Il Corvo – Analizzando il fumetto oscuro di James O’Barr

Per festeggiare la ricorrenza di Halloween, la redazione di MegaNerd vi accompagnerà lungo la tetra strada dove l’opera di James O’Barr ha preso vita. Una via colma di dolore e malinconica, trasportati dalle ali del nero Corvo che ha dato il titolo ad una delle opere più celebri e tormentate degli anni ’80. Siate preparati, perché è un viaggio da cui è difficile fare ritorno.  

 

speciale il corvo

Halloween è qui, sentite i folletti e gli spiritelli grattare alle vostre finestre? Li avete visti? Ecco, abbassate le tende e mettetevi sotto le coperte con una cioccolata calda, perché la storia che stiamo per narrare è così spaventosa e dolorosa che al solo udirla persino i mostriciattoli appollaiati fuori scapperanno per la paura. Apprestiamoci ad entrare nel regno oscuro de Il Corvo, una dei fumetti più importanti degli anni ’80 nel panorama underground.

Molti di voi avranno sicuramente conosciuto l’opera attraverso l’omonima pellicola (ormai un cult) di Alex Proyas in cui perse la vita Brandon Lee e di cui adesso è in cantiere un reboot con Bill Skarsgård. Ma, alla base, c’è un tormentato graphic novel partorito dalla mente di James O’Barr.

Non possiamo scindere Il Corvo dal suo autore, in quanto il romanzo è un’emanazione dei dolori e delle angosce che quest’ultimo ha patito nel corso della sua esistenza.
James O’Barr cresce orfano a Detroit, ma fin da subito sviluppa una forte passione per il disegno e l’arte in generale, affascinato anche dalle potenzialità comunicative derivanti dal mondo del fumetto. Ciò che in età prescolare lo ha tenuto lontano dalle strade, da adulto lo porta a studiare scultura, fotografia e cultura rinascimentale.

Proprio in questo periodo, purtroppo, la sua ragazza Beverly viene uccisa da un pirata della strada ubriaco. L’accaduto portò l’autore alla depressione. Fu in primis questo evento a spingerlo ad arruolarsi nel corpo dei marines, come se questo potesse in qualche modo placare il suo dolore. Anche sotto l’arma O’Barr non smise di disegnare, tanto da realizzare diversi manuali illustrati sul combattimento. Mentre era di stanza a Berlino, ancora schiavo del dolore a causa della perdita, l’autore canalizzò tutti i rimpianti e i rimorsi all’interno di un’opera monumentale, ispirata in parte anche da un caso di cronaca, dove due fidanzati furono uccisi per un anello da 20 dollari: quell’opera era proprio Il Corvo, ed era il 1981.

La lavorazione richiese alcuni anni, tempo necessario in cui l’autore si mantenne sbarcando il lunario come poteva (lavorò anche come meccanico). Quando fu pronto, propose il fumetto alla Caliber Press che ne acquisì i diritti annunciandolo in pompa magna nel 1988 sul numero 10 di Deadworld, attraverso un’enigmatica illustrazione che mostrava un uomo atletico con la faccia da clown, con fucile fumante in una mano e una katana nell’altra. Il tutto accompagnato dalla frase “Per alcune cose… non c’è perdono”.

La storia, presentata in 5 volumi, fu data alle stampe l’anno successivo, precisamente nel febbraio 1989 e fu un moderato successo per la piccola etichetta, vendendo in tutto il mondo quasi un milione di copie (più di 750.000 per l’esattezza).

I lettori si ritrovarono tra le mani una storia fuori dal tempo, dotata di una potenza drammatica indescrivibile e illustrata con un tratto sporco e nervoso: dalle pagine emerge quasi con prepotenza il dolore di un uomo macerato e distrutto, la sofferenza messa in scena è palpabile, un vero pugno nello stomaco, un calcio nelle palle a tradimento… e intendo sferrati entrambi contemporaneamente.

La narrazione, tutt’altro che prolissa, appare inizialmente frammentata, alternando presente e passato grazie all’ausilio di vari flashback. Inizialmente sappiamo solo che c’è un giovane con il viso dipinto, chiamato Eric, in cerca di vendetta verso chi gli ha portato via l’amata Shelly. Un personaggio nato per essere un costrutto d’odio, riflesso dell’autore stesso che, attraverso le sue azioni, cerca di esprimere la propria furia vendicatrice.

Eric (il cui nome potrebbe rimandare al protagonista de Il fantasma dell’Opera) viene introdotto gradualmente al lettore: accompagnato da un corvo, si presenta ai suoi carnefici (adesso sue vittime) con metafore, sonetti, e atteggiamenti sopra le righe, lasciando trasparire una certa instabilità mentale. La sua follia è resa in modo visivo, mostrando figure oniriche e spaventose, dove il sogno spesso si mischia con la realtà. Lo stesso corvo che lo segue come un’ombra potrebbe essere solo un’illusione, frutto della sua mente martoriata.

Allo stesso tempo, benché all’inizio non se ne faccia cenno, diventa presto evidente che il protagonista sia tornato dalla morte, resuscitato in qualche modo proprio dal corvo, con cui dialoga costantemente. Eric è stato, infatti, ucciso insieme a Shelly, in una delle sequenze più disturbanti mai apparse in un fumetto, causa anche il crudo realismo con cui è rappresentata: il protagonista, raggiunto alla testa da un proiettile che non lo ha ucciso sul colpo, è costretto, suo malgrado, a guardare mentre avidi balordi dai nomi strani (Tin Tin, Top Dollar, T-Bird, Funboy) a turno straziano l’innocenza della sua ragazza, prima di ammazzarla.  Il giovane morirà più tardi, in ospedale, dopo che un corvo gli ha intimato di “non guardare”.

Eric si trasforma allora nel fantasma del Natale passato, lo spettro che perseguita coloro che hanno peccato, diventando inarrestabile e brutale, perché comprendano che per le loro azioni non c’è perdono, né redenzione. Le pallottole non lo fermano, i coltelli non lo bloccano, eppure il suo corpo è pieno di ferite che non guariscono (a differenza della pellicola di Proyas), metafora pungente del dolore che non si rimargina e che non scompare mai del tutto.

Il Corvo mette in mostra le colpe di tutti, sia vittime che carnefici. Nonostante il nero uccellaccio tuoni al protagonista che non è colpa sua, forse negli intenti dell’autore ci viene invece suggerito l’opposto: la colpa è di Eric e Shelly di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliatissimo, e sembra quasi che si faccia colpa a Shelly di essere così bella e dolce, ed è grande la colpa ovviamente di T-Bird e soci, per aver distrutto l’innocenza e la purezza. È colpa di tutti e di nessuno.

A tal proposito, durante un’intervista del 1994, l’autore, insoddisfatto dalla catarsi dei sensi mai ottenuta dall’estenuante lavoro,  avrà a dire:

«Quando ho disegnato le tavole, questo mi ha reso più autodistruttivo… c’è pura rabbia in ogni pagina»

In effetti ciò traspare anche solo soffermandosi sui disegni di O’Barr, tutt’altro che certosini: le anatomie sono a volte imprecise, ed è facile scorgere figure con teste troppo grandi, arti forse troppo piccoli, prospettive che non tornano, oggetti di scena realizzati facendo ricorso al ricordo piuttosto che studiati attraverso l’uso di foto, eppure le pagine sprigionano una potenza visiva impressionante figlia di quella cultura underground, della musica anni ’80 che vedeva protagonisti incontrastati The Cure, Iron Maiden, Black Sabbath, Manowar e Metallica.

Da questo punto di vista, Il Corvo potrebbe quasi essere assimilabile ad un manga, in quanto condivide con questi ultimi sia la narrazione serrata, che la rappresentazione grafica del protagonista con i capelli come spighe di grano e le espressioni esagerate. Un nervosismo artistico molto vicino al tratto di Go Nagai che, come O’Barr, non sembra propenso alla perfezione del disegno, ma soprattutto alla concezione di tematiche immerse nel dolore e nella cruda violenza.

A differenza di Nagai, però, che persegue una coerenza artistica per ogni opera, O’Barr non mantiene mai uno stile preciso, a volte persino da pagina a pagina: ci sono tavole acquerellate, altre che hanno un tratteggio fittissimo, altre ancora che fanno largo uso dei retini, alcune che sono illustrate in maniera iperrealista, e altre che sembrano disegnate in modo caricaturale, dando l’impressione a volte di non star quasi leggendo lo stesso fumetto, eppure la vena artistica dell’autore è sempre onnipresente e riconoscibile.

Una cosa del genere è molto difficile che venga permessa in un fumetto seriale, il quale deve attenersi a determinati canoni, ma in una graphic novel è possibile demolire le barriere grafiche attraverso la sperimentazione delle soluzioni migliori per la scena. Quanto meno è ciò che mi piace credere.

Oggi l’albo conta numerose ristampe, la già citata pellicola con Brandon Lee e relativi seguiti, una serie TV, diversi romanzi e spin-off a fumetti (passati per Image e IDW Publishing). Tra i vari progetti derivati che vedono coinvolto l’autore c’è proprio il reboot filmico, dove supervisiona la produzione (benché inizialmente ne avesse preso le distanze) e la scrittura della sceneggiatura.

Nonostante tutto l’odio e il dolore riversato sulle pagine inchiostrate, oggi O’Barr sembra aver messo quasi del tutto a tacere i suoi demoni interiori, ed è padre di due ragazzi. Vive a Dallas, e quando può cerca di non disertare le fiere del fumetto (nel 2018 fu anche ospite di Lucca Comics & Games).

Siamo finalmente giunti alla fine di questa triste e spaventosa storia, qualora vi siate rintanati tremanti sotto le coperte per il terrore posso assicurarvi che è comprensibile. Ma se siete tra i coraggiosi che vogliono cimentarsi nella lettura de Il Corvo, allora attenti a non farvi trascinare troppo a fondo dalla follia e dalla vendetta del suo protagonista.

Ma se lo avete già fatto e siete riusciti a tornare indietro, allora raccontateci tutto su questo infernale viaggio, non vediamo l’ora di sentire la vostra. E buon Halloween a tutti!


Avatar photo

Gianluca Testaverde

Instagram Meganerd
Faccio un po' di tutto nella vita: perditempo a tempo pieno, disegno, amo il doppiaggio e scrivo ciò che vorrei leggere. E per l'amor di Dio... non fate i fumettisti!

Articoli Correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *