Scream è tornato al cinema con un quinto capitolo che è una via di mezzo tra un reboot e un sequel, ed è dunque arrivato il momento di fare il punto della situazione su una saga che negli anni 90 è stata in grado di rivitalizzare il genere horror. Sarà ancora all’altezza della situazione? Scopriamolo insieme al nostro Andrea Guglielmino
Partiamo dalla locandina. Le locandine della serie Scream sono tutte a loro modo geniali. E pure questa, anche nella sua assoluta bestialità. Adesso vai a capire se è genio consapevole o genio involontario – e ringrazio Mauro Manthomex Antonini per avermelo fatto notare, che qualcosa non mi tornava ma non capivo bene cosa – la tagline per cui tutti sono impazziti è “L’assassino è nel poster”.
Con tutti i faccioni dei protagonisti. Per cui tutti a cercare chi potesse essere l’assassino tra quei faccioni, magari pure ipotizzando scontati ribaltamenti del tipo che l’assassino fosse uno dei veterani: Linus, Sidney o Gale (d’altro canto è pratica comune. Ricordiamoci di quanti fossero convinti, all’epoca de Il Risveglio della Forza, che Kylo Ren potesse essere Luke Skywalker in incognito).
Ma la verità, come spesso accade nella serie, è nascosta proprio perché è la più scontata.
Sulla locandina c’è Ghostface. Grazie arcazzo che l’assassino è nel poster. Bella trollata, che sia volontaria o meno. Peccato che poi l’assassino sia veramente nel poster. Sarebbe stato più bello se fosse stato qualcuno che non c’entrava un cazzo a questo punto.
TRANQUILLI. Non ve lo dico, chi è l’assassino. A parte Ghostface, dico. Anzi, gli assassini, che ormai lo abbiamo tutti imparato che sono sempre due.
Tanto non conta un cazzo. Non conta mai nella serie di Scream. Scream non è e non è mai stato un giallo. Non ci sono indizi specifici nella trama che possano portarti a capire veramente di chi si tratti. Si indovina a pelle, a culo, a intuito. Ma non importa, perché Scream è soprattutto
A) Uno slasher.
B) Una serie teorica sul cinema slasher, che poi diventa teoria sul cinema tout court.
Un po’ come la serie Scary Movie, che parte come spoof proprio di Scream – fun fact: ‘Scary Movie’ era il titolo di lavorazione del primo Scream – e poi diventa perculata del cinema tout court, uno degli ultimi sospiri del genere prima che la Marvel decidesse di includere la perculata direttamente nel film principale, e facendo scuola, decretando così la morte del genere spoof oltre che, secondo molti, anche di parecchi generi primari.
Punto due. Non si chiama Scream 5 ma Scream. L’intento è talmente ovvio che nemmeno ci sta da parlarne troppo. Togliere i numeretti è un invito agli spettatori nuovi, come dire ‘questo è l’ideale punto di partenza, senza necessariamente che vi vediate tutti gli altri’.
Insomma, è una Screamatura. Fa ride, eh?
Comunque, è ormai prassi. Lo hanno fatto anche con Halloween e con Star Wars. Mi ricordo ancora quando Giulia Arbace mi chiamò per bacchettarmi perché avevo scritto ‘Episodio VII – Il risveglio della Forza’ mentre il titolo ufficiale non aveva, effettivamente, connotazione numerica. Insomma, ci tenevano.
Però, come nel caso de ‘Il risveglio della Forza’, non si tratta di totale reboot. E nemmeno parziale, come il caso di Halloween, che ignorava gli episodi a partire dal secondo ma teneva in considerazione il primo.
Come dicono nel film, questo è un ‘requel’. Mezzo reboot, mezzo sequel. Gli episodi precedenti esistono e sono tenuti in considerazione, però si tende a introdurre un nuovo cast di protagonisti a cui i vecchi(acci) devono passare il testimone, magari schiattando. Di solito, almeno, uno schiatta. Vedi Han Solo.
Si può dire ormai, che Han Solo schiatta ne Il risveglio della Forza, giusto? Mi ricordo quando il film era appena uscito e riuscii a convincere gli operatori di una nota compagni telefonica che mi tartassavano di offerte non richieste – s’era sotto Natale – urlando ‘HAN SOLO MUORE’ e attaccando non appena riconoscevo il numero del call center. Those were the days.
Un altro collega geniale, Giordano Caputo, ha fatto sibillinamente notare in una sua recensione che il termine più adatto, più che ‘requel’, sarebbe ‘requiem’, specie in un film pieno di vecchi(acci) e morti pugnalati. Anche qui non so dove arrivi il lapsus e dove parta il genio ma non importa, il genio si muove anche attraverso i lapsus e come diceva Carmelo Bene, fa quello che può, mentre il talento fa quello che vuole.
Wes Craven era un talento, e infatti aveva imbastito una serie di film teorici della Madonna. Il primo, sulla generazione VHS e lo slasher in generale. Il secondo, sui sequel – evidentemente – ma anche sul rapporto tra cinema e teatro, e tra horror e tragedia greca, con tanto di ovvio ruolo delle maschere.
Essendo la tragedia greca una rappresentazione del sacrificio sacro, finiva sempre nel sangue, e in quel film il fatto che Sidney studiasse recitazione interpretando Cassandra, con inquadrature a campo lungo che, dalla platea del cinema, davano l’illusione di trovarsi a teatro, conquistò il cuore di me studente imberbe di letteratura e filosofia.
Ho visto i primi due Scream nei modi migliori possibili per ciascuno. Il primo in VHS e il secondo in un cinema che era anche teatro, come ancora esistevano negli anni ‘90.
A oggi, Scream 2 è ancora il mio preferito.
Tra l’altro, si discuteva in chat con amici su quanto Drew Barrymore, che doveva essere protagonista e invece venne relegata al ruolo di vittima iniziale con tanto di scherzo/minaccia telefonica da parte del killer, alla fine sia diventata molto più iconica per la serie che se fosse stata protagonista.
Da Scary Movie – appunto – in poi, se uno pensa a Scream pensa a ‘qual è il tuo film horror preferito?’, e quindi alla scena con Drew Barrymore.
Poi è arrivato Scream 3, anzi Scr3am, come gli andava di chiamarlo. A cui mancava la sceneggiatura di James Vanderbilt, soprattutto. Quindi era un thriller canonico, anche meno teorizzante. Per lo più deludente. A volergli attribuire più di quello che ha, forse teorizzava alla lontana sulle soap opera e sui rapporti familiari distorti, giocando su quel tema a livello di colpi di scena e ribaltoni, ma fu un grosso #sticazzi. Introduceva anche un po’ troppi elementi da commedia, forse.
E poi Scream 4, a 11 anni di distanza, che era già una ripartenza tardiva ma riprendeva molta quota concentrandosi, come era corretto, sulla teoria della TV del dolore. In Italia era l’epoca di Sarah Scazzi e di Zio Michele, quindi anche da noi la pellicola si collocò in maniera molto attuale e centrata.
Interludio: c’è stata su Scream anche una serie televisiva abbastanza dimenticabile. O almeno io l’ho dimenticata. C’era un assassino con la maschera diversa e si teorizzava un pochino sulle serie TV, ma era ambientata in una continuity differente rispetto ai film e anche questo non aiutava. E anche che ci fosse di mezzo la Weinstein Company. Craven era produttore esecutivo, ma
solo per la prima stagione. Suppongo significasse che ogni tanto andava sul set, scureggiava e tornava a casa. La stagione due titolava ogni episodio come un horror famoso, da ‘So cosa hai fatto’ a ‘La notte dei morti viventi’. La terza era un reboot di quello che già era a suo modo un reboot (la serie stessa) e cambiava tutto, ambientazioni e protagonisti ma almeno tornava la maschera di Ghostface classica e il fatto che si chiamasse Scream acquisiva almeno un vago senso.
Torniamo allo Scream ora in sala.
E spezziamo una lancia, anzi, un pugnale, nei confronti dei vecchi(acci) che non sono poi così (acci). Neve Campbell è sempre brava e bellissima, meglio, secondo il mio modesto parere, di com’era da ragazza. David Arquette ancora funziona come sbirro candidone dal cuore d’oro, è proprio simpatico.
Courtney Cox no so. Forse s’è fatta qualcosa ma non sembra lei. È sempre bella e sta sempre in parte, ma qualcosa il personaggio ci ha perso.
Il film fa quello che deve. Teorizzare sui requel (e pure sui requiem, involontariamente. Certo che ‘Scream: Requiem’ sarebbe stato proprio un bel titolo. Anzi, tiè: ‘Requiem for a Scream’, anche meglio).
Non ha particolari guizzi, non ha il genio di Matrix Resurrections ma ragiona in quel senso e si lascia vedere e soprattutto ascoltare: solo oggi mi rendo conto di quanto i dialoghi siano importanti per questa serie, ed è bello che si faccia ancora cinema di dialogo, tra una coltellata e l’altra. Ci sono anche note di modernità. L’assassino oggi si è digitalizzato ed è più che mai consapevole di come si usa uno smartphone, anche per fare il suo sporco lavoro.
La regia è affidata addirittura a due director: Marr Bettinelli-Olpin e Tyler Gillet. Se la cavano bene, anche se non sono Craven. E d’altro canto la scelta è appropriata.
Se questo film dovesse ammazzare il franchise, gli assassini sarebbero anche stavolta due.