Spider-Man: 60 anni di meraviglie al fianco dei suoi lettori

Spider-Man compie 60 anni: è un’icona pop che, a partire dai fumetti, ha caratterizzato tanti altri media: cinema, serie animate, videogiochi. Ma cosa vuol dire Spidey per i suoi lettori? Provo a raccontarvi cosa rappresenta per me

speciale spider-man 60 anni

 

Per me tutto iniziò col numero 99, Vento di Battaglia. L’Uomo Ragno (allora si chiamava ancora così, col nome tradotto) contro Boomerang, in trasferta da New York. Un numero ordinario, francamente dimenticabile; giusto un antipasto prima del ben più appetitoso piatto di portata del numero 100.

Correva l’anno 1992 e l’editore italiano era Star Comics (poi le storie di Spidey passarono a Marvel Italia, per confluire successivamente nell’attuale Panini Comics), ma la storia di Spider-Man era iniziata ben prima; io ero solo uno dei tanti bimbi salito sull’otto volante della vita di Peter Parker, rapito dalla storia di un ragazzo come tanti, morso da un ragno radioattivo, le cui avventure ti facevano pensare che al suo posto potevi tranquillamente esserci tu.

Peter era in circolazione da un po’, da quando nel 1962 il sorridente Stan Lee decise di sfidare tutte le convenzioni dell’epoca proponendo al suo editor alla Marvel Comics, Martin Goodman, un supereroe che non solo prendeva i suoi poteri da un insetto tra i più odiati (famosa rimase la frase profetica di Goodman « i ragni non piacciono a nessuno »), ma che, addirittura, era un adolescente. Oggi sembra una banalità, ma all’epoca questa fu una grande innovazione: tutti gli altri eroi dei fumetti erano adulti, multimiliardari, moralisti, super potenti oppure super intelligenti, ma comunque uomini fatti e finiti. Peter Parker era un teen ager poco popolare nel liceo che frequentava, vittima di bullismo e appassionato di scienza, cosa che lo rendeva ancora più strano. Perché ebbe successo? Perché i fumetti li leggevano per lo più i ragazzi ed era più facile immedesimarsi in un protagonista che avesse la loro età. Su Amazing Fantasy 15, una rivista antologica con storie brevi che stava per chiudere, (cosi se fosse andato male l’esperimento, nessuno se ne sarebbe accorto) fa la sua prima  apparizione lo stupefacente Spider-Man (con tanto di trattino per distinguerlo da Superman) ed il mondo dei comics non sarà più lo stesso. Grazie anche alle matite e alle scelte artistiche di Steve Ditko (un disegnatore dal tratto meno esplosivo ed epico del coevo Jack Kirby, ma proprio per questo più adatto ad ideare il design di un supereroe adolescente, smilzo, ordinario, anche un po’ sfigato), il personaggio riscosse un ottimo successo, con un cast di comprimari formato da persone comuni ed un grottesco parco di cattivi ispirati al mondo animale proprio come il protagonista, e si guadagnò la sua serie personale, chiamata The Amazing Spider-Man. L’era Ditko la riscoprivo grazie ai mitici Uomo Ragno Classic, mentre andavo avanti con la serie regolare: mi appassionavo alla vita di un ragazzino che tentava di crescere, di superare la sua adolescenza, di diventare grande a forza di tentativi e di sbagli e alla fine riusciva a fare sempre la cosa giusta, per onorare la memoria dell’amato zio che non aveva salvato pur avendone la possibilità. Perché da un grande potere derivano grandi responsabilità. Impossibile non immedesimarsi; impossibile non avere (e questa fu la seconda grande intuizione di Stan Lee) la curiosità di sapere come sarebbe cresciuto, cosa avrebbe fatto dopo il liceo.

E così Peter si diplomò, si iscrisse all’università, perse per strada Steve Ditko (costretto ad abbandonare la sua creatura per divergenze creative con Stan Lee) e trovò un altro mostro sacro della Marvel, quel John Romita Sr che con il suo tratto elegante e  pulito, lasciò un’impronta talmente marcata e importante sulla testata, da stabilire il canone grafico  a cui rifarsi per i disegnatori successivi, fino all’avvento della rivoluzione di Todd McFarlane negli anni 90.

Stan Lee e John Romita Sr narrarono le avventure di Peter nei primi anni universitari tra nuovi amici (Harry Osborn), triangoli amorosi (Gwen Stacy, Mary Jane Watson) contestazioni universitarie e soliti super problemi con criminali dalla storia sempre più umana e connessa con quella del protagonista, (Norman Osborn stiamo parlando di te, ma anche Otto Octavius non scherzava), in un ciclo di storie, omaggiato negli anni a venire anche da Jeph Loeb e Tim Sale con il loro Spider-Man: Blue, sospeso e perfettamente bilanciato tra soap opera, azione supereroica e dramma, che entra di prepotenza nei migliori  manuali di fumetti sotto la voce capolavoro. Gli eventi epocali si susseguivano veloci: la morte del Capitano Stacy, quella di Norman Osborn, la tossicodipendenza di suo figlio Harry, ma soprattutto l’evento con la e maiuscola: la morte di Gwen Stacy. Fu la fine dell’innocenza per tutti noi lettori, anche e soprattutto a causa di quello Snap!, che rendeva chiaro chi aveva causato la sua morte, anche se nessuno di noi voleva crederci. Per fortuna Peter aveva Mj a curare le sue ferite; la loro relazione, iniziata in quel periodo e culminata in un matrimonio alla fine degli anni 80, è stata cancellata con un’operazione non del tutto convincente di cui parleremo in seguito. Ma non c’è neanche bisogno di dirlo: di tutte le fidanzate che Peter ha avuto e avrà nella sua lunga storia editoriale, nessuna avrà mai un posto nel mio cuore come la rossa.

Negli anni 80 Spider-Man attraversò una Guerra Segreta su un pianeta alieno con il resto dell’universo Marvel; l’attacco di un costume alieno nero, che è stato il suo look per alcuni anni; l’arrivo di Hobgoblin; una storia on/off con la bella ladra di nome Gatta Nera, le tensioni con Zia May per la decisione di abbandonare l’università, ed un altro momento spartiacque della sua vita: il matrimonio con il suo amore e migliore amica, Mj Watson.

Diciamo la verità, a quel tempo tutti eravamo contenti della notizia: era un po’ come assistere al giorno più felice di un vecchio amico; un po’ come pensare che c’è speranza per tutti; un po’ come diventare adulti assieme a Peter. Tra la fine degli anni 80 e l’inizio dei 90, Peter viveva il sogno: era sposato con una top model e viveva avventure forse non memorabili, ma che avevano il merito, grazie al fenomeno Todd McFarlane ai disegni, di lanciare prepotentemente l’Arrampicamuri nella contemporaneità, a suon di ragnatele a spaghetti, pose animalesche e plastiche, occhi giganti, corpi iper muscolosi e vestiti alla moda; mentre anche il cast di comprimari e nemici si ampliava, con innesti destinati a diventare famigerati (penso a Venom e Carnage tra i villain, protagonisti addirittura di una saga cinematografica, e a Joe Robertson e Lapide, tornati oggi alla ribalta nel nuovo ciclo di Zeb Wells e John Romita Junior). E come non citare J.M. Dematteis, la sua Ultima caccia di Kraven e il suo ciclo su The Spectacular Spider-Man, che ha regalato gemme di introspezione psicologica come Il bambino dentro?

Ma qualcosa cominciava a non funzionare a dovere: Peter era diventato troppo adulto a causa del suo matrimonio e non piaceva più al pubblico adolescente. La  Marvel cercò in tutti i modi di farlo ritornare alle origini: nacque così la tanto criticata Saga del Clone, con la quale Peter venne sostituito da…se stesso. Scapolo. Biondo. Di nome Ben Reilly. Non durò; seguirono alcune crisi d’identità e l’avvento del mostro sacro John Byrne. Neanche questo funzionò. Peter era sempre intrappolato: non riusciva a trovare nuovi orizzonti narrativi e la piena maturità, mentre proprio in quegli anni un’altra versione di Spider-Man arrivava dove l’originale non poteva: Spider-Man 2099, infatti, non era un eterno ragazzo nerd ingenuo che vuole fare la cosa giusta, ma un arrogante cinico scienziato che diventa il difensore della gente comune contro lo strapotere delle multinazionali. Il personaggio dopo la chiusura della sua testata, ideata e gestita con intelligenza e bravura per più di 25 numeri da Peter David e Rick Leonardi, rimarrà sempre nel cuore dei lettori, anche grazie ad un costume veramente figo, e tornerà a più riprese a far capolino nella storia editoriale della Marvel e addirittura al cinema.

Spider-verse

La fine del millennio era però alle porte e molte cose stavano per cambiare per Spider-Man. All’inizio degli anni 2000, infatti, venne  nominato editor in chief della Marvel Joe Quesada, un fumettista proveniente dal mondo delle produzioni indipendenti, che aveva un’idea precisa in testa: sfruttare i suoi buoni rapporti con creativi provenienti dal mondo del cinema e della televisione per rivitalizzare un’azienda, la Casa delle Idee, in quel periodo sull’orlo della bancarotta.

Nacque prima di tutto la linea Ultimate, il cui primo titolo fu naturalmente Ultimate Spider-Man, che offrì una rilettura dei primi anni del nostro eroe ad opera di Brian Micheal Bendis e Mark Bagley, moderna, intelligente rispettosa del mito ed adatta alle generazioni del nuovo millennio. Ebbi la fortuna di leggerla a 15 anni e pensai che fosse semplicemente perfetta. In più, su quelle pagine debuttò Miles Morales, una versione 2.0 di Spider-Man, un adolescente di Brooklyn, afroamericano, ispanico, ideato graficamente da Sara Pichelli, che ebbe un successo straordinario, tanto da essere titolare di una sua testata personale ancora oggi. Cosa si poteva chiedere di più?

Il periodo d’oro di Spidey dei primi anni 2000 continuava su The Amazing Spider-Man, che fu affidata a J. Micheal Straczynski, famoso per essere il creatore della serie tv Babylon 5; grazie anche alle matite di un John Romita Junior in stato di grazia, tutti ebbero l’impressione che stavolta si fosse fatto centro sul serio. Straczynski diede un nuovo background alle origini dell’eroe ponendo l’accento sul lato totemico dei suoi poteri e introducendo nuovi comprimari come Ezekiel e nuovi potentissimi villain, come Morlun. Poi fece evolvere i personaggi in maniera inaspettata, coerente e innovativa: Peter trovò un nuovo lavoro e nuove prospettive, Zia May assunse nuove consapevolezze con una storia bellissima dal titolo La Conversazione, Mj cercò di recuperare il suo rapporto con Peter attraverso un percorso fatto di alti e bassi, in cui tutti riuscivamo a immedesimarci. Certo non mancarono eccessi e polemiche (la storyline dei figli di Gwen e Norman Osborn grida ancora vendetta e solo di recente è stata corretta), ma grazie anche a due splendide run come Civil War e Back in Black, si può parlare di un ciclo di altissimo livello.

Ma tutto ha una fine e l’idea che il matrimonio di Peter sia una zavorra per il personaggio, perché lo allontana dal pubblico più giovane, torna prepotente ad affacciarsi presso i piani alti della Marvel; nasce così la famigerata Soltanto un altro giorno, la storia- in cui Quesada mise più di uno zampino- del patto con Mefisto: il matrimonio in cambio della vita di Zia May. Fu la fine di un era ed il ritorno a storie più corali, con un Peter di nuovo scapolo ed una MJ sullo sfondo ma comunque pronta a tornare in scena.

Iniziò quindi la decennale gestione di Dan Slott: devo ammetterlo, è un ciclo che non ho amato molto, poiché l’autore si divertiva a sovvertire le caratteristiche essenziali del protagonista: in Superior Spider-ManDoc Ock prende il possesso del corpo di Peter e diventa una versione più adulta e spietata dell’Arrampicamuri; nella saga delle Parker Industries, l’eroe diventava una versione di Tony Stark meno cool e tormentata. Il giochino, a mio avviso, pur essendo suggestivo, lasciava sempre la sensazione che qualcosa fosse fuori posto e funzionava solo grazie all’idea che, prima o poi, tutto sarebbe tornato su binari più tradizionali.

Slott lasciò il testimone a Nick Spencer, che riportò il personaggio ad essere un eterno incompiuto e provò a giocare con la sua storia editoriale imbastendo la lunga run di Kindred. Tuttavia, alla prova dei fatti, il suo ciclo risulterà abbastanza sconclusionato e non certo memorabile. Arriviamo quindi ai giorni nostri, con la gestione di Zeb Wells e del figliol prodigo John Romita Jr: dalle prime battute promette bene, poiché riporta l’eroe ad atmosfere urbane assenti da molto tempo e gioca sul mistero del terribile errore che avrebbe allontanato il nostro beneamino da tutti i suoi affetti.

Ci sarebbe molto altro da dire: per esempio, quando uscì il primo film di Spider-Man con Tobey Maguire, avevo 15 anni e lo vidi 3 volte di seguito al cinema, perché era il sogno di un bambino che si realizzava; e poi ci furono Spider-Man 2, che fu meglio del primo, e Spider-Man 3, che concludeva la trilogia e invece non mi convinse del tutto, perché aveva osato troppo. Dieci anni dopo, all’annuncio del lancio del reboot della saga cinematografica del ragnetto, con l’aggettivo The Amazing nel titolo ed Andrew Garfield come protagonista, fui tanto gasato all’entrata quanto deluso all’uscita del cinema: non era il mio Spidey ed il secondo capitolo non migliorò le cose. Quando invece fu il turno di Tom Holland, ho apprezzato la versione giovane e scanzonata del nostro eroe, ma allo stesso tempo lo consideravo troppo diverso dal fumetto. Fino a quel fatidico No Way Home che ha messo tutte le cose a posto, rendendo tutta la trilogia targata Marvel Studios una lunga e davvero ben fatta origin story.

Per un personaggio che ti ha accompagnato una vita intera le parole non bastano mai. La verità è che Spidey è una di quelle icone che vorresti crescessero con te, che si sposassero, avessero figli, un lavoro e intanto salvassero il mondo come hobby. Ma loro non possono perché sono destinati a far sognare tutte le generazioni, presenti, future e passate. E quindi possono anche cambiare per un po’, ma poi devono tornare com’erano in origine. Eppure qualcuno ha provato a immaginare come sarebbe stato se Peter fosse invecchiato davvero ed ora avesse 60 anni: Chip ZdarskyMark Bagley con La storia della mia vita, realizzano uno dei racconti migliori del personaggio della sua storia recente (e forse di tutti i tempi), perché ci mostrano quello che poteva essere e probabilmente mai sarà. Perché Peter rimarrà sempre il ragazzo sfigato che tenta sempre di fare la cosa giusta, nonostante tutta la sofferenza che questo comporta; è questo, in fin dei conti, il suo potere più grande. E allora buon compleanno Spidey. Altri 100 di questi 60 anni!


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Mario Aragrande

Nato con un fumetto in mano, sono cresciuto a pane e supereroi. Mentre aspettavo che il ragno radioattivo mi mordesse, ho sviluppato un'ossessione per musica, cinema e serie TV, che tento di tenere a freno, tra le altre cose, con la mia penna. Perché da una grande passione derivano - spero - grandi recensioni.

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