Squid Game, la serie TV sudcoreana che ha riscosso un notevole successo, si può definire come una serie specchio della nostra società?
Squid Game è una serie TV Sudcoreana prodotta da Netflix. Rilasciata il 17 Settembre, dopo poche settimane ha già raggiunto un notevole successo, diventando un fenomeno globale che ha “colpito” più di 90 paesi nel mondo.
Grazie a un mix di thriller, colpi di scena, scene splatter, violenza, morte e redenzione, ha conquistato il pubblico diventando una tra le serie di punta del momento.
La trama è semplice: 456 giocatori devono cimentarsi in 6 giochi legati all’infanzia, se arrivano alla fine di questi giochi, vincono 45.6 miliardi di Won. Se perdi a un gioco, perdi la vita.
Ma possiamo in qualche modo rivedere alcuni aspetti della società descritta nella serie con il mondo reale?
Partiamo dal fatto che il creatore Hwang Dong-hyuk, ha rivelato in un’intervista che voleva scrivere una storia che fosse «una fiaba allegorica sulla moderna società capitalista».
La Corea del Sud è uno Stato in cui il divario tra ricchi e poveri è sempre più netto. La classe media sta completamente sparendo ed è più facile diventare poveri che riscattarsi. Lo Stato, dopo il Boom economico vissuto fino agli anni novanta, è ora in una fase di stasi in cui l’economia e la crescita hanno subito un brusco rallentamento. Tutto ciò ha portato ad aumentare il divario tra chi è riuscito a crearsi una posizione privilegiata nella società e chi no.
Situazione che si può riscontrare in altri Paesi del mondo, come ad esempio, il nostro.
Una società non dovrebbe essere mai eccessivamente capitalista, questo perché il capitalismo è amorale, poiché si basa sullo sfruttamento delle persone creando iniquità; il capitalismo è alienante e allontana le persone dalla felicità; infine il capitalismo non è funzionale, poiché data la sua natura iniqua crea crisi nella società stessa. Ecco che, l’odierna società in cui ci troviamo, viene perfettamente descritta in questa asserzione.
Quindi, la fiaba allegorica creata da Hwang, ha pieno fondamento nella realtà odierna. All’interno stesso del gioco, possiamo vedere la divisione delle classi: i giocatori, che cercano di resistere all’inferno, questa volta però partendo dallo stesso livello; le guardie, che controllano i giocatori e sono divisi in base al grado che ricoprono all’interno dell’organizzazione, mostrando una figura diversa sul volto ( quadrato, cerchio, triangolo); il Frontman, il capo che gestisce ogni cosa e infine i VIP, coloro che puntano i soldi per permettere al gioco di continuare.
Non è ciò che accade costantemente sotto i nostri occhi? Non ci sembra tutto questo, qualcosa di familiare?
Se quindi una mano tesa ci portasse in un mondo di regole molto semplici, ma basate su un sistema equo e meritocratico, non potremmo vedere nella morte stessa una degna alternativa?
Ecco che la difficoltà di riscatto e l’esigenza economica rende credibile la possibilità che, se messi di fronte ad una scelta, alcuni preferiscano perdere la vita per provare a crearsi un futuro migliore.
I personaggi che gareggiano in questa folle corsa contro la morte sono persone comuni, disperate, che cercano un modo per uscire dall’inferno della loro esistenza. Sono persone che per tutta la vita sono state soggiogate dalla società, per poi essere messi ai margini di essa. Persone che non hanno nulla, a cui la comunità volta le spalle. Giovani che cercano nella strada sbagliata una possibilità. Persone che cercano di dare un futuro a coloro che amano.
Sembra davvero così insensato trovare in Squid Game uno specchio allegorico della società in cui viviamo?