Nel corso degli anni diversi cambiamenti culturali hanno caratterizzato il concetto di animazione giapponese in Italia. Dai primissimi film, da Goldrake fino a Miyazaki, MegaNerd vi accompagnerà in un percorso volto a identificare questi cambiamenti, tra le preoccupazione dell’opinione pubblica, l’adattamento e il doppiaggio. Allacciate le cinture, si comincia!
Per quanto possa sembrare strano (almeno ad alcuni), l’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali europei ad importare dal Giappone e in maniera massiccia numerosi cartoni animati (quelli che oggi definiamo familiarmente anime). Il boom si ebbe soprattutto tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni ottanta, dove furono oltre un centinaio le serie e i film d’animazione acquistati dalle diverse emittenti nazionali, rivaleggiando probabilmente con la Francia.
I primi anime ad arrivare in Italia sono stati alcuni lungometraggi distribuiti nei cinema nostrani a partire dagli anni ’70, ma che in patria uscirono il ventennio prima. Uno di questi è La leggenda del serpente bianco.
L’edizione italiana prese alcune libertà rispetto all’originale, aggiungendo una voce narrante più invasiva (di Giorgio Piazza) per introdurre con più facilità il pubblico nostrano a situazioni distanti dalla concezione culturale di allora. Molte di queste variazioni (se così possiamo chiamarle) saranno spesso alla base degli svariati adattamenti del gruppo Mediaset di Fininvest.
Alcuni di questi lungometraggi animati (citiamo anche Andersen monogatari del 1968 – Le fiabe di Andersen, Nagagutsu o haita neko del 1969, edito con il titolo Il gatto con gli stivali), venivano spesso distribuiti sulla falsariga dei classici disneyani, spacciandoli quindi per prodotti statunitensi.
Tuttavia la vera svolta nella diffusione degli anime nel nostro paese è avvenuta con l’importazione delle serie televisive: Il 13 gennaio 1976 la Rete 2 (oggi Rai 2) diede il via alla messa in onda di Barbapapà (Bābapapa), il primo anime a episodi trasmesso in Italia, il quale riscosse subito un certo successo.
Fu poi seguito nel 1977 da Vicky il vichingo (Chiisana Viking Vikke), e nel 1978 da Heidi (Alps no shōjo Heidi) e Atlas UFO Robot (UFO Robot Grendizer). Fu proprio quest’ultimo (insieme a tutte le saghe robotiche a venire) a scatenare la giappo-mania nel popolo italico, non senza qualche errore di percorso. Ma andiamo con ordine.
Lo show del robottone munito di alabarda spaziale fu acquistata direttamente dalla Francia, stato che per primo ne detenne i diritti di trasmissione. Di conseguenza l’anime arrivò da noi con l’adattamento effettuato in suolo transalpino. I francesi, vista la deriva fantascientifica della serie, optarono per l’utilizzo dei nomi di stelle in sostituzione di quelli nipponici dei personaggi: Daisuke Umon/Duke Fleed divenne così Actarus (dalla stella Arcturus), Koji kabuto fu tramutato in Alcor (una delle stelle appartenenti alla costellazione dell’Orsa Maggiore), e poi Mizar (ancora appartenente all’Orsa Maggiore), Rigel (Una delle stelle di Orione) e così via.
La creatura di Go Nagai fu così ri-battezzataUfo Robot Goldorak dal popolo transalpino, salvo poi diventare in Italia Atlas Ufo Robot Goldrake.
L’utilizzo del nome Goldrake è controverso ancora oggi: alcuni sostengono si tratti della fusione di Goldfinger e Mandrake, benché possa semplicemente trattarsi dell’anglicizzazione del nome adottato in Francia.
Curiosamente, però, in Italia esisteva già un Goldrake: era infatti il protagonista di un fumetto per adulti del 1966 creato da Renzo Barbieri e Sandro Angiolini, chiamato appunto Goldrake, l’agente playboy (Edizioni EP). Alcuni pensano possa trattarsi di un omaggio al fumetto in questione.
Interessante l’utilizzo del termine Atlas nel titolo italiano, probabilmente aggiunto per una svista! Infatti è possibile si trattasse solo del suffisso che in francese viene usato per indicare brochure e atlanti, forse inerente alla guida che fu mostrata ai produttori della Rai, quando l’anime gli fu venduto. Posto in maniera strategica sulla brochure, sembrò certamente parte integrante del titolo.
In tempi più recenti alcuni ex dirigenti Rai hanno asserito che il suddetto termine fosse stato mantenuto perché suonasse bene nel complesso… ma vallo a sapere!
L’ascesa di Goldrake portò sotto i riflettori altresì le voci dei doppiatori nostrani che, abituati da sempre a lavorare nell’ombra, divennero all’epoca molto più riconoscibili. Sia Actarus, che Hiroshi Shiba da Jeeg Robot e Tekeru Houjou di Gakeen – Il robot magnetico, potevano contare sul timbro baritonale di Romano Malaspina, che condivideva lo stesso temperamento degli eroi animati da lui doppiati. Lo stesso Malaspina dichiarò di aver conosciuto anche giornalisti, medici e altri liberi professionisti, che la sera lasciavano lo studio un’ora prima proprio per andare a vedere Goldrake in televisione.
Lo strepitoso successo di Goldrake (che lasciò perplessi alcuni genitori, tanto da guadagnarsi un aspro articolo ad opera del deputato Silvio Corvisieri) fece sì che molto altri robottoni potessero arrivare in Italia, perlopiù quasi tutti nagaiani, come Mazinga Z e Il grande Mazinga. Questi ultimi erano antecedenti alla creazione di Grendizer, ma nel nostro paese furono ovviamente acquistati dopo, senza stavolta passare dalle emittenti francesi. Altresì gli adattamenti erano molto più vicini all’originale, anche se per qualche oscuro motivo Koji fu ribattezzato Rio nella serie Z, mentre tornò col suo nome originale nella serie successiva, eliminando di fatto il punto di congiunzione delle saghe citate, proponendo 3 versioni di un unico personaggio, e presentando di conseguenza ben 3 doppiatori diversi: Giorgio Locuratolo in Goldrake, Claudio Sorrentino in Z e Franco Aloisi in Il Grande Mazinga (quest’ultimo ha poi lasciato il mondo del doppiaggio per dedicarsi al disegno e alla pittura).
Le due serie su Mazinga, certamente apprezzate, furono bissate dal sorprendente successo che Jeeg Robot D’acciaio avrebbe mietuto da lì a poco. Trasmessa per la prima volta nel ’79, lo show monopolizzo l’attenzione degli spettatori italiani così come aveva fatto Goldrake qualche anno prima. Decisamente più moderno, l’anime vantò una prima visione in seconda serata, per poi essere replicato dall’emittente il pomeriggio successivo. A consolidarne il successo fu probabilmente anche la strepitosa sigla cantata energicamente dal compianto Fogus (al secolo Roberto Fogu), il cui timbro dannatamente soul – citando le parole di Piero Pelù (a cui per lungo tempo è stata erroneamente accreditata la paternità della sigla) – vibravano sulla base originale giapponese del grande Michiaki Watanabe. Anzi, riascoltiamola insieme!
Proprio sul finire degli anni ’70 (precisamente il 3 settembre 1979) approdò poi sui nostri schermi un eroe molto diverso dai classici robottoni. Forse sarebbe meglio definirlo antieroe, ma che ugualmente ebbe un seguito strepitoso negli anni, tanto da entrare quasi a far parte della nostra cultura. Già, mi sto riferendo proprio a Lupin III, il celebre ladro in giacca colorata creato dal grande Mokey Punch (al secolo Kazuhiko Katō). L’anime arrivò privo di censure, soprattutto per quello che riguardava le grazie della splendida Fujiko Mine, il cui cognome venne pronunciato all’inglese, ovvero Main come il pronome possessivo, quando invece andava letto esattamente come stava scritto. L’adattamento italiano poté contare sul temperamento istrionico del compianto Roberto Del Giudice, il quale, dando voce a Lupin, arrivò persino a coniare dei termini entrati nell’immaginario collettivo e assenti in originale. Uno di questi è Zazà, nomignolo affibbiato al simpatico ispettore Zenigata. La prima serie fu in seguito ridoppiata (sempre con Del Giudice), smorzando alcune tematiche troppo adulte, per poi proseguire fino alla terza non senza qualche intoppo. In primis, Fujiko, divenne nella seconda stagione la misteriosa Margot. I motivi sono oscuri, ma questo ha condotto per molto tempo gli appassionati a credere si trattasse di due personaggi diversi, quando invece era lo stesso (un curioso caso analogo a quello di Koji – Alcor – Rio). Sempre Fujiko, nel primo doppiaggio de Il Castello di Cagliostro di Hayao Miyazaki, fu rinominata Rosaria (anche in questo caso il motivo non è pervenuto). Il film, benché fosse stato doppiato a Roma, non presentò il cast regolare, con Del Giudice che fu sostituito da un giovanissimo Loris Loddi. Lo stesso Del Giudice ha poi rimediato nel 2007 con il terzo doppiaggio del lungometraggio (il secondo vedeva Luigi Rosa nelle vesti del protagonista), distribuito per la prima volta nei cinema italiani. Alla morte di Del Giudice, avvenuta nello stesso anno, subentrò ufficialmente Stefano Onofri (che molti ricorderanno nei panni vocali di Spider-Man in quasi tutte le incarnazioni animate fino alla fine degli anni ’90) come nuova voce del simpatico ladro.
Purtroppo, a partire dalla metà degli anni ’80, soprattutto a causa di una crescente campagna di demonizzazione degli anime operata da buona parte dell’opinione pubblica, la Rai iniziò ad importare sempre meno serie, e per oltre un decennio restò praticamente solo il gruppo Fininvest a proporre qualche novità. Per lo più si trattava di serie indirizzate a un pubblico di età scolare, o di serie prevalentemente shōjo, mentre i pochi prodotti shōnen venivano dirottati sui circuiti di reti locali associati al gruppo. Le reti private locali, invece, si limitarono per anni a trasmettere repliche delle serie acquistate in precedenza.
Le sempre più elevate spese per l’acquisizione dei diritti e per il doppiaggio imponevano tabelle di marcia rallentate per l’importazione di nuove opere. Eppure questi anime furono palestre per molti doppiatori emergenti, allora giovanissimi, che si ritrovarono per l’appunto a dare voce a personaggi ancora adesso apprezzati e osannati.
Sui canali privati fu l’epoca degli eroi Tatsunoko, come Kyashan (Shinzō ningen Kyashān – 1973), Hurricane Polymare (Hariken Porimā – 1974) e Tekkaman – Il Cavaliere dello spazio (Uchu no Kishi Tekkaman – 1975), Gatchaman (giunto da noi come La battaglia dei pianeti dall’adattamento statunitense), oppure la divertentissima saga Time Bokan (Yattaman, Calendarman, ecc…).
Roberto Chevalier (da tempo voce ufficiale di Tom Cruise) fu Kyashan, mentre Sandro Acerbo (voce italiana di Brad Pitt e Will Smith) prestò le sue corde vocali sia a Polymare che Tekkaman.
Purtroppo a lungo andare i costi si fecero meno permissivi, imponendo ancora di più l’utilizzo di un ristretto numero di doppiatori, alcuni dei quali, nella stessa serie arrivavano a doppiare anche 3 o 4 personaggi insieme (a volte nella stessa scena, per cui alcuni si parlavano e si rispondevano con la medesima voce).
Eppure il desiderio del pubblico nostrano verso l’animazione giapponese era ancora molto alto, tant’è che molte di queste società acquistavano dei veri e propri pacchetti, contenenti anche due o 3 serie differenti. A volte nessuno sapeva esattamente cosa contenesse il pacchetto, divenendo una sorpresa per gli stessi dirigenti. Alcuni di questi pacchetti venivano poi dati allo stesso studio di doppiaggio che si trovava a curare adattamento e traduzione di anime diversissimi tra di loro, per disegni e tematiche.
Così fu per Devilman (Debiruman – 1972) e Ken il Guerriero (Hokuto No Ken – 1984), dove entrambe le serie, giunte in Italia negli anni ’80, furono seguite da un numero ristertto di doppiatori. Massimo Corizza diede voce sia ad Akira Fudo che Tare, così come ad altri demoni dello show (Beatrice Margiotti doppiò sia Miki Makimura che Silen). Così Alessio Cigliano ha prestato voce a Kenshiro, a Bart adulto, al Jolly, e tanti altri personaggi secondari all’interno dell’anime.
Si arrivò persino a non potersi permettere un fonico in sala, per cui, chi doppiava doveva andare perfettamente a sinc con l’immagine, in quanto non c’era nessuno che si sarebbe occupato della post produzione mettendo a posto i dialoghi.
Tra questi anime vi fu anche Dragon Ball di Akira Toriyama, che arrivò in TV sulle reti locali con un primissimo doppiaggio molto diverso da quello che conosciamo (e molto vicino all’originale, pertanto privo di censure), dove sempre Massimo Corizza dava voce al piccolissimo Goku (e anche a Yamcha).
Con la nascita di diverse società di doppiaggio in quel di Milano, parecchi anime furono dirottati verso questa città, che ridoppiò completamente Dragon Ball sotto la direzione Paolo Torrisi (pseudonimo del compianto Maurizio Torresan), che diede voce anche a Goku adulto. Per richiesta dell’emittente furono realizzate diverse censure, alcune pesanti, altre curiose, per cui ai personaggi non era neppure permesso espletare o parlare delle loro funzioni corporali (pipì, popò e mestruo). Ovviamente oggi questo tipo di censura non viene quasi più operato neppure dalle reti Mediaset, ma ne parleremo poi.
Ne giovarono invece I Cavalieri dello zodiaco dal celebre manga Saint Seiya di Masami Kurumada.
Quando l’anime arrivò in Italia nel 1990, presentò copioni lacunosi e mancanti di diverse parti piuttosto importanti della narrazione. L’allora direttore del doppiaggio, Enrico Carabelli (che nella serie diede voce a Fish), per ovviare alle mancanze dello script, prese la decisione, viste le tematiche, di virare l’adattamento italiano verso un registro aulico, arrivando a citare Ugo Foscolo e addirittura Dante Alighieri, innalzando la serie nell’olimpo degli adattamenti nostrani, ancora oggi amato da tutti.
Dopo i cavalieri (o forse proprio grazie a loro) gli anime cominciarono nuovamente a diventare di tendenza. La allora responsabile della programmazione per ragazzi di Mediaset, Alessandra Valeri Manera, con la supervisione del doppiatore Ryan Carrassi, acquistò in blocchi diversi anime, molti dei quali subirono pesanti sforbiciate e riadattamenti. La problematica nasceva dal fatto che alcuni di questi cartoni non erano indirizzati prettamente ad un pubblico infantile, pertanto dovevano subire una sorta di ridimensionamento. Pena salatissime multe. Non solo, queste operazioni venivano probabilmente incoraggiate anche in virtù della scarsa diffusione dei manga originali, non ancora mainstream come oggi.
Come abbiamo già accennato qualunque funzione corporale non poteva essere presente, così come i nomi dovevano essere italianizzati oppure inglesizzati a seconda dei casi. Basti pensare a Captain Tsubasa di Yōichi Takahashi trasformato in Holly e Benji, dando al portiere Genzo Wakabayashi/Benji una centralità che nel fumetto non possiede.
Curiosamente la serie, a differenza delle precedenti, fu doppiata a Roma invece che a Milano. Un giovanissimo Fabrizio Vidale (voce italiana di Jack Black) fu Holly, mentre Giorgio Borghetti (oggi Ethan Hawke e Charlie Hunnam) prestò la sua vocalità a Benji.
Alcuni di questi cartoni, benché fossero stati già doppiati, non trovarono una collocazione nel palinsesto Mediaset, in quanto l’adattamento non era riuscito a nascondere alcuni atteggiamenti poco consoni per un pubblico infantile, risultando di fatto troppo maturi. Venivano così rivenduti ad altre emittenti.
Tra questi citiamo City Hunter dal manga di Tsukasa Hōjō. L’anime fu venduto ad Italia 7, presentando un adattamento che stravolse sì tutti i nomi (Hunter, Kreta, Jeff, Selene), ma non riuscì a nascondere la malizia di Ryo Saeba verso il gentil sesso (e neppure molte delle scene cruente). Anche Dragon Ball, benché fosse stato ridoppiato con le voci di Patrizia Scianca e Paolo Torrisi, fu inizialmente trasmesso su JTV – canale 34, prima di approdare definitivamente (e con grande successo) su Italia 1 diversi anni dopo.
Probabilmente l’anime maggiormente massacrato dalla censura di allora fu Sailor Moon (Bishōjo senshi Sērā Mūn), per cui molti episodi furono totalmente rimontati, mentre alcune sequenze fecero un largo uso dei fermo immagine per nascondere le parti considerate scabrose. Tutte le tematiche legate a omosessualità (o presunte tali) furono eliminate. Nonostante questo la psicologa infantile Vera Slepoj mosse diverse accuse alla serie, dovute principalmente alla presenza delle Sailor Starlights. Queste, infatti, sono dei ragazzi che durante il combattimento possono trasformarsi in guerriere Sailor (con una sequenza di trasformazione che mostra il loro cambiamento da maschi a femmine). Secondo la psicologa lo show sarebbe stato in grado di compromettere seriamente l’identità sessuale dei bambini maschi. Le critiche sollevate costrinsero allora gli adattatori ad una revisione del prodotto, per cui i giovani ragazzi, durante i combattimenti non si trasformavano più, ma erano invece in grado di evocare delle fantomatiche “sorelle gemelle”.
Al di là di questo screzio, Sailor Moon ebbe un successo pazzesco nel nostro paese, tanto che si pensò seriamente di realizzare non solo una serie live action come accaduto con Kiss me, Licia, ma anche una saga animata ex novo attraverso il montaggio di sequenze scartate, con una sceneggiatura scritta appositamente per l’Italia. La cosa però non andò in porto, sicuramente per il diniego dei produttori giapponesi.
Quando ormai divenne chiaro che molti anime non erano fatti per la TV, sorsero in Italia le prime grandi aziende specializzate nell’importazione di cartoni animati giapponesi, tra cui Yamato Video fondata a Milano nel 1991.
Primo anime editato dalla nascente Yamato fu Baoh dal manga omonimo di Hirohiko Araki. Il doppiaggio vedeva la partecipazione di Luigi Rosa sul protagonista Hikuro Hashizawa e una giovanissima Sonia Mazza su Sumire, oltre a Pasquale Ruju (oggi apprezzato scrittore e sceneggiatore di fumetti) nei panni del cattivissimo cyborg Dorudo.
Yamato Video ha visto il suo catalogo ampliarsi nel corso degli anni, tanto da diventare uno dei punti di riferimento dell’animazione giapponese in Italia.
Nel 1995 fu invece la volta di Dynamic Italia (oggi Dynit), che rilevò all’epoca l’intero catalogo della defunta Granata press, e che oggi detiene i diritti della distribuzione in Italia dei film della leggendaria RKO Pictures (come King Kong del 1933).
In seguito a dissapori tra Federico Colpi e Francesco Di Sanzo (entrambi dirigenti di spicco di Dynamic Italia), quest’ultimo decise di lasciare l’azienda, fondando la propria società, Shin Vision, le cui attività iniziarono nel settembre 2002. Nonostante le licenze accaparrate, Shin Vision chiuse i battenti nel 2007. L’acquisizione di nuove serie fu accantonato, mentre il lavoro di doppiaggio fu interrotto sulle altre già acquistate. Leggenda vuole che la società stesse anche pensando ad un ri-doppiaggio dell’intera serie di ken Il Guerriero, progetto mai andato in porto per gli elevati costi di produzione. Oggi Di Sanzo è production manager di Yamato Video/Anime Generation Channel.
Sia Yamato che Dynit avevano a quel tempo rilasciato le loro licenze all’emittente MTV che, attraverso la leggendaria Anime Night (una serata interamente dedicata all’animazione giapponese), propose in TV diversi cartoni dal loro catalogo, citiamo Slam Dunk, Trigun e Golden Boy. Alcuni di questi venivano trasmessi in prima serata in forma leggermente censurata, per poi essere replicati integralmente a tarda notte.
All’inizio degli anni ’90 anche il cinema disse la sua: nelle sale fu proposto Akira di Katsuhiro Ōtomo, acquistando i diritti dall’edizione anglofona. Infatti il nostro doppiaggio fu adattato da quello statunitense, con diverse imprecisioni e scurrilità non presenti nell’originale. Un personaggio femminile, per l’esattezza Lady Miyako (che nel film appare per pochi frame nelle sequenze finali) parlava addirittura con voce maschile, mentre alcuni dialoghi erano inventati di sana pianta. Angelo Maggi (Tony Stark nel MCU) doppiava Kaneda, mentre Alessandro Quarta era Tetsuo. Il film non riscosse un grande successo in termini commerciali (in America incassò poco più di 400.000 dollari) e i produttori ci misero anni a rientrare nella spesa, ma col tempo divenne un cult. Nel 2018 proprio Dynit ha restaurato la pellicola, portandola nuovamente al cinema per il 30# anniversario con un nuovo doppiaggio fedele all’originale. Manuel Meli (Zoro nel recente adattamento live action di One Piece) e Alessio Puccio (Daniel Radcliffe/Harry Potter nell’omonima saga cinematografica) sono rispettivamente le nuove voci di Kaneda e Tetsuo.
In realtà molte opere portate in Italia hanno spesso fruito dell’adattamento anglofono. I film del maestroHayao Miyazaki sono tra questi: sia Mononoke che La città incantata, nella loro prima messa in onda hanno utilizzato quelle traduzioni come base. Mononoke portò addirittura ad un singolare scontro verbale tra Miyazaki e il tirannico produttore Harvey Weinstein, al fine di evitare tagli al film. Ormai solo reperibili a prezzo di collezionismo perché fuori catalogo (posso dire di detenere le prime edizioni sia dell’una che dell’altra pellicola), tutti i film dello studio Ghibli sono stati oggetto di un ridoppiaggio da parte di Lucky Red, che ne ha rilevato i diritti per la distribuzione in Italia (solo di quelli già precedentemente editati da altri editori su suolo italico, ovviamente).
Non sono però mancate critiche: tutti conosciamo l’adattamento di questi lungometraggi ad opera di Cannarsi, facente uso di un lessico forzato e scorretto, e dei meme da esso derivati, sicuramente lontano dai fasti di carabelliana memoria (I cavalieri dello zodiaco).
Proprio Cannarsi si è reso protagonista in tempi recenti di una pesante controversia legata al ridoppiaggio di Neon Genesis Evangelion per Netflix, con dialoghi resi inutilmente ridondanti e ostici, tanto che il colosso dello streaming è dovuto correre ai ripari operando sostanzialmente un ridoppiaggio del ridoppiaggio. Molti doppiatori minacciarono addirittura di lasciare la sala. Curiosamente lo stesso Cannarsi aveva partecipato anche alla lavorazione del primo doppiaggio Dynit con esiti nettamente migliori, adattando i testi, selezionando le voci italiane e dirigendole negli ultimi episodi.
Anche l’approccio di Mediaset agli anime è mutato nel tempo, sia per il repentino cambiamento culturale verso l’animazione giapponese, che per la crescente forza contrattuale dei produttori giapponesi dovuta alla popolarità dei loro media.
I primi segnali si ebbero su Berserk, dal celebre manga del compianto Kentaro Miura, i cui episodi furono trasmessi per la prima volta da Italia 1 nel novembre 2001. L’anime fu trasmesso a mezzanotte ogni venerdì, senza censure, benché avesse un adattamento altalenante (ripristinò infatti la corretta traslitterazione dei nomi dei protagonisti, ma allo stesso tempo presentò alcuni strafalcioni o dimenticanze nelle traduzioni, come Sys, l’amante di Gambino, trasformata nella sorella di quest’ultimo). In seguito i diritti furono rilevati da Yamato Video per la pubblicazione prima su VHS, poi su DVD/Bluray. Spero sempre che Yamato opti per un ridoppiaggio parziale della serie, per ovviare a questi piccoli (ma non trascurabili) errori.
Da lì in poi gli adattamenti Mediaset sono sempre stati estremamente vicini all’originale, pensiamo ad esempio a Detective Conan di Gōshō Aoyama, le cui traduzioni hanno spesso rispettato la cultura e i nomi nipponici, nonostante parole come sangue e uccidere venissero sovente sostituite con tracce ematiche e i sempre verde fare fuori/eliminare. In un episodio, però, veniva addirittura pronunciata la parola serial killer.
Stessa cosa per Keroro, che ha mantenuto a schermo persino gli ideogrammi giapponesi (molte volte eliminati dal video originale).
Persino Dragon Ball Super ha ricevuto una certa attenzione nell’adattamento su richiesta dei produttori giapponesi, i quali imposero di mantenere la opening originale nipponica, benché il capitano Giorgio Vanni avesse comunque cantato una sua sigla su testi della sempre presente Valeri Manera.
Nell’adattamento italiano, che ha cercato un suo equilibrio tra quanto fatto in precedenza e una traduzione più fedele alla lingua d’origine, sono stati mantenuti anche i riferimenti ai capezzoli sporgenti di Monaka (sicuramente negli anni ’90 questo riferimento sarebbe stato omesso).
Purtroppo la scomparsa di Paolo Torrisi ha costretto Mediaset a provinare tutta la piazza milanese per una nuova voce su Goku. Alla fine l’ha spuntata Claudio Moneta, poliedrico doppiatore che ha all’attivo diversi videogiochi (Resident Evil, Assassin’s Creed), cartoni (Spongebob) e serie televisive (How I meet your mother).
Più recentemente è stato invece proposto il remake di Holly e Benji, presentato con titolo e nomi originali, su volere dei produttori giapponesi, al fine di uniformare il marchio Captain Tsubasa in tutto il mondo. Non più Vidale e Borghetti sui protagonisti, ma rispettivamente Renato Novara e Federico Viola.
Questa voglia di fedeltà, probabilmente dovuta anche al crescente successo e ad una maggiore diffusione del media cartaceo originale, ha portato a ripristinare nomi e tecniche anche all’interno di One Piece, dove Rubber è finalmente tornato ad essere Monkey D. Luffy nei nuovi episodi trasmessi in TV.
Attualmente aziende del settore come Yamato e Dynit preferiscono puntare maggiormente sulle piattaforme digitali, quali Prime Video, dove è possibile trovare buona parte del loro catalogo, piuttosto che rilasciare le proprie licenze sui canali televisivi nazionali, benché Italia 2 a volte sorprenda gli spettatori con qualche serie inedita (citiamo Saint Seiya – The Lost Canvas ).
Certamente nel nostro paese l’animazione giapponese ha trovato ampio spazio di manovra acquisendo sempre più libertà, nonostante i primi tentennamenti iniziali. Oggi gli anime del passato sono ricordati ancora con affetto dagli appassionati, mentre nuove generazioni di spettatori crescono con i cartoni odierni, dove le due fazioni alimentano talvolta la vecchia diatriba del meglio quelli di ieri. Noi preferiamo astenerci, anche perché siamo giunti alla fine.
Se siete arrivati fin qui, vi ringraziamo di cuore.
Questa è solo la prima parte di questo speciale… infatti ne arriverà una seconda, quindi restate sintonizzati sulle nostre pagine.
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