato la fanciullezza di due generazioni: da Grisù il draghetto a Sam di Sailor Moon, da Mowgli del libro della giungla ad Arin di Danguard.
Ecco come aveva fatto a modificare la propria voce al telefono!
Ma quello che mi parve davvero incredibile fu che il personaggio principale per cui quest’ometto geniale era più conosciuto, fosse proprio Goku di Dragon Ball.
Mentre lui lottava contro la malattia, era con la sua voce che Goku, dalla tv del San Raffaele, combatteva contro le forze del male. E vinceva.
Mi venne in mente il segno di vittoria che mi aveva fatto quel bambino e la sua certezza che Goku non sarebbe mai potuto morire perché all’ultimo momento si sarebbe trasformato.
Chissà quante volte, con quella voce, Maurizio aveva detto: “E adesso a noi due!”, vincendo dopo spettacolari combattimenti.
Quale grande mostro stavolta aveva avuto la meglio? E con quali armi c’era riuscito?A me piace pensarlo ancora dietro al microfono, intento a dare la voce a tutti quei personaggi che, sono sicuro, esistono veramente. E staranno con lui per sempre.
Alessandro Bettini