In questo speciale analizziamo tutta la storia editoriale degli X-Men: dagli albori negli anni 60, passando per l’incredibile ciclo di Chris Claremont, fino ad arrivare al nuovo corso firmato Jonathan Hickman
Il fumetto è ormai pacificamente considerato un’arte al pari delle altre sorelle più “blasonate”: lo sdoganamento è arrivato però relativamente tardi, tramite opere che hanno conquistato il favore della critica dimostrando l’indubbio valore del medium, come Dark Knights Returns di Frank Miller, Wathcmen di Alan Moore, o ancora God Loves, Man Kills di Chris Claremont. Opere trasversali che niente hanno da invidiare alla letteratura scritta, diretta concorrente, e che hanno di fatto operato una distinzione, in voga per tutti gli anni ’80 e ’90, tra fumetto popolare – di larghissima diffusione, specialmente nelle edicole – e graphic novel – prodotti di qualità più elevata, molto spesso di nicchia.
Ed appunto Claremont, con i suoi X-Men, è un autore particolarmente importante e decisivo, perché si frantumasse la distinzione tra le due fazioni di cui sopra grazie alle creature che ha inventato (con X-Men # 95, presto diventato Uncanny X-Men, in Italia su X-Men L’Integrale Chris Claremont, # 1, ed. Panini Comics) e che ha scritto per ben 18 anni (di cui 15 continuativi) e quasi 300 albi, portando loro definitivamente nel mito e il fumetto popolare ad orizzonti ben più alti. Ma andiamo con ordine.
PRIMA GENESI (X-MEN, #1/92)
Tra le decine di personaggi inventate e le tantissime testate da edicola che a partire dal 1961 uscirono dalla sua fervida immaginazione, gli X-Men sono quelli che forse erano meno definiti dalla penna di Stan Lee.
Che li scrisse per i primi 19 numeri, ma che nonostante le immancabili matite di King Jack Kirby non ingranarono mai: nonostante un’idea di base intrigante (individui dotati di poteri fin dalla nascita, dal corredo genetico alterato), i personaggi del gruppo più insolito di tutti i tempi scimmiottavano le schermaglie amorose e i dubbi esistenziali presenti in altre testate – dal triangolo fra Scott-Jean-Warren alla difficoltà di inserimento di Hank McCoy – con villain dimenticabili eccezion fatta per uno, ovvero quel Magneto che divenne presto nemico ricorrente e destinato a ben altre vittorie.
La conduzione nel 1966 fu allora affidata a Roy Thomas, “sostituto” di professione (aveva già preso il posto di Lee su Avengers sempre nello stesso anno, e su Fantastic Four un paio di anni prima), che riuscì a definire meglio i caratteri, pubblicando storie gradevoli che iniziarono a tessere una flebile ma presente continuità narrativa interna.
Thomas fu il primo anche a cambiare le tute dei mutanti, a intersecare le trame con gli Avengers per il tramite di due personaggi trasversali come Quicksilver e Scarlet Witch, ovvero Pietro e Wanda Maximoff, parte dei Mutanti Malvagi con Magneto come capo e membri redenti degli Avengers in seguito. Insomma, l’autore venne chiamato ad armonizzare una testata che all’inizio era fin troppo “outsider” non solo nel concept, ma anche nei risultati.
La prima era Thomas durò poco: la testata arrancava, e a lui succedettero Gary Friedrich (creatore da lì’ a poco di Ghost Rider) per una manciata di numeri e Arnold Drake (che invece inventò il personaggio di Polaris sul #49, in Italia su X-Men Gli Anni D’Oro # 7, ed. Marvel Italia): il buon Thomas tornò sugli X-Men con il numero 55, e lì rimase fino al numero 66, giusto il tempo per accogliere le splendide tavole di un Neal Adams in formissima, con il quale sfornò alcune storie notevoli del gruppo.
Albi memorabili, specie con il senno del poi, che finalmente iniziavano a far breccia nel pubblico, tanto che X-Men aumentò le vendite: troppo poco però, e troppo tardi, in quanto la Marvel aveva già deciso di stopparne le pubblicazioni, tanto che dal # 67 al # 93 sulle pagine del bimestrale apparvero solo ristampe. Mai come adesso è il caso di dire che non tutto il male venne per nuocere: se il corso delle vendite fosse stato diverso, da lì a poco non sarebbe mai arrivato Len Wein né tantomeno Chris Claremont.
SECONDA GENESI (UNCANNY X-MEN #95/279)
Roy Thomas nel 1975 è direttore editoriale della Marvel. Le vendite delle ristampe di X-MEN stanno andando insolitamente bene, nonostante siano avventure non inedite, tanto che i vari personaggi continuano ad apparire in altri serial come guest star: decide allora di rivitalizzare la testata, per usarla come testa di ponte per invadere il mercato straniero, affidando a Len Wein il compito di creare membri nuovi di zecca che siano però di etnie diverse da quella statunitense.
Nel leggendario Giant Size X-Men 1 (in Italia, su X-Men L’Integrale Chris Claremont, # 1, ed. Panini Comics), con Dave Cockrum ai disegni, esordiscono così Ororo Munroe (Tempesta, africana), Kurt Wagner (Nightcrawler, tedesco), John Produstar (Thunderbird, nativo americano), Sean Cassidy (Banshee, irlandese), e dulcis in fundo Wolverine, canadese. Un supergruppo che passa subito nelle mani di un giovane autore britannico che si era fatto notare per alcune storie sparse qua e là in Marvel, tale Chris Claremont.
Da oltreoceano porta il suo bagaglio culturale, su tutto una sconfinata ammirazione e passione per William Shakespeare: e pian piano, numero dopo numero, Claremont prende per mano i protagonisti del serial ed entra nelle loro vite. Il suo stile di scrittura è bizantino, impervio eppure affascinante: i personaggi si mostrano e mostrano la loro interiorità grazie a dialoghi intensi e pieni, che rendono tridimensionali i loro rapporti interpersonali, ma soprattutto lentamente escono dalla pagina e prendono magicamente vita. La testata acquisisce quell’Uncanny davanti al nome del gruppo, scala inesorabilmente le classifiche di vendita e inizia a tessere una tela i cui contorni sembrano allargarsi sempre di più.
La storia degli X-Men assume allora un connotato inedito non solo per la Marvel di allora, ma per il panorama fumettistico tout court: l’autore londinese, con vista lunga e intuito geniale, unisce suggestioni da dramma scespiriano con la tecnica narrativa propria della soap opera, creando un affresco inedito quanto ammaliante. Senza nessuna intenzione di abbandonare la testata, rivoluziona insomma il concetto stesso di fumetto seriale, che da lui in poi non sarà più lo stesso, tessendo delle trame che si sviluppavano non in pochi numeri, ma in diversi anni, costruendo una saga pseudo-familiare di grande complessità ed introspezione.
La sua intuizione anticipa di decenni l’utilizzo che le serie TV faranno della storia orizzontale e verticale dal Duemila in poi: ma altro grandissimo merito di Chris è stato quello di lavorare in strettissimo interscambio di idee con i suoi disegnatori. Se infatti la gestione di Dave Cockrum è per molti versi la più classica, da John Byrne in poi le trame prendono direzioni inaspettate ma soprattutto la forma e lo stile anche dell’ispirazione di chi sta al tavolo da disegno. È infatti insieme a Byrne che Claremont, su Uncanny X-Men, scrive alcune delle saghe rimaste nella memoria collettiva, che ispireranno film (su tutti, Alien e Terminator, senza contare l’eventualità Star Wars), e che s’imporranno come punti di svolta per la narrativa seriale, modelli di riferimento che andranno persino oltre il medium per approdare, anni dopo, al cinema e in TV.
Per inciso, fa parte di questo periodo la pluricelebrata Saga di Fenice Nera (in Italia, su Marvel MustHave: La Saga Di Fenice Nera, ed. Panini Comics): una storia che, spogliata di tutte le stratificazioni, racconta della dolorosa scoperta di sé stessi e della lotta che si fa ogni giorno per non farsi travolgere dai cambiamenti inevitabili della vita, una metafora luminosa e potente del diventare adulti, addirittura forse e anche di emancipazione femminile e sessuale.
Una storia, alla fine dei giochi, che si risolveva con la morte (per suicidio!) della protagonista: niente del genere si era mai visto prima nei comics, sconvolgendo di fatto i lettori ma dimostrando che anche i supereroi possono trattare temi raffinati e titanici, diventando pietra di paragone per ogni creazione artistica successiva.
Il successo stratosferico di vendite spinse gli editor della Marvel a far ideare allo scrittore degli X-Men degli spinoff: dapprima scettico, in seguito Claremont accetta e sforna altre testate ottime come New Mutants, Excalibur, Wolverine, dando di fatto origine al sottobosco mutante della Marvel, vera e propria famiglia editoriale.
Questo anche se il periodo con Byrne non è stato, da un punto di vista prettamente critico, il più alto: dopo l’autore canadese arriveranno le matite delicate di Paul Smith, il segno potente e vigoroso di John Romita Jr, fino ad arrivare all’eleganza nervosa di Marc Silvestri e infine alla potente sintesi del segno manga e americano di Jim Lee.
È proprio con lui che Claremont scrive forse la sua storia più bella, indimenticabile per intensità e scavo interiore, Rubicon (in Italia, su GIXM #50, ed. Marvel Italia): fondamentale anche per tantissimi motivi extra fumetto. In primis, è forse la storia definitiva del Magneto moderno: un personaggio che Claremont ha ripreso e plasmato rendendolo uno dei character più veri dell’intera produzione Marvel, né buono né cattivo, dolorosamente vero e incredibilmente affascinante.
Rubicon è però anche la storia in tre parti che inaugura la seconda testata dedicata al gruppo mutante, intitolata semplicemente X-Men: nonostante i dubbi di Chris che temeva una sovraesposizione del marchio X, il nuovo mensile stabilì un incredibile record di vendite tuttora imbattuto nel mondo dei fumetti, vendendo la cifra incredibile di 8 milioni di copie. Ma questo albo storico fu anche il canto del cigno dell’ideatore della seconda genesi dei mutanti: il quale dopo aver scritto le gesta degli X-Men per 15, lunghissimi anni di successi ininterrotti, trovò irrisolvibili i problemi con la dirigenza per la direzione che lui voleva far intraprendere ad alcuni personaggi, e abbandonò la testata.
TERZA GENESI (Uncanny #280/349, X-Men #12/69)
Quando chi ha creato buona parte dei personaggi di una storia (Rogue, Kitty Pryde, Gambit, Sinistro) e reinventato nelle caratteristiche principali la maggior parte degli altri (Jean Grey, Psylocke, Wolverine, Magneto…) lascia la cabina di comando, non è facile proseguire. Uncanny X-Men, grazie a chi ne aveva scritto le trame per quasi due decenni, era diventata la testata leader del parco Marvel, nonché la portabandiera di un fumetto intelligente e sofisticato, che però non rinunciava ad essere popolare e diffusissimo: modello narrativo ineguagliato, metafora sociale e politica così potente da non sopportare -più-, probabilmente, storie semplicemente superomistiche.
Il “dopo-Claremont” fu quindi particolarmente difficile da gestire, considerando anche che adesso le testate da portare avanti erano due, Uncanny X-Men e X-Men, forti di vendite altissime e altrettante aspettative. Per un breve interregno aiutarono allora le due superstar Jim Lee e Whilce Portacio, che da lì a poco avrebbero portato la loro fama a fondare la Image Comics. Ma con il # 289 per Uncanny (in Italia, GIXM, # 56, ed. Marvel Italia) e il # 12 per X-Men (GIXM, # 58, ed. Marvel Italia) ecco arrivare due abilissimi scrittori che, a dispetto delle previsioni, riuscirono a non disperdere i semi piantati nei 20 anni precedenti e anzi a costruirci bene sopra: rispettivamente, Scott Lobdell e Fabian Nicieza.
Entrambe le run (dal 1992 al 1997 circa: Lobdell fino al # 349, per ben 60 numeri e 5 anni su Uncanny, e dal #46 al # 59 su X-Men; Nicieza su X-Men fino al # 45) portarono avanti le sottotrame lasciate aperte dal predecessore, incrementando anzi il numero dei misteri e approfondendo alcuni protagonisti la cui psicologica era rimasta forse in penombra. È per questo che nel lungo ciclo di Lobdell Jean Grey acquisisce nuove profondità, mentre finalmente sia Xavier che Ciclope, due personaggi a dir poco fondamentali, trovano una tridimensionalità fin troppo rinviata, al di là del ruolo.
Episodi come Tigri Nella Notte, (Uncanny X-Men # 308, in Italia GIXM 67) o Uomo (X-Men # 57, in Italia su GIXM 88), entrambi a firma Lobdell, sono due colpi al cuore, che accarezzano i personaggi con una delicatezza di cui forse neanche Claremont era capace, travolto dal suo lirismo appassionato e drammatico. Due gestioni eccellenti, insomma, segnate anche dall’esplosione dei crossover interni alla famiglia mutante, tutti riusciti, tutti perfettamente congegnati: dall’importantissimo Attrazioni Fatali (GIXM # 65., ed. Marvel Italia) a Phalanx Covenant (GIXM # 70, ed. Marvel Italia), da Operazione: Zero Tolerance a RigeneraXione (GIXM # 109/110, Wolverine # 115, Marvel Crossover # 27, ed. Marvel Italia), fino ad Apocalisse: I Dodici. E a questo proposito: è di questo periodo una saga definitiva, seminale, ancora oggi sconvolgente: L’Era Di Apocalisse (in Italia, L’Era Di Apocalisse # 1/7, ed. Panini Comics).
IL SOGNO MUORE, IL SOGNO È VIVO (Uncanny #350/393, X-Men #70/109)
Per tanti versi, L’Era Di Apocalisse rappresenta un punto di svolta per i mutanti: dal piano strettamente narrativo, è una storia le cui ripercussioni e personaggi sono centrali ancora oggi nell’economia delle testate mutanti. Dal punto di vista invece creativo, la maxi saga ideata da Lobdell è una maestosa dimostrazione della forza anarchica che porta in sé l’Universo letterario mutante: un serbatoio di idee e situazioni potenzialmente infinito, che gioca con i sottotesti politici e sociali e parla, con un’attualità sempre urgente, del mondo contemporaneo, sottolineando i problemi razziali. Anche sotto il profilo commerciale, questa rielaborazione di tutte le testate mutanti (che all’epoca erano, oltre ad Uncanny e X-Men, Cable, Excalibur, Wolverine, Generation X, X-Factor e Gambit, chiusero per quattro mesi, sostituite da altrettanti titoli ambientati in u universo alternativo dove Xavier è morto e Apocalisse regna sovrano) fu un successo incredibile, che si ricorda e si cerca di replicare ancora oggi. Nel turbillon di grandi eventi mutanti dell’epoca, L’Era Di Apocalisse è il più sincero, sentito, originale e riuscito per amalgama delle varie testate e coordinamento dei vari autori.
Dopo Lobdell e Nicieza, con il loro abbandono – forse più doloroso e difficile di quello claremontiano, perché con loro due ci si era rassicurati sulla prosecuzione qualitativa e di vendita delle testate mutanti – arrivarono Steve Seagle e Joe Kelly sulle due testate ammiraglie. E anche con loro, incredibilmente, si fece centro: una scrittura fresca e veloce, che divideva in maniera equa azione e introspezione.
Perché Joe Kelly preferì usare la sua prosa intelligente e acuminata per delineare i personaggi e le loro interazioni, mentre lo stile nerboruto e adrenalinico di Seagle servì per intrecciare gli X-Men con altri eroi (Alpha Flight, ad esempio, nella testata omonima coinvolta in un gustoso crossover) e gettarli in avventure mozzafiato.
Oltretutto, in questo periodo furono creati personaggi che ritorneranno ciclicamente (come Marrow, Random e Cecilia Reyes, protagonista del film New Mutants del 2020) e uno particolarmente interessante e protagonista di una sottotrama che tenne banco per anni (Joseph, un clone -forse- di Magneto ma buono)
Ma la pacchia durò poco, perché Uncanny perse lo scrittore con il #365 (GIXM # 111, ed. Marvel Italia) mentre X-Men con il #85, con Alan Davis a prendere le due postazioni. Giusto il tempo di un crossover (su GIXM # 112/123, ed. Marvel Italia) e di concludere la sua run con una sorta di reprise dell’Era Di Apocalisse intitolata Ages Of Apocapylpse, che ecco tornare il solito Claremont (#100/109 di X-Men e # 381/389 di Uncanny) nel tentativo di rivitalizzare i due mensili che iniziavano ad essere in debito di ossigeno, e subito dopo di lui Scott Lobdell (# 390/393 di Uncanny): ma entrambi non riuscirono a ricatturare lo spirito delle loro gestioni originali. I due mensili furono coinvolti nell’evento Revolution, che avrebbe dovuto rivitalizzare la famiglia mutante: tutte le storie quindi ripartirono con un gap di sei mesi nella narrazione, con consguenti misteri che si sarebbero svelati pian piano. Ma l’arrivo del film X-Men (2000) diretto da Brian Singer, che si rivelò un enorme successo, scombussolò i piani editoriali: Claremont fu costretto per la seconda volta a sottostare alla volontà della direzione Marvel, stravolgendo i suoi piani; gli fu però offerta una testata tutta nuova, X-Treme X-Men, dove avrebbe potuto portare i personaggi (esclusi dalle testate principali, che dovevano mettere in mostra quelli coinvolti sul grande schermo) dove voleva. Sulle due ammiraglie arrivarono allora nomi nuovi: ovvero Joe Casey e Chuck Austen. E Grant Morrison.
QUARTA GENESI (Uncanny #394/443, X-Men #110/154)
Se gli anni ’70 e soprattutto gli ’80 la X era sotto il segno di Chris Claremont che creò i mutanti moderni; se i ’90 furono invece appannaggio quasi esclusivo dello stile più veloce ma intenso di Lobdell; per il nuovo millennio occorreva qualcuno in grado di declinare i personaggi nell’ottica cinica e disillusa dell’epoca postmoderna.
Se allora Joe Casey e Chuck Austen su Uncanny ripresero i personaggi con le loro caratterizzazioni immergendoli in scenari attuali (specialmente Austen con la sua X-Corps europea), fu però Morrison a scrivere gli X-Men definitivi del Nuovo Secolo. La testata, in occasione della nuova gestione, cambiò anche provvisoriamente nome diventando New X-Men, con un logo tutto nuovo che era anche un ambigramma, ovvero parole che si leggono sia normali che capovolte.
Le serie mutanti, con il passare degli anni e con lo stile di Claremont come marchio di fabbrica (trame a lunghissima percorrenza, intrecci labirintici, personaggi che si sviluppano per anni), erano diventate fin troppo complicate e stratificate, rivolgendosi quasi esclusivamente ai lettori storici, diventando pressoché impossibile per un neofita orientarsi in medias res.
Specialmente con il successo su grande schermo (con X-Men, ma anche con X2 e X-Men 3: Conflitto Finale di Brett Ratner), era necessario uno starting point per i nuovi lettori. Era perfetto quindi un autore come Morrison: che facesse tabula rasa con lo stile del passato, che introducesse argomenti nuovi e contemporanei -droghe, adulteri, realtà psicotiche-, che aggiornasse i personaggi e le loro relazioni -addirittura rompendo un tabù: Scott Summers tradisce Jean Grey con Emma Frost!-. E il risultato fu spiazzante, destabilizzante.
Per quanto innovativo, Morrison ricalcò con furbizia e intelligenza lo schema narrativo di Claremont: una scuola con ragazzi problematici, un villain imponente ma sfaccettato e collegato al mentore Xavier (Cassandra Nova), due linee narrative in parallelo (spazio e scuola), ma soprattutto riprende un assunto fondamentale della serie, ovvero il genere mutante come minoranza oppressa. Solo che adesso il mutante borderline non si nasconde più, ma ostenta la sua diversità come fosse il membro di una sottocultura punk. E se il tono è quello della fantascienza new wave britannica -echeggiando Ballard-, filtrata e declinata attraverso l’ottica superomistica, la costruzione impone nuovi personaggi che arrivano per restare: le naiadi di Stepford, Quentin Quire, Becco, Angel, John Sublime, Xorn.
Il ritmo imposto da Morrison è vorticoso: una curva sinusale che ricalca, anche qui, l’andamento di Claremont (una prima grande saga che si conclude con una lotta interstellare, un’ultima saga conclusa con la Fenice). Il tutto adottando una prosa snella e ricercata, senza scadere mai nella verbosità, toccando uno dei vertici dell’intera serie con il # 121, Silenzio: Salvataggio Psichico in Corso (GIXM # 147, ed. Panini Comics, raccolto nell’Omnibus Marvel New X-Men di Grant Morrison), 22 pagine senza neanche un balloon ma con un’intensità rarissima.
E a tal proposito, essenziale è l’apporto dei disegnatori: in gran parte, coprono la tavola Frank Quitely e Ethan Van Sciver, impostazione classica e deragliamenti di morbosa plasticità, e anche, sul rush finale, un ispiratissimo Marc Silvestri che in soli 4 episodi restituisce personaggi credibili e perfetti. Su tutto, comunque, uno storytelling invidiabile che rasenta la perfezione.
TRAMONTO MUTANTE (Uncanny # 444/600, Extraordinary X-Men # 1/20, X-Men Blue # 1/36)
Da qui in poi, si fa tutta salita.
Se Claremont, Lobdell e Morrison, tra alti e bassi, avevano saputo riplasmare per ogni decennio personaggi, atmosfere e relazioni con i sottotesti tipici delle adulte testate mutanti, nel nuovo secolo gli eroi X faticano non poco a trovare qualcuno che ne capisca le psicologie e sappia attualizzarle e declinarle in avventure e situazioni degne del loro passato. Su Uncanny, in particolar modo, torna addirittura X-Chris dopo la chiusura di X-Treme X-Men, per quasi tre anni; poi Ed Brubaker, Matt Fraction, Kieron Gillien, con storie sempre più sfiatate, sottotesti sempre meno potenti, decantando tutto il potenziale di protagonisti enormi.
In tutto questo, esattamente come per i primissimi anni 2000, ci si mette anche il cinema: è infatti tempo della nascita del MCU, che porta un incredibile aumento di popolarità per gli Avengers, con la Marvel che concentra su quelle testate il maggior sforzo autoriale e di visibilità. Ne esce fuori un ciclo turbinoso, tra ripartenze dal n.1, mega saghe annuali (Messiah Complex, Messiah War, House Of M, Dark Reign, Decimation, Manifest Destiny, Secondo Avvento, Scisma, AvX…), nuove testate e rilanci (da Marvel NOW!, a All New All Different, e così via) che si susseguono a ritmo incessante. La pianificazione tipica delle trame mutanti salta: e in questo disastro, neanche l’arrivo di Brian M. Bendis, fresco di successo dalla testata Avengers, riesce a dare sollievo.
Giusto nel suo ciclo, affiancato da una testata nuova di zecca, All New X-Men, si intravede qualche spunto interessante, come la creazione di un nuovo/vecchio gruppo di X-Men: in seguito agli eventi del crossover AvX (Avengers Vs X–Men), la forza Fenice si impossessa di Ciclope -oltre che di Emma Frost, Colosso, Namor e Magik- e gli fa uccidere Charles Xavier. In seguito a questo evento, Scott Summers viene arrestato e in seguito fatto evadere da Magneto, prima redento ora in bilico tra bene e male, e rivoluziona il suo status di eterno bravo ragazzo, diventando un rivoluzionario.
Il comportamento dell’ex leader mutante viene preso per follia dal suo compagno di sempre Bestia, che decide allora di prelevare dal passato gli X-Men originali (Ciclope, Marvel Girl, Angel, Uomo Ghiaccio e Bestia) in un tentativo estremo di mostrare al Ciclope di oggi qual era il loro punto di partenza, il Sogno, per farlo rinsavire e tornare su una supposta retta via. I 5 originali -da qui, O5- rimangono però bloccati nel nostro presente/loro futuro, diventando anche protagonisti della testata All New X-Men.
L’abilità di Bendis come dialoghista non è pari forse a quella di pianificatore: buone idee vengono eccessivamente diluite in storie che iniziano a farsi ripetitive, e se All New porta un po’ di novità con lo scontro generazionale, Uncanny prosegue stancamente fino al 600. Pressoché sull’orlo del collasso, in un estremo slancio, cambia il nome prima in Extraordinary X-Men (GIXM # 311/327, ed. Panini Comics) -affidata prima all’astro nascente Jeff Lemire– e poi in X-Men Blue (INXM # 52/68, ed. Panini Comics) con testi di Cullen Bunn, dove confluiscono e terminano le avventure con gli O5: il pubblico non riceve, le storie latitano. L’ultimo guizzo è affidato a Matthew Rosemberg, che chiude Uncanny con il #600: avventure che sembrano ricatturare lo spirito dei gloriosi anni ’90, ma per quanto avvincenti alla fine risultano una copia.
EREDITÀ BLU E ORO (X-Men #155/207 – 1/41 – 1/26, X-Men Legacy #208/300, X-Men Gold # 1-36)
Discorso lievemente diverso per X-Men, almeno all’inizio. Perché il dopo Morrison/Austen viene gestito con molta classe da Peter Milligan, in una run ingiustamente sottovalutata (con le minisaghe Golgotha e Bizzarro Triangolo d’Amore, X–Men # 166 187, in Italia GIXM # 189/202, ed. Panini Comics); seguito da Mike Carey, anche quando la testata si trasforma in X-Men: Legacy (GIXM # 222/263). Carey si concentra prima sul rapporto che lega Rogue, Magneto e Gambit, in episodi delicatissimi e di raro spessore, trovando il tempo per una nuova distopia, Age of X, con protagonista David Haller aka Legione, il figlio di Xavier che già aveva causato l’Era Di Apocalisse.
Lo scrittore viene sostituito dopo il # 257 da Simon Spurrier, con la testata che riparte da 1 fino al 24 e concludendosi tornando al 300 (in Italia, INXM # 1/20, ed. Panini Comics, raccolti in tre splendidi volumi soft touch): protagonista ancora una volta Legione, ma il tono cambia da drammatico a grottesco, con tocchi di psichedelia geniali che danno, al pari e forse in maniera superiore alla gestione Morrison di New X-Men, una scossa non indifferente alle serie mainstream Marvel, introducendo una autorialità e un approfondimento psicologico, una dedizione alla crescita e allo sviluppo dei personaggi che si vedevano solitamente in run più ridotte e in progetti più marginali più volutamente di nicchia.
Chiusa Legacy, X-Men si strascica fino alla chiusura con un continuo turnover di scrittori, tra Victor Gischler, Marc Gugghenheim, Christopher Yost e Brian Wood,: la chiusura in questo caso è stato un atto di carità.
In seguito, sia Uncanny che X-Men ripartono cambiando ancora una volta nome, rispettivamente in Blue e Gold, riprendendo il nome delle formazioni delgi X-Men della gestione Claremont/Lee. Se di Blue abbiamo parlato sopra, Gold trova in Gugghenheim un autore che, in un tentativo estremo, tenta di recuperare situazioni, trame e costumi dei tempi passati: troppo poco, troppo tardi, troppo fuori tempo.
L’ALBA DI OGGI
Arrivati in fondo, non si poteva che risalire. È storia di adesso il revival delle testate mutanti fatto da Jonathan Hickman, prima con House of X e Power of X, poi con X-Men, seguito a ruota da tutte le altre testate.
Hickman fa quello che aveva fatto Morrison, ma con più consapevolezza: rivoluziona il concept mutante, attualizzandolo ma nello stesso tempo riportandolo ad una dimensione originale. Pianifica le sue trame con una lunghissima percorrenza, tanto da aver bisogno, prima di iniziare a scrivere la serie principale X-Men, di ben due miniserie di dodici numeri ciascuna a cadenza settimanale (le citate HoX e PoX) per mettere in tavola tutte le sue carte e i suoi piani, scavando a fondo nella complessa continuità mutante, addirittura colmando lacune vecchie di anni e riaprendo misteri insoluti delle passate gestioni, componendo un affresco incredibilmente coeso, affascinante, attrattivo nella sua magnificenza senza rinunciare -punto debole di Hickman, altrove – al lato emotivo dei personaggi.
Una nuova grandezza, un autore che si aggiunge ai decenni guidati dai vari Claremont, Lobdell e Morrison raccontando e portando gli X-Men negli anni Dieci.