Abbiamo visto in anteprima Alita: Angelo della battaglia, la creatura sci-fi di James Cameron e Robert Rodriguez. Ecco cosa ne pensiamo.
That’s Hollywood, baby
I lettori di MegaNerd sanno quanto rispetto proviamo per Yukio Kishiro.
L’eroina originaria del Maestro Kishiro fa parte di quell’Olimpo sospeso dove dimorano le grandi opere cyberpunk che negli anni hanno nutrito la nostra visione del futuro. Alita è cervello umano e cuore meccanico al servizio di un’utopia; è una macchina da guerra che lotta in una rivoluzione che parla agli ultimi infondendo speranza e coraggio. È sangue caldo e scarto metallico freddo come la morte. Alita è il letame da cui nascono i fiori.
Da una collaborazione d’oro come quella tra James Cameron, che all’inizio del 2000 acquistò i diritti dell’opera, e Robert Rodriguez, regista che delle contaminazioni action sci-fi ne ha fatto bandiera espressiva, non poteva che vedere la luce un film importante che difatti ha creato intorno a sé una spasmodica attesa.
Gli amanti del manga hanno accettato con riserva il progetto, ben consapevoli che Hollywood non perdona e, se vuole, distrugge tutto. In questo caso voglio rassicurare i puristi perché l’adattamento cinematografico ha saputo rispettare l’essenza, ha colto lo spirito della protagonista rendendolo fruibile a un pubblico potenzialmente sconfinato, e questo potrebbe essere un bene per l’opera originale garantendole di tornare alla ribalta. Alita è un bel film, si vede volentieri , tranne per il 3D nativo che non tutti tollerano, e farà parlare di sé per molto tempo visto che c’è aria di sequel.
Bisogna fare le giuste premesse. Se riusciamo a tenere separato il film dall’opera originale ci troviamo di fronte a un cast stellare, a effetti di computer grafica eccelsi che lasciano lo spettatore senza fiato; soprattutto, assistiamo a una trama che funziona.
Per converso, se entriamo nel loop dei paragoni con l’opera del Maestro Kishiro, potremmo uscirne devastati. Il manga che ha reso celebre il suo autore, la storia dal finale riscritto che tanto ci ha tenuto con il fiato sospeso, è di tutt’altra levatura. Quella che l’Autore ha consegnato alla tradizione sci-fi era una storia foderata di leghe metalliche e nanotecnologia, che colpiva in pieno il nostro stomaco per il dolore profondamente umano, l’ira bestiale che muoveva gli scontri. Kishiro ha raccontato lo smarrimento e la rassegnazione di un’era indefinita che si insediava in uno scenario marcescente, figlio di un’apocalittica distruzione.
Veniamo al film della coppia Rodriguez-Cameron.
Siamo nel 26esimo secolo in un futuro post-apocalittico. Alita (Rosa Salazar) è uno scarto che il Dottor Ido (Christoph Waltz) recupererà nella discarica di Iron City. Al suo viso angelico Ido donerà un corpo meccanico perfetto, in origine destinato alla propria figlia tragicamente morta. Ha inizio così la nuova vita di Alita, adolescente che ha perduto la memoria, sopendo la sua capacità combattiva mortale.
È l’inizio di un viaggio che la condurrà alla riscoperta di sé ed alla presa di coscienza dell’ingiustizia che governa l’esistenza degli ultimi, costretti in una città discarica dove uomini e donne sognano di salire a Zalem, paradiso artificiale che possono solo ammirare sospeso in cielo.
In questo viaggio accanto ad Alita ci sarà Hugo, ragazzo che sogna di giungere a Zalem per ricominciare, del quale Alita si innamorerà sin dalle prime battute, rendendo i suoi ormai enormi e leggendari occhi, ancora più grandi solo per lui.
Un cast brillante, oltre ai già citati Rosa Salazar (Divergent e Maze Runner) e Christoph Waltz, ritroviamo la splendida Jennifer Connelly, Michelle Rodriguez e il perfetto Mahershala Ali. Attori che hanno saputo confrontarsi con un affascinante progetto cinematografico che mostra sul grande schermo, l’incredibile maestria di James Cameron nell’utilizzare il motion capture per costruire un mondo sfatto e globalizzato. Un mondo che fa da sfondo al percorso, doloroso, di una ragazza chiamata a scrivere un nuovo capitolo della sua storia, che è anche la nostra.
La nostra protagonista sarà l’artefice di un cammino che, per gradi, come la crescita di ogni adolescente, la porterà a scoprire chi è veramente, iniziando dapprima a combattere a fianco di Ido come cacciatore di taglie, fino a divenire stella nascente del Motor ball, sport grazie al quale Alita riesce a dar sfogo alle proprie qualità eccelse di combattente.
Il film tuttavia restituisce Rodriguez quale mero esecutore delle idee di Cameron che predilige una sceneggiatura a struttura classica: ad Alita e agli spettatori bisogna spiegare tutto; alla prima, in ragione della sua perdita di memoria; ai secondi, perché una memoria non l’hanno mai avuta. Cameron è bravissimo a gestire la narrazione, fin troppo rispettoso della sensibilità degli spettatori tanto da rendere blu il sangue che scorre (come in Okuto no Ken, avete presente?) ed emarginare dall’inquadratura gli scontri letali. Non convince la scelta degli occhi di Alita che, dalle dichiarazioni dello stesso Cameron, intendono rimandare ai manga in genere dove la sproporzione la fa da padrone. Io non è che riesco proprio a farla passare questa cosa. Mi sono data un’altra spiegazione e cioè che le origini di Alita potrebbero chiarire questa sua caratteristica fisica.
Quello che proprio non comprendo invece, è l’approccio di un grande regista, come Robert Rodriguez, che ammette di non aver mai letto l’opera originale ma solo oltre 600 pagine di appunti di James Cameron. Qualcosa sfugge durante la narrazione, le linee temporali dei fatti s’invertono e, soprattutto, manca un raccordo forte tra le varie fasi di consapevolezza che Alita deve affrontare. Assistiamo a un inizio con dovizia di particolari, che tuttavia scorre con il piede sull’acceleratore – d’altronde c’è molto da spiegare agli spettatori e il tempo a disposizione è poco – per arrivare a una parte centrale lenta che non riesce a rimanere impressa. Fortunatamente, sul finale la ripresa è ottima; sarà per la presenza crescente di Desty Nova? Probabilmente sì.
A ogni modo Rodriguez è totalmente messo in ombra dal produttore-sceneggiatore del film. A lui erano stati affidati i tagli e la scrittura dei dialoghi, stante la sua grande capacità come montatore e fumettista, ma nell’editing sembra essere sfuggito qualcosa. Alita in origine è violento e spietato, per questo lui era il nostro uomo. Invece manca quella crudeltà che è parte integrante della storia del nostro angelo e del suo viaggio emotivo, assenza che si sente dall’inizio alla fine, anche quando il climax tragico ci conduce verso l’epilogo.
La letteratura tra gli anni ’80 e ’90 ci ha regalato suggestioni e scenari cyberpunk. Quello che è certo è che la tecnologia è ormai in grado di materializzare l’impossibile. Dovete andare al cinema a vedere Alita? Certo che dovete. Dovete leggere il manga capolavoro del Maestro Yukio Kishiro? Cazzo se dovete, non scherziamo.
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