Una delle serie più interessanti attualmente presente nel catalogo Netflix: Ju On Origins, è finalmente arrivata anche in Italia. Ne parliamo i questa recensione, assolutamente senza spoiler
Se c’è una Serie TV che ha mantenuto la sua promessa d’intenti, quella è JU-ON ORIGINS su Netflix: ci era stato detto che avremmo conosciuto l’origine di “Ju-On” e così è, solo che non è stato specificato il come.
Perché, ad essere onesto, mi aspettavo tutto un lungo excursus su Kayako, Toshio e il gatto, ed invece la produzione originale Netflix Japan sceglie una via più particolare, raccontando la storia “vera” che si cela dietro l’orrorifica intuizione di Takashi Shimizu.
Una leggenda urbana che pretende di avere un fondo di verità, in un racconto che vuole tenere i piedi tra folclore e quotidiano, come la cronaca sui trafiletti di un tabloid.
E che, in un cerchio che si chiude (no, non c’entra “The Ring”), riporta la casa maledetta a quel piccolo schermo su cui inizialmente era nata: i primi due film di “Ju-On” infatti erano pellicole a bassissimo budget prodotte per la televisione e, dopo il grande successo, dal terzo capitolo passarono al cinema, finendo per ottenere persino un remake con Sarah Michelle Gellar nel 2004, sempre diretto da Shimizu, a cui gli americani hanno fatto seguire altri tre titoli, incluso il reboot di quest’anno.
Una casa maledetta che è fulcro infernale di storie di cronaca, di personaggi maledetti anch’essi, infestati da traumi e sofferenze, sullo sfondo di un decennio storico, a cavallo tra la fine degli Anni ’80 e i primi ’90, reso realistico dai tanti eventi, tragici e veritieri, messi sullo sfondo dei dialoghi, come notiziari alla radio o alla televisione (esempio, quando si nomina il disastro di Chernobyl).
Ne consegue un racconto che fa dell’atmosfera la sua forza, dei continui richiami alla cultura giapponese le sue fondamenta e dei J-Horror il suo inside joke, proponendosi come una visione autonoma, certo, ma ricca di strizzatine d’occhio agli appassionati dei capitoli originali della saga cinematografica.
Questi ultimi infatti coglieranno i tanti agganci sparsi qui e là, le tante “influenze” a cui poi Takashi Shimizu avrebbe dato il suo personale tocco come autore e regista, trasformando il tutto per farlo diventare altro.
Viene quasi da immaginarselo, Shimizu, mentre legge un libro sull’argomento, e pagina dopo pagina la sua fantasia corre e crea.
Per capirci, senza levarvi il gusto di scoprire da voi alcune di queste connessioni, prendete due dei personaggi più positivi che incontrerete lungo i sei brevi episodi della mini: sono Yasuo Odajima (YosiYosi Arakawa) uno studioso e scrittore di libri sul paranormale, spesso ospite in programmi televisivi a tema, e la giovane aspirante attrice e showgirl Haruka Honjo (Yuina Kuroshima).
Ora, andatevi a riguardare “Ju-on: The Grudge 2 – La maledizione” di Shimizu (secondo capitolo per il cinema e quarto della saga): tra le protagoniste principali troverete Tomoka, una giovane documentarista specializzata in storie sul paranormale, e Kyoko, attrice di film horror molto famosa.
Ma queste sono piccolezze sfiziose, ve lo concedo, perché i veri punti di contatto sono altri, specialmente in alcune tematiche che da sempre la saga di Kayako ha sentito molto forti, come quella della maternità, del dolore, della donna vittima di traumi, esperienze intense e totalizzanti, al punto da rimanere impresse a lungo, cicatrici dell’anima che si propagano all’esterno come onde.
Il richiamo agli originali “Ju-On” è anche strutturale: abbiamo molti personaggi sulla scena, abbiamo persino il gioco temporale che come un flusso, solo in apparenza discontinuo, collega tutto e si concede lo slancio di fantasia che serve ad un racconto di fantasmi per decollare, senza mai scadere nell’orrido.
Di per sè, ma dipende dalla percezione di ognuno, non c’è neanche da aver poi così paura, di sicuro non dello spettro che qui appare più come una oscura figura, dai connotati tradizionali (capelli neri lunghi sul volto e lungo camicione bianco), sullo sfondo delle storie terribili che vengono messe in scena.
Non mancano però i momenti disturbanti: la serie non indugia troppo sui dettagli, ma al contempo, lasciando che la mente dello spettatore corra, fa sì che alcuni momenti, sopratutto nei primi episodi, s’imprimano con ferocia incredibile sulla retina.
D’altronde, lo dice anche il cartello iniziale che “i fatti realmente accaduti sono più terrificanti dei film”, e lo sono proprio per questo loro annichilente, efferato realismo.
A dover trovare un difetto, diciamo che chi non è troppo avvezzo al genere e alla sua grammatica potrebbe trovare ostico seguire tutto per bene (per quanto la serie sia molto breve – sei episodi di circa mezz’ora), sopratutto poi se si è abituati a volere una spiegazione per ogni singola cosa mostrata.
Così come non posso certo consigliarla a chi vorrebbe iniziare ad appassionarsi ai film della saga (il primo è di 20 anni fa esatti) partendo proprio dalla serie Netflix.
Al tempo stesso, per quelli che invece sono affascinati da questo Terrore che viene dall’Oriente, quella scritta da Hiroshi Takahashi e Takashige Ichise diventa una piccola, ma sapiente, tappa obbligata da mettere in lista, e che potrebbe benissimo concludersi qui, senza l’opprimente bisogno di una seconda stagione.
Ma quindi niente Kayako, rantoli, capelli assassini, Toshio e gatti neri d’ordinanza?
No, mi spiace.. quelli ce li avrebbe messi tempo dopo un giovane cineasta dalla fervida ed inquietante immaginazione, dando vita ad una maledizione che avrebbe conquistato non solo una casa, ma il mondo intero!
Abbiamo parlato di: