I riflettori di questa puntata di Wrestling Vintage sono tutti per Brock Lesnar, il bestione di Minneapolis che ha battuto Hulk Hogan, The Rock e The Undertaker
Alla fine dell’ultima edizione di Summerslam, lo storico pay-per-view di agosto della World Wrestling Entertainment, è ricomparso a sorpresa Brock Lesnar dopo più di un anno di assenza.
Il bestione di Minneapolis ha ormai abituato i fan a separazioni più o meno lunghe e ritorni ad effetto. E questo suo concedersi al wrestling un po’ per volta, parzialmente, è probabilmente uno degli aspetti che lo rendono, ancora oggi, una delle star più in grado di alzare gli ascolti (e gli introiti) della federazione di McMahon. In sostanza: la presenza di Lesnar garantisce automaticamente l’evento.
Brock è sempre stato un predestinato in grado di bruciare i tempi e macinare un successo dietro l’altro. Basti pensare al suo primo anno in WWE, per esempio.
Dopo essersi laureato campione NCAA di lotta libera, il giovane Lesnar viene notato dall’allora WWF che gli offre un contratto nella sua federazione di sviluppo, la Ohio Valley Wrestling. Qui, sotto la guida di Jim Cornette (il manager con la racchetta da tennis che accompagnava Yokozuna e Mr Fuji a inizio anni Novanta), il futuro campione forma con l’ex compagno universitario Shelton Benjamin un tag team noto come The Minnesota Stretching Crew. Qualche tempo dopo, Cornette avrebbe raccontato alle telecamere del WWE Network che la cosa che lo aveva maggiormente impressionato di questo possente atleta era la capacità di replicare anche mosse tipiche dei pesi leggeri. Una fra tutte: la shooting star press. Vedere uno con quella stazza “volare” non è proprio una cosa comune, in effetti.
Vinti per ben tre volte i titoli di coppia OVW e, soprattutto, stancatosi di lottare in una lega territoriale, Lesnar decide dare un ultimatum alla dirigenza: se non gli avessero concesso un’opportunità per entrare nel roster WWE, se ne sarebbe andato sbattendo la porta. Dato che da quelle parti non sono fessi e nessuno vuole farsi scappare un prospetto del genere, dopo un paio di dark match, cioè gli incontri che si disputano prima degli spettacoli che vanno in onda in tivù, per Brock si accendono le luci dei riflettori di Raw e Smackdown.
Il 2002 è l’anno di una delle ascese più rapide nella storia del wrestling. “The Beast” viene presentato al pubblico da Paul Heyman, dando vita a un sodalizio on screen che dura tutt’oggi. All’inizio, i fan si chiedono da dove spunti quel giovane bulldozer che, senza neanche sudare, fa carne da macello dei più navigati fratelli Hardy, sia in competizione singola che in Handicap match due contro uno. Ben presto, però, si rendono conto che quel ragazzo è qualcuno di cui sentiranno parlare per molti anni. “The Next Big Thing”, come inizia a chiamarlo Heyman, partecipa al torneo King of the Ring che, in quell’edizione, oltre al titolo di Re del wrestling, mette in palio l’opportunità di sfidare il campione assoluto a Summerslam, due mesi dopo. Superando, in ordine, Bubba Ray Dudley, Booker T e, in finale, Rob Van Dam, Lesnar si prende lo scettro e comincia la sua strada verso il gradino più alto della federazione.
Prima di arrivarci, però, Brock provoca ulteriore devastazione nella WWE. Nella puntata di Smackdown dell’8 agosto, per esempio, in un incontro che vede due generazioni a confronto, il novello “sovrano” distrugge il leggendario Hulk Hogan, lasciandolo addirittura esanime e sanguinante sul ring. Il momento in cui metterà le mani sull’intera posta in gioco adesso appare a tutti molto più concreto e vicino.
Nell’estate del 2002 la cintura era tornata alla vita di The Rock, ormai in rampa di lancio per una carriera cinematografica. A Summerslam, i due si affrontano in un match stellare in cui il pubblico, sentendosi tradito dalla decisione di Rocky di lasciare il ring per Hollywood, copre di fischi il campione e tifa apertamente per lo sfidante, facendo esplodere il Nassau Coliseum di Uniondale quando l’arbitro conta l’1-2-3 che decreta la vittoria di quest’ultimo. L’“era della bestia” è ufficiamente iniziata.
Il seguente capitolo della storia di Lesnar è la rivalità con un altro mostro sacro del wrestling: The Undertaker. La vittoria in una delle specialità del becchino, il brutale Hell in a Cell match di ottobre, legittima definitivamente l’ascesa del nuovo campione WWE. Fino a quel momento, Brock aveva avuto uno straordinario successo da “cattivo” ma, nel mese di novembre, convinti di potergli portare un consenso più generalizzato, i dirigenti della WWE tentano di trasformarlo in un “buono”. Alle Survivor Series, quindi, il tradimento di Paul Heyman gli vale la sconfitta e la perdita del titolo contro Big Show.
Un Lesnar molto meno credibile nei panni dell’eroe che piace alla gente ricomincia la rincorsa verso la massima corona della federazione dalla vittoria nella Royal Rumble del 2003 dove elimina per ultimo l’ormai ex nemico Undertaker. E il passaggio dalla “rissa reale” gli garantisce la title shot contro il campione in carica Kurt Angle a WrestleMania XIX.
Il match allo “Showcase of the Immortals” è considerato un classico della disciplina. Programmato come main event della serata, addirittura dopo “Stone Cold” Steve Austin contro The Rock, era stato pensato per consolidare ulteriormente l’immagine da “buono” di “The Next Big Thing”. Ma per un pelo non rischia di essere ricordato per ben altre ragioni: Lesnar vuole creare uno di quei momenti indimenticabili tipici di WrestleMania e decide di eseguire la shooting star press che faceva ai tempi della OVW per chiudere l’incontro. Qualcosa, però, va storto e il wrestler di Minneapolis arriva a tanto così dal rompersi il collo. Con un ultimo sforzo, riesce comunque a schienare l’avversario e a riconquistare la cintura. Ma di quell’incontro, ahimè, tutti ricorderanno soprattutto quei cinque minuti di terrore.
Per sua fortuna, Brock avrebbe avuto molti altri WrestleMania moments nel prosieguo della sua carriera.