Dopo aver conquistato la fama con Nausicaa della valle del vento (1984) e Laputa- Castello nel cielo (1986), il maestro Miyazaki era davvero sottoposto a grandi pressioni, ma colmo di fiducia aveva presentato senza esitazioni un nuovo progetto dal titolo “Il mio vicino Totoro”
Il regista aveva convissuto con quest’idea per dieci anni, durante i quali non aveva mai smesso di sognare di poterla prima o poi realizzare. Con Il mio vicino Totoro, dalle terre immaginarie delle sue opere precedenti, la scena si trasferiva alla campagna giapponese dei primi anni ’50, mentre il cast prima composto da valorosi giovani, adesso vedeva come protagoniste due ordinarie bambine di dieci e quattro anni.
Le macchine potenti e veloci avevano lasciato il posto agli spiriti e ai sogni, frutto dell’immaginazione. Miyazaki quindi era pronto a lanciarsi in una nuova sfida rischiando non solo di perdere quel filo conduttore che l’aveva portato al successo, ma anche i suoi fan. Il regista ha ribadito più volte «Non l’ho fatto solo per ambizione», la sua determinazione veniva al secondo posto: «Di cosa hanno effettivamente bisogno i bambini? Ancora oggi potremmo continuare ad avere un ambiente incontaminato in Giappone, no? Sì, da qualche parte esiste ancora un posto del genere».
Con questo nuovo film intendeva dunque esprimere la sua idea più pura sulla natura, non a caso sceglie come protagoniste due bambine caratterizzate dall’idea di libertà e da un sogno senza tempo.
A distanza di 25 anni dal debutto, possiamo dire con fermezza che la scommessa del maestro è stata meritatamente vinta, Totoro non solo è diventato il simbolo dello Studio Ghibli, ma è anche entrato nell’immaginario collettivo – infantile e non – superando i confini del Giappone!
A differenza di molti suoi lungometraggi che sono stati tratti da romanzi già esistenti, questo è un racconto che Miyazaki ha adattato per il cinema da un libro illustrato che aveva iniziato a disegnare nel periodo in cui stata lavorando alla serie televisiva Marco (1976). Nei primi schizzi realizzati per quel libro si ritrovano sia le idee che sono poi effettivamente state trasformate in immagini per il film, sia gli spunti che non sono stati utilizzati per il lungometraggio; prenderò in considerazione soprattutto lo speciale edito dalla Planet Manga “The art of Il mio vicino Totoro”.
Inizialmente i tre Totori presenti nel film avevano dei nomi e dei ruoli specifici: il grande Totoro si chiamava Miminzuku – cioè “grande papà” – ed aveva 1302 anni, quello medio Zuku di 679 anni e infine il più piccolo era Min di 109 anni. I primi disegni ci mostrano la presenza di una sola bambina, Mei, la quale è stata poi affiancata da una sorella maggiore: non sarebbe stato possibile farla andare incontro a suo padre alla fermata dell’autobus, né tantomeno scartare la scena di una piccola bimba imbambolata, che tra i cespugli vede davanti i suoi occhi degli strani esseri.
Così oltre a Mei – bimba testarda, poco socievole e scontrosa che somiglia al papà – viene inserita Satsuki: bambina più grande, vivace e allegra, svelta, decisa e forte che ricorda la mamma (ora malata in ospedale).
L’intento iniziale del regista era quello di raccontare nel libro illustrato la storia di una zona della città in cui c’è un’unica casa vicino alla quale crescono gli alberi, le famose piantine che nascono dalle ghiande donate da Totoro, che le due sorelline piantano nella loro campagna.
L’idea di Miyazaki era quella di creare una scena iniziale del film in cui c’è una sola casa circondata da alberi, poi il paesaggio intorno comincia a cambiare: dalla case vicine circondate da boschi si sarebbe passati a viottoli di campagna solitari, fino alle risaie e ai canali d’irrigazione, per poi arrivare man mano alla casa malmessa di Satsuki e Mei. Alla fine si è scelto di far cominciare e finire il film con la scena delle bimbe che tornano nel loro mondo ascoltando la storia della nonnina, che alla loro domanda finale sull’esistenza di Totoro risponde «Chi lo sa?», e a quel punto in una zona illuminata della città appare proprio lui, con il suo tenero verso.
Ci sono scene particolarmente curate e significative, dai nerini della polvere (susuwatari) alla scena del bagno col papà, lo stesso Miyazaki ha affermato: «Desideravo molto inserire la scena della vasca da bagno. Avrei voluto disegnare una giornata intera fatta di inquietudine e batticuori, dall’annuncio fatto di mattina alla radio di un tifone in arrivo fino alla mattina successiva. Tra le esperienze dell’infanzia, un tifone è una specie di festa, no? Ho semplicemente disegnato una di quelle giornate che per le bambine dovrebbe essere un’esperienza di gran lunga più emozionante dell’entrata in scena di un cattivo che vuole conquistare il mondo!».
Tutto è stato curato nei minimi dettagli, Kazuo Oga – scenografo dello Studio Ghibli – ha spiegato che per quanto riguardava il suolo del giardino, Miyazaki gli disse che voleva che lo facesse rosso, perché lo strato argilloso della zona del Kanto (regione che comprende la capitale e le sette prefetture intorno a Tokyo) era praticamente di quel colore. Per Oga la tonalità del suolo era sempre stata nera o grigia, insomma privo di colore, quindi aveva diverse reticenze in proposito. Aggiungeva sempre più rosso e chiedeva a Miyazaki se andasse bene, ma lui rispondeva di no, che doveva essere ancora più rosso! Finché alla fine è venuto fuori il colore che avete visto…
Come nasce l’idea di questo buffo personaggio?
L’idea era che Totoro dovesse essere in ogni caso una creatura gigantesca: se l’avessero fatto col collo lungo sarebbe stato strano, per questo è tozzo e grosso. Inoltre è un semplice animale, non un spirito della foresta. È considerato una creatura che si nutre di ghiande, anche se qualcuno ha messo in giro la voce che sia il Signore dei boschi. ma Miyazaki la considera una supposizione infondata. Lui stesso pensa che sarebbe meglio considerarlo una creatura che i giapponesi moderni hanno creato per necessità.
Qualcuno ha detto che Totoro è piuttosto freddo, visto che alla fine non sale sul Gattobus e non accompagna Satsuki. Ma se fosse salito con lei, se l’avesse consolata, poi sarebbe dovuto restare anche a guardare con le bambine la finestra dell’ospedale. Totoro non è eccessivamente gentile, non può essere esageratamente disponibile, di queste cose se ne occupa il povero Gattobus!
L’ultima curiosità riguarda i fotogrammi finali, che sono la vera conclusione di tutto il lungometraggio: solo qui si vede la mamma tornata ormai a casa, visto che il suo ritorno non era necessario che venisse inserito nella storia principale. Viene mostrato che le bambine possono compiere i rituali quotidiani del bagno insieme all’infilarsi nello stesso futon con la mamma. Dopo, possono andare a giocare fuori tranquille, arrampicarsi sugli alberi, bisticciare, e così i Totoro possono pian piano allontanarsi e le bambine non li incontreranno più. Miyazaki pensava fosse giusto così, per questo nella sequenza finale non è stata inserita nemmeno un’immagine in cui i Totoro appaiono insieme a Satsuki e Mei.
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