L’ottavo episodio di “The Last of Us” è probabilmente quello più cupo dell’intera stagione. Craig Mazin e Neil Druckmann ci mostrano, senza troppe iperboli, la natura selvaggia dell’uomo e di come essa possa emergere a fronte di un forte bisogno di sopravvivenza
Siamo giunti ad un passo dalla conclusione della prima stagione di “The Last of Us” e non sembra avere fine il campionario di personaggi e esistenze “al limite” che compongono l’affresco dell’America devastata dall’epidemia di cordyceps. L’ottava puntata (di nove in programma per la prima stagione) non sembra curarsi dello sviluppo della trama e di capire se effettivamente Ellie rappresenterà la salvezza del genere umano. Ancora una volta ci viene aperto il “bestiario” di personaggi (tutti rigorosamente non infetti) che Ellie e Joel incontrano durante il loro percorso. Questa volta ci soffermiamo sulla pagina più cupa dell’intera prima stagione e, probabilmente, la più attesa dagli amanti del videogioco di Naughty Dog: l’incontro con David e la sua comunità di cannibali. Ancora una volta un saggio su come i veri mostri siano gli esseri umani e non quelli infettati dal cordyceps (anche in questo episodio assenti totalmente dalla narrazione).
L’ottavo episodio di “The Last of Us” dura 54 minuti ed è scritto da Craig Mazin. Dietro la macchina da presa troviamo Ali Abbasi, regista iraniano naturalizzato danese di 42 anni. Abbasi in passato si è fatto notare per aver diretto “Border – Creature di Confine” (2018), una pellicola che era stata selezionata per rappresentare la Svezia ai premi Oscar del 2019 nella categoria “Miglior film Straniero” senza però riuscire ad entrare nella cinquina dei film candidati. Ad ogni modo questo lungometraggio gli è valso un premio riservato ai film fuori concorso al Festival di Cannes del 2018 e diverse candidature all’European Film Awards del 2018 (tra cui Miglior Film e Miglior Regia).
Dopo l’interludio dell’episodio precedente dove abbiamo conosciuto il doloroso passato di Ellie e la genesi di quel primo fatidico morso che ha aperto prospettive inimmaginabili per la salvezza del genere umano, ritroviamo Joel e Ellie in una situazione molto critica: il personaggio interpretato da Pedro Pascal è stato ferito a morte e l’inverno rigido unito alla mancanza di medicine rendono scarse le probabilità di sopravvivenza per l’uomo. Nella ricerca disperata di soccorso e rifornimenti, Ellie si imbatte in un gruppo di sopravvissuti arroccati nel resort di Silver Lake. La comunità è guidata dal predicatore David (interpretato da Scott Shepherd, attore statunitense già visto nei panni del cardinale Andrew Dussolier in “The Young Pope” di Paolo Sorrentino e in quelli di John Grey in “X-Men Dark Phoenix“) e dal suo braccio destro James (interpretato da Troy Baker, doppiatore e musicista statunitense che sembra avere un legame forte con i videogames dal momento ha prestato la sua voce a diversi personaggi in ambito videoludico). Se negli episodi precedenti avevamo ammirato frammenti di straordinaria normalità e percepito barlumi di speranza, qui troviamo la rappresentazione del peggio che l’essere umano è in grado di manifestare. Al termine della visione dell’episodio viene lecito chiedersi se è rimasto ancora qualcosa per cui la valga la pena di lottare nell’America distopica colpita dal morbo. A differenza della comunità della Contea di Jackson, dove i rifugiati sono riusciti a costruire un angolo di paradiso terrestre, esempio fulgido di collettività perfetta e auto sostenuta, gli abitanti di Silver Lake vivono in condizioni estremamente precarie. Stremati dal freddo e dalla mancanza di cibo, i poveri sopravvissuti si affidano alle parole della Bibbia decantate da David il quale, dietro la maschera da predicatore, nasconde il lato più depravato che l’uomo possa raggiungere.
David è un ex insegnante che è giunto a compimento di un percorso a ritroso che lo ha regredito ad una stato selvaggio e primitivo. Il personaggio interpretato mirabilmente da Scott Shepherd costringe la comunità di cui è leader ad accettare le pratiche cannibali adottate da lui e i suoi alleati più stretti. David rappresenta un archetipo piuttosto diffuso nella cultura popolare europea: quella dell’uomo selvaggio. L’uomo selvaggio è una sorta di figura semi divina che vive lontano dalla società civilizzata e, prevalentemente, risiede nelle vaste lande boschive disseminate nei monti. Sebbene David manifesti una propensione alla socievolezza e una spiccata padronanza di linguaggio tipiche dei tratti carismatici dei capi popolo, la pratica della razionalità è ben distante dai tratti distintivi del leader di Silver Lake. Il filosofo Jean Jacques Rousseau ci ammoniva dal confondere l’uomo selvaggio con quelli che abbiamo sotto gli occhi: il primitivo non ha alcuna cognizione della legge naturale, del giusto e dell’ingiusto, della moralità, della virtù o del vizio. Non è né buono né cattivo. Tutto questo è il personaggio interpretato da Scott Shepherd. L’attore statunitense ci regala una performance attoriale di livello che riesce perfettamente a bilanciare i tratti dell’uomo onesto e devoto e quelli del mostro.
“Né buono né cattivo”. È questo l’elemento più inquietante di tutta la vicenda: Stephen King diceva che dentro ognuno di noi risiede latente un lato oscuro, pronto a prendere il sopravvento non appena le nostre difese cominciano a cedere. Ad avvalorare questa tesi c’è l’esplosione finale di efferata e inaudita violenza con la quale Ellie pone fine all’aggressione di David nella celebre sequenza del ristorante in fiamme, riproduzione fedele di uno dei momenti più drammatici del videogioco e che non mancherà di sconvolgere emotivamente anche il pubblico generalista.
Rischiamo di diventare noiosi, questo lo sappiamo. Ma come facciamo a non ribadire la bravura di Bella Ramsey ? Anche in questa puntata la giovane attrice di Nottingham sfodera tutto il suo talento per mostrarci, per la prima volta, il cedimento emotivo di Ellie. Messa a nudo dalla capacità oratoria e dal carisma di David, il personaggio interpretato dalla Ramsey crolla e scende al suo livello, compiendo un passo inevitabile verso l’abisso.
In conclusione l’ottavo episodio di “The Last of Us” mantiene il livello qualitativo alto che ha contraddistinto tutta la prima stagione, sebbene in questo caso è evidente l’intenzione della produzione di rendere tutta la narrazione il più fedele possibile al prodotto originale. Cosa che è buona e giusta visto la potenza narrativa di tutta la sequenza ambientata a Silver Lake, ma che manca un pochino di quella capacità di osare che tanto abbiamo apprezzato negli episodi precedenti.
Il prossimo episodio sarà il finale di stagione e la chiusura del cerchio. “Il fine è il viaggio e non la meta” titolammo la recensione al primo episodio e, a prescindere dall’epilogo di tutta la storia, il viaggio fin qui intrapreso proietta “The Last of Us” nell’olimpo dei prodotti televisivi.
Se volete sapere la nostra opinione sulle altre puntate di “The Last of Us” allora questi sono i nostri approfondimenti:
- “The Last of Us ep: 1” (Link)
- “The Last of Us ep: 2” (Link)
- “The Last of Us ep: 3” (Link)
- “The Last of Us ep: 4” (Link)
- “The Last of Us ep: 5” (Link)
- “The Last of Us ep: 6” (Link)
- “The Last of Us ep: 7” (Link)
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