Impegnati come sono a salvare il mondo, i nostri supereroi hanno sempre qualche problema nelle normali vicende della vita, quelle che, più o meno, riguardano gli altri sette od otto miliardi di persone che abitano questo pianeta. In amore, sono spesso un disastro. Tranne, forse, Superman che ha moglie e prole, gli altri si barcamenano fra storie improbabili e/o molto complesse e le solite scuse – queste molto umane – del tipo: “Non sono il supereroe giusto per te”, “È meglio che frequenti Joker che è più divertente, visto che io sono così tenebroso”, “Sono sempre via, rischio di non esserci al pranzo domenicale con tua madre”, “Il mantello rosso si confonde con la tovaglia natalizia e poi mio padre non mi permette di frequentare persone che credono in un solo dio”.
Sul mangiare, neanche a parlare. Qualcuno lo incontriamo ai cocktail (essendo tutti avanti con gli anni, il termine apericena non lo usano), altri immaginiamo siano perennemente a dieta, visto le tute attillate che indossano. Certo, in questo senso, l’universo bonelliano è più prosaico: le scampagnate di Tex non sono male, almeno a chi piacciono le ricette stile far west con carne, fagioli e caffè; la pizza di Dylan Dog è alla portata di molti, pure se c’è un dubbio con quale bevanda accompagnarla, visto che il nostro investigatore evita opportunamente – causa trascorsi burrascosi – birra e vino; meno alla portata i ristoranti di Martyn Mistère, il quale, del resto, può contare su un budget niente male, frutto di un’eredità e della sua brillante occupazione di scrittore di successo. Ma è proprio sull’occupazione – la terza grande questione quotidiana – che si consuma netta la distinzione fra chi è supereroe e chi, al massimo, riesce a conquistarsi un posto – non al sole – ma sul mezzo pubblico di passaggio per andare a lavoro o a scuola. I nostri supereroi hanno tutti, o quasi, lavori brillanti: sono scienziati, giornalisti, scrittori, investigatori, grafici pubblicitari, esploratori, astronauti.
Addirittura un avvocato (Devil), però, chissà perché, nessun commercialista. Tutto fantastico, quindi. Sì, ma fino ad un certo punto. Clark Kent, oggi, piuttosto che lamentarsi se gli affidano un articolo di moda, avrebbe qualcosa da ridire sui cinque o dieci euro (il cambio con il dollaro è più vantaggioso) di compenso; avrebbe qualcosa da ridire, ma visto che il lavoro non si trova all’angolo della strada (anzi, qualcuno all’angolo della strada ci è finito), è meglio stare in silenzio. Peter Parker, oggi, per non essere sommerso dall’esercito dei selfisti, dovrebbe reinventarsi free lance per battesimi, comunioni e matrimoni, senza peraltro avere particolari certezze sui risultati finali. Reed Richards dovrebbe essere appena andato in pensione, dopo un’esistenza di ricercatore precario, Bruce Banner, di poco più giovane, invece no, essendo incappato nell’ultimo adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita. Insomma, è dura la vita del supereroe, anche senza tener conto del rischio disoccupazione tecnologica. L’avanzare della tecnologia, che potrebbe portare ad un taglio di qualche milione di posti di lavoro nella sola Europa, minaccia drammaticamente anche i nostri: sembra che Ultron stia raccogliendo i curriculum – o i curricula, per gli esteti della lingua latina – e, considerata la sua spiccata vocazione di cacciatore di teste, è meglio non essere nell’elenco.
Greystoke