In occasione della presentazione di “Illuminations“, una raccolta di storie brevi che sarà pubblicata a fine mese anche in Italia, Alan Moore è tornato a parlare del fumetto e dell’industria fumettistica.
Senza ombra di dubbio, Alan Moore è stato uno degli autori di fumetti (di supereroi e non) più importanti ed influenti non solo della fine del secolo scorso ma della storia tutta. Negli ultimi anni, però, il Bardo di Northampton si è ritirato da questo mondo, dedicandosi alla scrittura in prosa. A fine ottobre, in Italia grazie a Fanucci Editore, verrà pubblicata la raccolta di racconti antologici “Illuminations“. In occasione della presentazione del libro, in un’intervista a Newsarama, Moore ha parlato del fumetto (come medium) e dell’industria fumettistica contemporanea, da cui ha preso le distanze in maniera netta.
D: Una domanda ovvia: “What We Can Know About Thunderman” è una satira all’industria del fumetto. Quanto c’è di vero?
«Alcune delle scene più grottesche le ho abbellite e in alcune di esse ho mentito spudoratamente, ma penso così di aver colto il senso dei personaggi dell’industria dei fumetti e molte delle cose terribili a livello fisico che sono presenti, sono molto vicine alla realtà. Detto questo, non è un roman a clef [dal francese, romanzo a chiave: tale romanzo è caratterizzato dalla presenza di personaggi o fatti reali i cui particolari sono modificati per esigenze narrative, ndr]. La maggior parte delle persone in esso sono compositi o invenzioni. Una delle cose di cui vado più fiero sono i nomi. Non ho idea da dove mi siano usciti fuori: Jerry Binkall, Brandon Chuff, Worsley Porlock. Capisci di essere passato dalla padella alla brace quando ti vengono fuori nomi come questi.»
D: Ti sei ritirato dai comics e hai parlato delle brutte esperienze con l’industria in precedenza. Perché sei tornato su questo argomento? È una sorta di esorcismo?
«È proprio la parola esatta. Ho ripudiato la maggior parte dei miei lavori a fumetti, inclusi Watchmen, V For Vendetta, le cose della ABC [America’s Best Comics, ndr], tutte cose che io non possiedo. L’unica cosa che avrei potuto fare era disconoscerle, ed è stato doloroso. Ho messo un’enorme quantità di lavoro ed energia e tantissimo amore in tutti questi progetti e ho sentito come una piccola amputazione quando li ho ripudiati.
Allo stesso tempo, era l’unica cosa da fare per estirpare il veleno. Non ho una singola copia di questi lavori. E non li guarderò più. Ed anche se mi capita di pensarci, tutto ciò che mi rimane sono i ricordi dei diritti delle mie proprietà intellettuali rubati e, poi, quando li ho recriminati sono stato etichettato come un pazzo arrabbiato. “Alan Moore ha detto andate via dal mio giardino”. E sì, è vero, ero abbastanza burbero ma non penso senza averne ragione e anche per suggerire che fossi arrabbiato con tutto ciò che è una truffa. E ciò è stato preso come “Oh bene, se è arrabbiato con tutto non dobbiamo preoccuparci per ciò che dicono le persone su come sono trattate nell’industria del fumetto, è solo arrabbiato con ogni cosa.”
Una volta che queste cose mi sono state prese dalle mani e sono state trasformate in franchise hanno permesso a chiunque avessero deciso di fare ciò che volevano con queste proprietà che erano ancora in qualche modo associabili a me.
Il medium del fumetto è perfetto. È sublime. L’industria del fumetto è un disfunzionale buco infernale. Allora perché dovrei tornare su questa barca? Come hai detto, è un esorcismo. Come scopre uno dei personaggi in “Thunderman” sull’abbandonare il mondo dei fumetti, una cosa è lasciare i fumetti, un’altra è smettere di pensare ad essi. Scrivere questo mi ha portato via un sacco di energie. Sono state dette molte cose che avrei sempre voluto dire ma non ho mai avuto il contesto giusto per poterlo fare. Riuscirci in una satira kafkiana funziona perfettamente. E quando parlo di satira kafkiana. intendo dire che Franz Kafka mentre leggeva le sue storie ai suoi seguaci ed ai suoi amici più stretti, avrebbe voluto ridere così tanto da farsela sotto. È una cosa orribile, mostruosa, agghiacciante – ma l’autore probabilmente godeva mentre scriveva.»
D: Hai definito il fumetto “sublime” e sembra che, nonostante tutto, lo ami ancora. È corretto?
«Assolutamente. Spero che il mio amore riesca a trasparire; il mio affetto per Jack Kirby e degli altri artisti e per un paio di scrittori della sua generazione. La descrizione di un bambino di sei anni che si imbatte in uno scaffale di fumetti non poteva essere scritta senza poter attingere alle mie stesse memorie di quando successe proprio a me stesso, a quando conobbi i fumetti.
Il medium può fare qualsiasi cosa. Il suo potenziale è ancora quasi del tutto inesplorato. Mentre cercavo di esprimere il mio amore per esso, alcune delle meravigliose persone con cui ho lavorato, e con le quali ho condiviso il mio orrore per questo ramo, quello del genere supereroistico, che è diventato monoculturale ed è in pericolo poiché una parte considerevole del medium del fumetto è stata trasformata in una quantità di film di supereroi che non è affatto interessante. Quando ciò è successo, la mia preoccupazione è stata per le fumetterie che non saranno in grado di proporre fumetti indipendenti interessanti, i quali potrebbero non avere più punti vendita.»
D: Ora ti stai dedicando alla prosa. Ti senti più felice, vedendo come sta andando?
«Molto più felice. Penso che le ultime quattro storie in Illuminations mi facciano sentire come se avessi un nuovo slancio e molto entusiasmo. Ho avuto libertà e tutto il lavoro che ho fatto è lavoro che possiedo e per il quale sarò legittimamente riconosciuto. Quindi sì, è davvero piacevole. È un ottimo modo per concludere e ciò che sto facendo mi rende davvero, davvero felice.»
Cosa pensate delle parole di Alan Moore? Siete curiosi di leggere Illuminations? Diteci la vostra nei commenti, vi aspettiamo come sempre!
Fonte: Newsarama