Abbiamo letto Sembri la Morte – Racconti di Umbrella Academy, spin-off della bellissima serie creata da Gerard Way e Gabriel Bà. Ecco di cosa parla questo nuovo volume da poco uscito per Bao Publishing
Klaus di The Umbrella Academy. Per molti, al leggere queste precise parole, la prima immagine che si staglia in mente è quella dell’attore Robert Sheehan, che del personaggio creato da Gerard Way e Gabriel Bà, è il doppelganger nella Serie TV Netflix.
Ma chi legge anche i Fumetti, sa benissimo che, tra le due opere, le differenze sono talmente tante da renderle parallele e autonome, riuscendo a riportare, ognuna per il suo medium, i punti di forza dei caratteri senza snaturarne l’essenza più profonda.
Eppure Klaus è, di tutta la disfunzionale Famiglia Hargreeeves, quello che riesce a catturare il pubblico in ogni veste, che sia tratteggiata a matita che, appunto, quando a rendergli giustizia, è il talento istrionico di uno scatenato Sheehan.
E difatti non stupisce minimamente che sia proprio l’attore, che con il personaggio ha creato questa bella simbiosi, a firmare l’introduzione di SEMBRI LA MORTE, il volume di recente edito da Bao Publishing, e che raccoglie la miniserie con Klaus protagonista assoluto.
Anzi, a dirla tutta, Sheehan è anche la persona a cui Way dedica l’intero volume, con le parole “Per come eleva, fa levitare e attiva il nostro Klaus”, che non posso che trovare perfettamente calzanti, sopratutto perché a dirle è il padre del personaggio.
E ben sappiamo che rapporto complicato ci sia con le figure paterne all’interno dell’Umbrella Academy, che non basterebbero interi trattati di psicologia.
Ma torniamo a “Sembri la Morte“, che Gerard Way ha scritto insieme a Shaun Simon, e già questa è una prima particolarità della storia. Avere un’altra voce, oltre a quella del creatore della serie, produce una differente vibrazione all’interno di una struttura narrativa che ha saputo stabilire e sovvertire le sue stesse regole lungo la sua storia principale (e che vi consiglio di recuperare per capire quanto profonde siano le differenze tra Carta e TV: trovate i tre volumi sempre all’interno del catalogo Bao).
Aggiungeteci poi che ai disegni non troviamo il “solito” Gabriel Bá, ma I.N.J. Culbard, quindi anche dal punto di vista visivo, c’è una profonda differenza dallo stile solito a cui siamo abituati (come già fu per il one-shot “Hazel and Cha-Cha Save Christmas“, che fu realizzato da Tommy Lee Edwards).
E decisamente, l’artista inglese è ben lontano dallo stile di Bá, ma non lo dico come difetto, ben s’intenda, solo che indubbiamente questo crea uno strano effetto nel lettore abituale di “Umbrella Academy” (amplificato poi dal fatto che il disegnatore brasiliano ha firmato le copertine interne, che fungono da immagine di apertura per i vari capitoli della storia), più che in quello occasionale attirato dalla generale atmosfera di hype che serpeggia in questo periodo in vista dell’arrivo della terza stagione del serial Netflix.
Penso che il motivo risieda nella dirompente forza del personaggio stesso: una voce così chiara, definita e potente, che son bastati tre volumi per renderlo di fatto uno dei preferiti dell’intera serie, al punto che, come ho detto in apertura, la sua forza trascende, non solo narrativamente ma anche metaforicamente, e conquista in ogni versione.
Quindi trovare “voci” diverse che lo plasmano e gli regalano un palcoscenico tutto suo, crea come una distorsione, anche se, una volta riallineati con il flusso degli eventi della “Umbrella” fumettistica, è facile ritrovare quel mondo surreale, davvero ben lontano da quanto mostrato sul piccolo schermo, con tutti i suoi elementi che altro non sono che la volontà di Gerard Way di omaggiare il multiforme ingegno delle influenze più disparate.
Al centro, lui, Klaus, che anche in “Sembri la Morte” conferma quanto possa raccontare e raccontarsi, quanto abbia da dire dietro l’apparenza sovversiva delle dipendenze e quanto il suo potere rientri sempre di buon diritto nella categoria “È il mio Talento, e la mia Maledizione”, non importa in quale medium.
Medium. Parola curiosa, non trovate? Sopratutto per quelli che sono i significati che possiamo attribuirgli all’interno di questa miniserie. C’è ovviamente il ruolo di Klaus, che ritroviamo in qualità di medium con l’altroquando, pronto a vendere il suo dono per una manciata di droghe e altrettanto pronto a truffare vedove dalla dote facile.
Ma “Medium” può anche essere inteso come mezzo di comunicazione, e Klaus li attraversa entrambi, come ripetuto spesso, e in “Sembri la Morte” viene a contatto con quello più grande di tutti, inteso come schermo, perlomeno.
Il Nostro infatti si ritrova a Hollywood, dove i Sogni si realizzano o forse dove vanno a morire per sempre, intrappolati in un purgatorio di dannazione e speranze infrante, dove a regnare è un’illusione che non sempre viene impressa su pellicola, perdendosi come lacrime nella pioggia, mentre il Tempo avanza inesorabile nel riflesso sullo specchio.
Qui l’impronta di Way si riconosce in molte intuizioni geniali, tra scimmie vampiro boss del crimine dal cuore infranto (a Brivido non manca proprio nulla), vecchie glorie del Cinema che fu e vedove nere in termini più o meno letterali, e questo Vuoto che, in questo particolare frangente, non è poi così a perdere, anzi forse è un tenue e placido spiraglio di luce per anime perse come quella di Klaus.
Gli fanno eco i dialoghi e il modo di avvicinarsi al nostro disfunzionale preferito di Simon, che in un botta e risposta creativo con il collega e amico, compone un quadro che è sia prequel che avventura completamente autonoma.
Le tematiche portate alla luce da “Sembri La Morte” sono tante, e tutte fanno cornice alla reale possibilità scaturita da queste pagine: esplorare le ferite di Klaus, quelle nascoste dai tatuaggi sulle mani, dal suo modo di fare ironico e autodistruttivo.
Ci sono Vita e (Non) Morte, Fama illusoria e desiderio di lasciare un segno, Amicizia e Amore, Dolore e Rimpianto, Sorrisi e Lacrime (spesso di rabbia).
Nessuno è innocente, nella Città dei Sogni Infranti. Si tratta solo di decidere quanto pesante è la colpa per la quale poi il Destino ci presenterà il conto.
E poi ovviamente c’è il leit motiv per eccellenza di “Umbrella Academy“: il rapporto con i genitori, con chi più grande di noi, dovrebbe saggiamente guidarci. E noi, ciechi e desiderosi solo di una carezza, pronti a seguirlo, anche se ci sta conducendo maledettamente vicini ad un burrone.
A quel punto, la scelta di Culbard come disegnatore e colorista – dettaglio importante, perché disegno e colore trovano completa armonia negli occhi di chi realizza, ma anche di chi guarda – non risulta più così aliena, ma anzi ammanta questo viaggio nel passato di Klaus di un’aura da pellicola allucinata, dalla tavolozza altrettanto lisergica, quasi un sogno da pellicola indie degli Anni ’90.
Arrivati alla fine, si ha voglia di continuare questo tipo di esplorazione, si ha voglia di conoscere altro, magari con uno stile ancora diverso, come se ogni fase della vita di Klaus potesse dare forma ad un variegato e variopinto puzzle di suggestioni ed ispirazioni.
Il personaggio lo permette per sua stessa natura, quindi non è poi così peregrino sperarlo.
Un poco come quei tatuaggi sulle sue mani, “Ciao” e “Arrivederci”. Un piccolo saluto prima del prossimo ciclo di “Umbrella Academy“, che è anche un invito a ritrovarsi, perché di Klaus non ne abbiamo mai abbastanza.
In ogni sua forma, quindi vale anche per i serializzati là fuori che stanno lì a fare il conto alla rovescia in vista del 22 Giugno, e mai si sono avvicinati al Fumetto.
Magari quello tra le pagine del volume Bao potrà non somigliare a Robert Sheehan, eppure al tempo stesso, sarà come fare la conoscenza di un vecchio amico.
Perché non importa la forma, quanto l’anima, e quella di Klaus racchiude troppe vite (e troppe morti) per fermarsi alla sola apparenza esteriore, e lasciarsi sfuggire la possibilità di scoprirne l’immenso ed immutato potenziale.
Perciò, dite pure tranquillamente “Hello” a “Sembri la Morte” e “Goodbye” al vostro libraio/fumettaro di fiducia, mentre uscite con il volume sottobraccio!