È disponibile su Disney+ “Brahmāstra: Parte Uno – Shiva“, il primo di una trilogia già pianificata di film che andranno a costituire l’Astraverse, l’universo cinematografico supereroistico indiano. L’abbiamo visto, ci siamo divertiti e vi diciamo perché vale la pena recuperarlo… appena avrete tre ore di tempo!
Perché sono un inguaribile romantico (invasato e/o ossessionato) e curioso dei cinecomics. Senza nulla da nascondere, è questo che mi ha portato, dopo aver intravisto un breve teaser sui canali ufficiali della piattaforma, a vedere “Brahmāstra: Parte Uno – Shiva“ su Disney+. Film di produzione indiana, dalla lunga gestazione iniziata addirittura nel 2016, non rientra appieno nella categoria dei cinecomics in quanto adattamenti di fumetti ma nel senso più ampio di lungometraggi con personaggi con superpoteri che si battono per il bene.
Per approcciarsi alla visione di Brahmāstra c’è bisogno di fare un patto narrativo, creativo ed artistico con il prodotto: la realizzazione della pellicola, così come alcune peculiarità ed espedienti che si ripropongono all’interno della stessa, sono distanti dalle produzioni del genere cui siamo abituati. Abituati all’occidentalizzazione dei cinecomics, americana ma anche italiana, come nei casi di Lo chiamavano Jeeg Robot, Diabolik e Freaks Out, la commistione di sottogeneri presenti nella pellicola fa sì che anch’essa rientri nella macrocategoria riconoscibilissima che sta segnando gli ultimi quindici anni di cinema su larga scala.
Brahmāstra, pellicola di Ayan Mukerji conserva tutte le caratteristiche del genere, riproponendolo alla bollywoodiana, con pregi e difetti. Quindi, se bisogna un pochino mettere le mani avanti prima di premere play, soprattutto per chi non è avvezzo a tali produzioni, è altrettanto vero che il film presenta una propria identità che la colloca nell’intersezione tra i cinecomics e i classici blockbuster bollywoodiani.
Il protagonista di Brahmāstra è Shiva, un giovane DJ di Mumbai dall’infanzia difficile poiché cresciuto senza genitori. Durante il festival dedicato alla dea Durga, il Durga Puja, si innamora a prima vista di Isha, ragazza tornata da Londra per l’occasione. Ben presto, e dopo un’interminabile coreografia, anch’ella finisce per ricambiare i sentimenti di Shiva. Ignari di ciò che sta succedendo nell’universo, i due si ritroveranno invischiati in una battaglia cosmica.
A Delhi, infatti, lo scienziato Morgan Bhagrav viene attaccato dai loschi e pesantemente truccati di nero Junoon, Zor e Raftar per conto di Dev: i tre tirapiedi sono alla ricerca di un preziosissimo manufatto, il Brahmāstra. Il Brahmāstra è la più potente di un insieme di armi celestiali, gli astra, nate secoli prima dallo scontro tra gli antichi saggi in meditazione sull’Himalaya e l’energia Brahm-shakti. Capace di distruggere il mondo e, di conseguenza, permettere al suo possessore di dominarlo, il Brahmāstra è stato diviso in tre parti dal Brahmansh, la società segreta a protezione del mondo dagli astra.
Il mistero che lega le visioni circondate da fuoco di Shiva e gli eventi contemporanei legati al Brahmāstra inizia a farsi, agli occhi degli spettatori, sempre più limpido.
Spinto da quelle stesse visioni a fare luce sulle immagini che gli si materializzano davanti, Shiva incrocia il cammino dei servitori di Dev, fino a raggiungere il guru del Brahmansh, Raghu, che brandisce il Prabhastra. Il duro addestramento alle arti e all’utilizzo degli astra permette a Shiva di abbracciare il proprio destino, indissolubilmente legato a Dev e al fuoco che lo circonda e possiede come Agnyastra fin da bambino.
Quella raccontata in Brahmāstra è, in fondo, una storia di formazione: un primo capitolo di un universo cinematografico che si mostra come prodotto autenticamente bollywoodiano. La portata della pellicola è imponente: ci sono tutti i più grandi nomi del cinema indiano. Il protagonista è Ranbir Kapoor. Fa parte della dinastia dei Kapoor, cineasti che sono nell’industria da quasi un secolo. Suo padre, morto da poco, è stato uno dei più grandi attori della sua generazione. Suo nonno, padre del padre, uno dei più grandi attori indiani di sempre. Anche sua madre è un’attrice. Ranbir, dal suo esordio alle scene (primo film nel 2007) a oggi, è uno degli attori del cinema hindi più importanti e influenti.
Isha è Alia Bhatt, che nella vita reale è la moglie di Ranbir (sposati da aprile 2022 e da novembre genitori della loro prima figlia). Anche Alia proviene da una famiglia importante. Il padre è un regista famoso, la madre e lo zio attori. Ha esordito col suo primo film nel 2012 e col passare degli anni è diventata una delle attrici di punta del panorama cinematografico indiano.
Raghu è il solo, l’unico, l’inimitabile Amitabh Bachchan. Leggenda vivente del cinema indiano, è sicuramente tra gli attori indiani più conosciuti a livello internazionale (è stato, ad esempio, ne Il Grande Gatsby con Leonardo Di Caprio). Amitabh Bachchan è per gli indiani ciò che De Niro o Pacino sono in America: icone sacre immortali.
Mohan Bhargav è Shah Rukh Khan. Se abbiamo paragonato Bachchan a De Niro, SRK (suo soprannome) è proprio Di Caprio. In India viene chiamato “King of Bollywood”. Nato in un’umilissima famiglia, inizia a recitare nel cinema nei primi anni ’90. È un lampante esempio di self made man. Basti pensare che qualche anno fa Forbes lo inserì nella lista di persone più influenti al mondo e in quella di attori più retribuiti. Attore camaleontico e dal talento eccezionale, è così famoso non solo per la sua filmografia incredibilmente cospicua e pluripremiata, ma soprattutto perché un numero impressionante dei suoi film sono diventati simbolo del cinema indiano, sia in madrepatria che all’estero. SRK in pochissime parole è Bollywood.
La trama del film non è particolarmente complicata e trova risoluzione immediata per lo spettatore che ha la possibilità di assistere contemporaneamente alle vicende di Shiva e delle azioni perpetrate da Dev, per mano di Junoon, ai membri del Brahmansh. La pecca principale – o meglio, l’aspetto che balza subito all’occhio abituato ai cinecomics – è la resa degli effetti speciali, posticci e parecchio artigianali (ma, a voler essere onesti, non troppo differenti da quelli di alcune produzioni low-budget americane). Anche la recitazione potrebbe risultare eccessiva, quasi macchiettistica, con alcuni dialoghi davvero scialbi.
Se, da una parte, Shiva intraprende il proprio percorso per diventare un “eroe” come possessore e dominatore dell’Agnyastra, dall’altra il ricorso al tema dell’amore come forza motrice del personaggio, innamoratosi in quattro e quattr’otto di una sciapissima Isha, è un espediente davvero troppo abusato.
La peculiarità tecnica preponderante della pellicola è la presenza delle canzoni: la canzone ha una funzione prettamente narrativa, è parte integrante e fulcro della trama. Attraverso il canto si esprimono tutte quelle emozioni che sono ritenute troppo forti per le semplici parole.
In ogni film di Bollywood (o di qualsiasi altra parte dell’India) che si rispetti, l’intermezzo musicale è un must assoluto. Certo, anche noi occidentali siamo abituati a guardare trasposizioni di musical sul grande schermo, ma il musical in sé per noi rimane un fenomeno quasi indipendente: un genere a parte in quanto tale mentre nelle pellicole bollywoodiane la canzone è davvero sempre – e MOLTO – presente.
Essa è l’espediente narrativo più efficace per dimostrare al pubblico la grandezza della produzione del film – a volte una SINGOLA canzone potrà essere girata in Egitto, Svizzera, America o ovunque nel mondo (se ad esempio il protagonista sta cantando dei sentimenti d’amore che prova verso il proprio interesse amoroso e parte, quindi, di una scena onirica); prevede un numero di comparse per le coreografie esorbitante; il set e le scenografie delle canzoni sono ricche e curate nei minimi dettagli.
Allo stesso tempo serve a mostrare anche la bravura di un attore. Perché un attore indiano non deve saper “solo” recitare, deve anche saper ballare, e recitare ballando. Attenzione: non sono mai gli attori stessi a cantare le canzoni. Quello delle canzoni dei film di Bollywood è un vero e proprio business – quando viene annunciato un film, non viene distribuito solo il trailer. Dopo il trailer, nell’arco dei mesi che vanno dalla distribuzione di questo fino all’uscita nelle sale vera e propria, devono essere rilasciati anche i video delle tre o quattro canzoni più importanti del film (un film in media ha una decina di canzoni, di cui alcune sono quelle più significative e che verranno più sponsorizzate perché quelle più importanti per la trama). Il successo di un film dipende anche dalla bellezza e dalla critical reception della musica. Un film può anche assestarsi su un basso livello per la trama, ma se le sue musiche, le coreografie, le canzoni sono belle allora può sperare salvarsi, almeno in parte.
Sono dei veri cantanti indiani famosi, quindi, a prestare la voce per le canzoni dei film: l’attore canta sempre in playback. Qui torniamo sempre al concetto di business, perché, appunto quello delle canzoni è un vero e proprio album che viene rilasciato al pubblico.
In definitiva, se siete pronti ad affrontare una mini-maratona di quasi tre ore, se siete spinti dalla curiosità di immergervi in mondi lontani per conoscere qualcosa di familiare, per osservare come il fenomeno dei cinemcomics sia stato rielaborato ad altre latitudini, allora Brahamstra potrebbe essere un discreto candidato.
Si ringrazia l’espertissima in cinema indiano Caterina per la preziosa collaborazione. Soprattutto, per avermi assecondato nella visione.
Brahmāstra: Parte Uno - Shiva
Amitabh Bachchan: Raghu
Alia Bhatt: Isha Chatterjee
Nagarjuna Akkineni: Anish Shetty
Shah Rukh Khan: Mohan Bhargav
Dimple Kapadia: Savitri Devi
Mouni Roy: Junoon