Analizziamo l’attesissimo quarto capitolo di Matrix, in una recensione che vuole provare a spiegare perché questo film meriterebbe molto più clamore di quanto non ne stia ricevendo
Avevo chiesto a Babbo Natale una tastiera con il pulsante integrato #èunammerda appositamente per prepararmi a commentare questo Matrix Resurrections.
Aoh, c’avrei giurato. De sti tempi di minestroni riscaldati e agglomerati di fanservice al limite del nausebondo, la prospettiva della Wachowski solitaria che tornava all’ovile dopo una serie di perlopiù immeritati insuccessi, e pure senza la sorella, già m’aveva fatto scattare la rogna.
Sicuro sicuro, dicevo, cancella Matrix 2 e 3 per mettere il ciuccio a quelli che non c’hanno mai capito un cazzo – trattandosi non di semplici seguiti ma di due saggi su Matrix in forma di pellicola. E spezzo una lancia: all’inizio non c’avevo capito un cazzo manco io – rifà il primo in una sorta di operazione nostalgia del cazzo fracassando i coglioni con tremila sequenze in bullet time e continui ammiccamenti di Keanu Reeves alle mossette di Neo che fa Kung Fu e ferma i proiettili e vola e fa tutte le cose che ci si aspetta da Neo però in versione ribadita, riscaldata e sfrangipalle.
Invece me sa che la tastiera la do via o me la tengo da parte per Indiana Jones 5, perché stavolta non ho proprio motivo di usarla. M’hanno fregato, ma non sono mai stato più felice di essere fregato.
E mo’ so’ cazzi. Perché come faccio a parlarvi di un film così incredibilmente intelligente – nell’epoca in cui fare film intelligenti è quasi considerato un demerito – e che sostanzialmente lavora in direzione diametralmente opposta a quello che fanno i franchise che si rivolgono al passato, senza spiegarvi perché è così profondamente intelligente e quindi, in sostanza, senza “””spoilerare”””.
E quanto pare scemo il termine “””””””spoilerare”””””” applicato a un film come questo, che è tutta teoria e sostanza e dove gli snodi della trama sono a sostegno di una visione chiara e cristallina ma allo stesso tempo, sono chiavi di lettura per arrivare a quella visione in maniera armonica ed entusiasmante? Che cazzo ti vuoi spoilerare, che il film è importante e lo resta pure conoscendo ogni dettaglio, e anzi, conoscendoli diventa ancora più bello e interessante?
Come faccio a fare da bianconiglio e guidarvi in questo ricco sistema di simboli e rapporti se vi preoccupate di sapere come va a finire e non di sapere perché va a finire così?
Oltretutto, in un momento in cui non sono ancora troppi ad averlo visto? Forse perché stando su HBO Max, non è che sia impossibile vederlo, se uno si ingegna.
Facciamo così.
PILLOLA BLU. Vi fermate qui. Ve lo vedete quando vi pare e senza “”””””””””””””spoiler””””””””””””” (madonna che parola di merda, anche tra cento virgolette) magari facendovi influenzare dalle recensioni di chi ancora una volta non c’ha capito un cazzo e vi dice che “è uguale al primo Matrix e quindi è noioso”. Poi tornare a vedervi Spider-Man No Way Home per la sedicesima volta fino a che non arriva il prossimo Miglior Film Marvel di Sempre. Ma voi siete meglio di così.
PILLOLA ROSSA. Mi seguite nella tana del Bianconiglio, vi beccate gli “””””””””””””””””””””””””””””””spoiler””””””””””””””””””””””””””””” e li usate come chiave di lettura – insieme a quelle che vi suggerisce la vostra testa, ne sono certo, ancora funzionante – per l’accesso a uno dei racconti più ficcanti e azzeccati proposti da Hollywood negli ultimi anni. Forse l’unico veramente ficcante e azzeccato.
…
Se siete ancora qui è perché avete scelto la pillola rossa. Me ne compiaccio. O magari siete tornati qui dopo averlo visto. Bene, significa che vi siete ricordati di questo articolo.
Benvenuti anche a voi. E allora partiamo.
Non vi racconto la trama, ma piuttosto le suggestioni, e questo implica anche raccontare dettagli della trama, quindi se non fosse chiaro da adesso in poi è cazzutissimo
SPOILER
La prima cosa che mi ha favorevolmente colpito è che non vengono cancellati i Matrix 2 e 3. Anzi. Lana riesce a riutilizzarli valorizzandoli e mostrando allo stesso tempo allo spettatore la consapevolezza di non potere, né volere, ripetere la rivoluzione operata col primo storico film. E lo fa rifacendo il primo film. Strano, eh? Ma con un approccio lucido è possibile.
È tutto un gioco di virtù e necessità. E questo il film lo dice, lavorando in maniera metacinematografica. Thomas Anderson è un riconosciuto developer di videogiochi – nel primo film era un hacker, ai tempi la rete e le sue possibilità erano una novità – che ha creato tre giochi corrispondenti ai tre precedenti film di Matrix. Lui pensa che siano ispirati a suoi bizzarri sogni. Il suo analista fa da guardiano della soglia lasciandoglielo credere, ma gli dà anche indicazioni su quello che dovrebbe fare della sua vita.
Già l’inclusione del tema videoludico è importante. Perché sono videogiochi e non film? Perché ovviamente, Anderson/Neo ne è il protagonista, e dunque deve aver potuto interagire con quel mondo. Noi siamo spettatori, e possiamo limitarci a guardarlo. Ma il cambio di media in questo caso chiarifica il rapporto e lo rende esatto. In sostanza, fanno qui quello che ‘La Storia Infinita’ non ha avuto il coraggio di fare. Il libro di Michael Ende funzionava sull’asse “Bastian legge storia di Atreyu mentre noi leggiamo storia di Bastian e forse qualcuno legge la nostra”. Per questo era un libro magico. Il film – sempre carinissimo, eh – faceva saltare un cardine: “Bastian legge storia di Atreyu mentre noi guardiamo storia di Bastian e dunque gli altri che fanno? Ci leggono o ci guardano?”. Non è più specchio che riflette specchio. C’è uno specchio rotto. Avrebbe funzionato meglio se passando al cinema la storia di Atreyu fosse stata a sua volta, nella narrazione, un film, e se oggi io dovessi fare ‘La Storia Infinita’ al cinema opererei quello che si chiama un tradimento funzionale, al limite del sacrilegio, ma che ripristinerebbe la funzionalità magica del tutto: trasformare il libro letto da Bastian in una vecchia VHS. Magari proprio una contenente il vecchio film degli anni ‘80.
Ho divagato. E lo farò ancora. Questo post sarà complesso come un film di Matrix.
Torniamo alla bizzarra intro metacinematografica di Resurrections. Arriva (nel film) una chiamata dai piani alti: Warner Bros. vuole produrre un quarto capitolo di Matrix. Anderson non è convinto, aveva concluso la storia. Ma si rende presto conto che gli Studios lo faranno comunque, con o senza di lui. Per cui tanto vale prenderne le redini.
La perculata alle dinamiche della produzione di blockbuster odierna è palese e non metaforica, ma la cosa geniale – e contraddittoria, ma non per questo meno interessante – e che la si fa restando nelle maglie del sistema e formalmente “accontentando” queste dinamiche, per poi dire altro. La prima parte del film è, in effetti, di facciata, reboot e remake insieme, ma al contempo è come una di quelle canzoni in cui se cambi solo una parola cambia tutto il significato. Per esempio provate a sostituire in ‘Salirò’ di Daniele Silvestri la parola ‘Salirò’ con ‘Cagherò’.
“Cagherò. Cagherò. Fra le rose di questo giardino. Cagherò cagherò fino a quando sarò solamente un ricordo lontano”.
Funziona perfettamente. È un remake, ma ha tutt’altro significato. Fa ridere, eh? Ma soprattutto, è una chiave. Perché è così che ha lavorato Lana su questo film ed è così che va visto, e non come ‘Chewbe siamo a casa’ o qualsiasi altra cazzata nostalgica che ci abbiano propinato in questi anni.
Questo film non ripropone, ma rovescia e ribalta le prospettive. Eppure non lo fa con la classica tecnica dell’anticlimax e del fare l’esatto contrario di quello che si aspetta lo spettatore (Luke che si getta la spada laser alle spalle, Iron Man che gli si smonta l’armatura, eccetera). Lo fa mantenendo il significante ma cambiando il significato, non per compiacere lo spettatore, ma nemmeno per disilluderlo. Lo fa per seguire quello che chiede il Mito. Ed è il modo migliore di venirci a patti.
Alla fine, chiaramente, Matrix 4 si fa. Ma deve passare prima sotto le maglie di un analista. Lo psichiatra di Thomas. Ovviamente è la classica figura ambigua che vuole confondere il protagonista, ma che sia un analista non è un caso. In effetti, non fa che dirgli cosa dovrebbe pensare, come dovrebbe agire, cosa dovrebbe essere, cosa è fantasia e cosa è realtà. Nel fare questo dirige il (video) gioco, essendo ovviamente implicito che anche questa realtà in cui Thomas si muove, e che è ovviamente e senza grosse sorprese una versione di Matrix, sia un videogioco. Si tratta solo di prenderne il controllo. Fa pensare a quanti data analyst siano implicati nella realizzazione di un film – o un gioco – di successo, che assieme agli studios (e quasi mai al regista) stabiliscano quanto ci debba essere di ciascun elemento – fanservice, amore, comicità, epica, sesso, scorregge, tutto – per far breccia nel cuore del pubblico di riferimento. E tra tutti questi calcoli, Thomas rischia di perdersi. Appare evidente a questo punto che Thomas è Lana, e questo è anche scontato. Ma la sorpresa sta dopo.
Si prosegue in maniera assolutamente ragionevole, e incredibilmente lontana dal fanservice che ci si poteva aspettare. Matrix significa bullet-time (un personaggio lo dichiara specificamente)? E allora mettiamocelo, ma poco, appena accennato, giusto per sottolineare che di bullet time ne abbiamo visto anche troppo, che ormai il capolavoro è stato fatto e qui non c’è e non ci deve essere l’intenzione di replicarlo. Che cazzo d’altro ti vuoi inventare dopo che hai fatto Matrix? Qui c’è da sopravvivere, uscirne con dignità facendo un bel film, a testa alta e con la possibilità di guardarsi ancora allo specchio senza sputarsi in faccia.
E anche per questo, il film è visivamente ordinario. Carino, elegante, funzionale. Ritmi giusti. Un po’ lungo e un po’ lento in alcune parti, ma questo è tipico di Matrix. Consapevolezza di sé stesso, preferisce giocare di concetto per mettersi in correlazione con lo spettatore giusto.
Matrix significa Neo con gli occhialini, vestito come Don Bosco, e che vola? Ecco, qui non lo vedrete. Anderson/Neo ha semplicemente il look che ha Keanu Reeves in tutti i film con Keanu Reeves. Capelli lunghi e barba incolta, perfino un cappellino di lana dimmerda. Non fa mai la mossetta con le mani, nemmeno quando fa il Kung Fu. Non vola. E c’è un motivo.
Perché questo è soprattutto il film dei nuovi corpi. Anche il titolo lo indica, spostando l’attenzione dalla Matrice ai soggetti. La Matrice fino ad oggi è sempre stata protagonista. Le Wachowski – che al tempo erano i Wachowski, avete già capito dove andiamo a parare – erano stati molto chiari sul significato di quel ‘Revolutions’ applicato al terzo film della saga. Non ‘Le rivoluzioni di Matrix’ ma ‘La Matrice (si) rivoluziona’, dopo essere stata ricaricata. Ora no, perché se fosse ancora così, avrebbe dovuto chiamarsi ‘Matrix Resurrections’. Stavolta le resurrezioni sono dei protagonisti: Neo e Trinity, che vengono in qualche modo fatti rinascere e tenuti in vita, ma anche Morpheus (Yahya Abdul-Mateen II)che qui ha una nuova incarnazione ibridata con gli agenti di Matrix, nonché l’agente Smith, che scherza sul divismo, chiedendosi se non abbia esagerato a farsi anche gli occhi azzurri.
Il Merovingio invece è ridotto a un barbone che bestemmia contro Facebook, i reboot e i remake di merda, sproloquiando in un monologo che appare insensato ai più. Praticamente è un boomer. E praticamente sono io. Ma anche Lana, probabilmente.
E poi c’è la storia d’amore, di cui noto con piacere che nessuno ha capito uno stracazzo. Perché già nelle prime fasi del film Thomas è in contatto con Tiffany (Trinity) che non conosce (secondo lei) ma con cui s’instaura un chiaro legame collegato ai loro reciproci trascorsi dimenticati.
Le recensioni USA – più o meno tiepide, del resto son quelli che hanno contribuito al 99% Fresh di Spider-Man: No Way Home – hanno puntato comunque tutto su questo: una storia d’amore romantica tra Neo e Trinity. Che c’è, ovvio. Come ci sono tutte le cose che ‘ci devono essere’ secondo il manuale del perfetto blockbuster odierno. Il reboot, la riproposizione degli schemi, i rimandi, e perfino il “girl power”.
Il film stesso vi chiede di prendere una pillola. Con una restate fermi alla facciata: è un remake di Matrix che replica le dinamiche del primo capitolo. Con la seconda date uno sguardo dietro, e capite come e perché le replica, riuscendo in realtà a scardinarle dall’interno.
Perché qui… sorpresa, ma neanche troppo… è Trinity ad essere l’eletta, The One. È lei a volare tenendo Neo per un braccio, ma lui sa fermare i proiettili. Ma i loro corpi – che sono a loro volta riflessi della loro coscienza – non sono due corpi separati. Non è la donna che sorregge l’uomo, come sentirete dire. Non è soltanto: la donna è più fica. Pure perché parliamoci chiaro, non serviva. Trinity spaccava il culo ai passeri già nel primo episodio.
È Lana che sorregge Larry. Sono lo stesso corpo, ciascuno con le sue funzionalità. Non capisci questo film se non riesci a ragionare in maniera trasversale e autoriale. Non capisci se non ti ricordi il cammino di transizione di Larry diventato Lana. Lana è Thomas/Neo ma anche Tiffany/Trinity.
Larry esiste ancora in Lana, ma ora è la parte femminile ad essere eletta. E non poteva che essere così. La storia d’amore, la ricerca di Trinity da parte di Neo rappresenta soprattutto una storia d’amore di Larry verso Lana. Quindi di Lana verso sé stessa. Ed è una storia d’amore bellissima.
Se prima Morpheus, Trinity e Neo rappresentavano Es, Io e Super Io, quindi una triade con una trinità interna (Trinity), adesso Trinity è unitaria e parte di una diade perfetta, in equilibrio tra il femminile e il mascolino o più semplicemente tra due parti della stessa coscienza. Prima era Trinity, ora è l’eletta. The One. Una e Trinity. Perfettamente realizzata.
Come questo film.
Grazie a Gianmarco LP Mars Bonelli e Mauro Manthomex Antonini per le chiavi di lettura, le suggestioni e la strada percorsa insieme, anche se virtualmente, come in Matrix.
Matrix Resurrections
Carrie-Anne Moss: Tiffany / Trinity
Yahya Abdul-Mateen II: Morpheus
Jessica Henwick: Bugs
Jonathan Groff: Agente Smith
Neil Patrick Harris: L'Analista
Priyanka Chopra: Sati
Christina Ricci: Gwyn de Vere
Jada Pinkett Smith: Niobe
Lambert Wilson: Il Merovingio
Daniel Bernhardt: Agente Johnson
Telma Hopkins: Freya
Toby Onwumere: Sequoia
Max Riemelt: Sheperd
Brian J. Smith: Berg
Eréndira Ibarra: Lexy
Andrew Caldwell: Jude Gallagher
Ellen Hollman: Echo
Laurence Fishburne: Morpheus (immagini d'archivio)
2 Comments
MATTEO
(13 Gennaio 2022 - 11:45)Ma l’avete visto il film almeno prima di fare questa recensione? E’ una schifezza inaudita, degna della Asylum! Tutto lo charme e il magnetismo dei vecchi Matrix è stato soppiantato da recitazione scadente e una trama quasi inesistente ma ben confusa. Il tutto è solo un rifacimento dei vecchi film come è di moda adesso, solo per sbancare ai botteghini sfruttando il nome. Spero vivamente che si fermino qui e non si sognino di realizzare altri sequel.
Andrea Guglielmino
(13 Gennaio 2022 - 20:37)Non lo abbiamo visto ma lo abbiamo sognato. Che è ancora meglio. O forse no. Pillola rossa o pillola blu?