Steven Moffat e Mark Gatiss hanno reinterpretato l’immortale storia del Conte Dracula in una miniserie targata Netflix e BBC, affascinante ma che poteva essere di più
Era il 1897 quando il Conte Dracula entrava per la prima volta nelle case di quelli che, inconsapevoli, sarebbero stati i primi lettori di una storia destinata a mantenere il suo fascino fino ai giorni nostri. Bram Stoker aveva dato vita ad una rielaborazione della figura di Vlad III di Valacchia, principe sanguinario noto soprattutto per la sua propensione ad impalare senza pietà nemici e oppositori. La nuova creatura di Stoker si distaccava da Vlad, ma basandosi sulla sua crudeltà e sulla sua passione per le uccisioni cruente, ha incarnato per la prima volta l’idea del vampiro come essere brutale ma affascinante. Un’idea che, grazie anche alla storia, alla narrazione e ai numerosi rifacimenti, avrebbe poi messo prepotentemente radici nell’immaginario collettivo.
Da pochi giorni Netflix ha reso disponibile Dracula, una nuova serie ad opera di Mark Gatiss e Steven Moffat che, ancora una volta, rielabora il personaggio e la storia del Conte. I due sceneggiatori, già ben noti per la loro versione televisiva di Sherlock Holmes, anche stavolta hanno voluto creare qualcosa che si discostasse dalla versione originale e cercasse di dare nuovo respiro ad un grande classico.
Le intenzioni e i risultati però, lo sappiamo bene, sono due cose diverse. All’atto pratico infatti il punto di forza della nuova serie non sembra tanto la trama che cerca una sua originalità, quanto piuttosto il confronto tra i personaggi, tenuto in piedi da dialoghi ben costruiti e che regalano una bella profondità ai protagonisti. L’incontro-scontro sembra essere il fulcro di tutti e tre gli episodi e riesce pian piano a far emergere tutta la complessità del nuovo Dracula, creatura eterna e tormentata dall’idea di un’esistenza libera e mortale.
Tre sono le colonne portanti della nuova storia: Jonathan Harker, Suor Agatha e Dracula, che non risulta (ovviamente) solo il più approfondito ma anche, e soprattutto, il più riuscito. Grazie principalmente ad un Claes Bang a dir poco perfetto, è il fascino di Dracula a rendere accattivanti gli episodi e a generare quel pizzico di curiosità che ci spinge a scoprire come andrà a finire. Tuttavia, se la bellezza dei personaggi principali è una gioia per gli spettatori, non può reggere da sola una serie nel suo complesso e il risultato è un prodotto che sembra in qualche modo interessante ma incompleto.
La trama, presentata come la vera componente originale della serie, parte alla grande nel primo episodio, rendendo omaggio in modo intelligente al carattere epistolare del romanzo. Prosegue però un po’ zoppicando per colpa di personaggi stereotipati e intrecci poco credibili, per poi dare pieno sfogo a plot-twist, momenti onirici e alla vera e propria rielaborazione della storia nell’episodio finale, arrivando ad una conclusione vagamente suggestiva, ma che poteva (e doveva) essere molto, molto di più.
Nel complesso, Dracula rimane una miniserie che intrattiene e sa affascinare e che, nonostante qualche difetto, ha il merito e la capacità di risvegliare ancora una volta l’amore collettivo per l’opera di Bram Stoker, per il suo Conte e la sua eterna leggenda.
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