È difficile stabilire con esattezza qual è il momento in cui si diventa realmente adulti.Quel momento in cui prendi davvero coscienza del mondo che ti circonda, degli affetti – quelli veri – e capisci che tipo di persona vorresti essere.
Zerocalcare, ormai studioso della sua stessa vita, quel momento è riuscito a individuarlo. Non subito, sia chiaro… ci ha messo un po’, ma alla fine, continuando a osservare la sua vita come se fosse di un’altra persona, ha capito quando è diventato grande. E – credetemi – l’età conta davvero poco…
È lui stesso a farci vedere il percorso che ha compiuto, con una storia intima e complessa, che segna un deciso passo in avanti nella carriera dell’autore romano. Possiamo tranquillamente dire che c’è un “prima” e un dopo Dimentica il mio nome.
Il viaggio di Calcare inizia dove meno te lo aspetti: nella sala d’aspetto di un’ospedale, mentre la nonna materna sta per morire. Parte tutto da lì, da una fine.
La gestione del dolore, la voglia (quasi inconsapevole, ma che esploderà all’improvviso) di scoprire di più sul passato della sua famiglia, le inaspettate rivelazioni cui andrà incontro, l’autobiografismo che si fonde con il fantastico. Sullo sfondo troviamo come di consueto Rebibbia, il suo quartiere: parte integrante delle sue storie, sembra quasi essere uno dei personaggi con cui il protagonista interagisce. Il rapporto così profondo con il proprio territorio è un qualcosa che Zerocalcare ama ribadire in ogni sua opera, perché è questa particolarissima zona di Roma che l’ha forgiato caratterialmente. Crescere in un quartiere famoso principalmente perché c’è un carcere (e probabilmente un mammut, ma su questa storia ci torneremo…) probabilmente ti fa vedere le cose sotto un altro punto di vista. È un qualcosa che, vuoi o non vuoi, fa parte della tua vita e in qualche modo ti trasmette qualcosa.
Il libro è un meraviglioso viaggio attraverso gli anni e le emozioni di tutti noi, perché la storia sarà pure quella della famiglia di Calcare… ma il viaggio emotivo che il protagonista compie, coinvolge tutti. Nessuno escluso.
In questo romanzo (o graphic novel, se preferite) ritroviamo tutto quello che ci ha fatto appassionare finora al mondo di Zerocalcare: i personaggi raffigurati come gli eroi della sua infanzia, le divertenti digressioni sulla cultura pop anni Ottanta e Novanta (che non sono buttate lì come mera operazione nostalgia, ma costituiscono una parte fondamentale della narrativa dell’autore), la paura di crescere, di non farcela. Il difficile rapporto con un mondo che cambia alla velocità della luce. Ma quello che più mi ha colpito, rispetto ai precedenti libri, è stato il ritmo narrativo: più calmo, meno frenetico. Calcare si è preso tutto il tempo del mondo per scrivere quest’opera, riuscendo con un’escamotage fantasy a non mettere totalmente a nudo la sua famiglia. Pagina dopo pagina, si percepisce quanta voglia avesse di raccontare questa storia, di condividere ansie e paure, di fare quel salto che lo avrebbe portato verso nuovi lidi. Il tutto, ovviamente, condito dalla solita ironia, che qui, in più di un’occasione, fa rima con malinconia.
Dimentica il mio nome parla di crescita, di paura, di coraggio. Parla di un sacco di cose importanti… ma soprattutto parla di noi, nessuno escluso.
Potrei usare mille giri di parole, anche pomposi, ma la realtà è che siamo davanti a una gran bella storia, che merita d’essere letta più e più volte. Per ricordarci che prima d’essere alberi, siamo stati piante.
Se ancora non l’avete letto, correte in libreria, datemi retta: ci troviamo di fronte a un qualcosa di speciale.
È una storia che fa bene, senza retorica, che ti colpisce proprio lì. In quel punto che ti fa fare un gran sorriso proprio mentre guardi l’ultima vignetta dell’ultima pagina.
Alla tua, Calcà.
E daje.
Daje tutti.
Abbiamo parlato di:
DIMENTICA IL MIO NOME
Testi e disegni di Zerocalcare
Edito da Bao Publishing, 2014
Cartonato, 240 pp., € 18,00