Intervista a Carlo Lucarelli – Il re del noir incontra il fumetto

Durante il Torino Comics 2024, abbiamo avuto il privilegio di parlare con il maestro italiano del noir: Carlo Lucarelli. Ospite dello stand Cut-Up Publishing, editore di Julian, lo scrittore ci ha parlato del volume uscito e di molto altro…

copertina intervista carlo lucarelli

Quando si incontra un personaggio come Carlo Lucarelli, non si ha di fronte a sé ‘solo’ uno dei più grandi scrittori di romanzi noir della Penisola italiana, ma anche un giornalista, conduttore televisivo, autore di podcast e molto altro. Insomma, davanti a lui l’emozione rischia di fare brutti scherzi. Ma bastano pochi attimi in sua compagnia per sentirsi a proprio agio e scoprire come ‘Carlo’ (spero mi scuserà se mi prendo questa libertà di nominarlo come fosse un amico), sia un uomo mosso da grande passione verso il mondo letterario, ma anche quello fumettistico.

Il fumetto è parte di lui, e l’ha dimostrato ancora una volta con la nuova graphic novel di Cut-Up Publishing, Julian, di Stefano Fantelli e Marcello Mangiantini, che riprende una sua vecchia storia breve weird horror.

Ringrazio vivamente lo scrittore di aver voluto fare con noi di MegaNerd, e in particolare con me, questa bella e lunga chiacchierata, dove abbiamo parlato di Julian, del suo rapporto con il fumetto, ma anche di qualche aneddoto interessante sulla sua carriera…. alla sua personalissima e inconfondibile maniera! Buona lettura!


Ciao Carlo e grazie, innanzitutto, di essere qua con noi, su Meganerd! Nella tua vita sei molte cose: giornalista, scrittore, conduttore, autore di podcast e anche fumettista. Che rapporto hai con il fumetto e da dove nasce la tua passione per la nona arte?

Io ho un rapporto con il fumetto strettissimo, da lettore. Come tutti anche io ho cominciato a costruire il mio immaginario e ad avere la passione per le storie, le avventure la narrazione proprio grazie ai fumetti. Sono nato negli anni ‘60 quando i fumetti venivano ancora chiamati ‘giornalini’. Tex, Zagor, Tiramolla, Capitan Miki, e gli altri fumetti seriali dell’epoca, hanno contribuito alla costruzione del mio immaginario.

Poi, successivamente, crescendo, ho cominciato a leggere Lo Sconosciuto di Magnus, Corto Maltese di Hugo Pratt ma soprattutto il Corriere dei Piccoli e il Corriere dei Ragazzi. Sono stati, per me, tutti costruttori di immaginario.

Lo sconosciuto : Magnus, Gadducci, Fabio, De Silva, Diego: Amazon.it: Libri

È un mondo che mi piace, ma che mi spaventa anche, perché so che non è semplice e non è detto che io, che sono uno scrittore di romanzi e mi sento a mio agio a scrivere storie, sia poi in grado di scrivere anche fumetti. È un lavoro molto tecnico, un universo molto particolare.

Quindi trovi che ci siano delle differenze tra scrivere un fumetto e scrivere un romanzo?

Assolutamente. Pensa che il primo che mi chiese di sceneggiare e avere a che fare con i fumetti è stato Giampiero Casertano [artista italiano noto soprattutto per i suoi lavori per la Sergio Bonelli Editore n.d.r.]; voleva che scrivessi una storia per lui intitolata ‘Guerre’ che trattava, ovviamente, una storia di guerra.

La mia prima risposta è stata “Va bene, che ci vuole sono uno scrittore di romanzi… scriverò fumetti!”. Giampiero mi disse però “Fermo lì! Guarda.. vedi prima come si fa”, e quindi sono andato, poi, a scuola da lui.

È un lavoro complesso dove si utilizza un altro linguaggio, ma le volte che ci entro dentro e ho la possibilità di fare qualcosa, è grandioso.

Veniamo al motivo della tua presenza al Torino Comics 2024: sei qui per presentare, in anteprima, insieme agli altri autori coinvolti, Stefano Fantelli e Marcello Mangianti, Julian, progetto che avete realizzato per Cut-Up Publishing. Ci puoi raccontare come nasce l’idea di questo libro a fumetti che è tratto da un tuo vecchio racconto?

Prima di tutto nasce la storia, ed è una cosa che ho scritto molto tempo fa e che ho inserito in un’antologia horror dal sapore ‘necrofilo’. Io non ero, come non lo sono tutt’ora, un autore di horror, però fu una delle mie prime esperienze. E allora mi è venuto in mente di scrivere una storia abbastanza ironica, che avesse a che fare con una testa ghigliottinata che, per un qualche motivo, resta viva. La sfida era di raccontare la storia di questa testa ‘ferma’; perché… è una testa senza corpo! E invece io volevo farla muovere, facendogli vivere delle avventure!

Con questa idea, l’ambientazione è venuta spontanea. Testa mozzata, Grand Guignol, orrore, fantasmi, mi hanno fatto venire in mente subito il periodo della Rivoluzione Francese.

E così ho scritto Julian, titolo del racconto. E’ una delle storie, insieme a un altro paio, per cui ho sempre pensato “Mi piacerebbe vederla disegnata, che diventasse un fumetto.

Dopo tanto tempo ho conosciuto Stefano e Marcello [Fantelli e Mangiantini, con cui abbiamo già scambiato quattro chiacchiere, n.d.r.], i quali mi dissero che volevano fare un fumetto insieme a me. Subito gli ho detto “Benissimo! Facciamolo!”.

Carlo Lucarelli e Stefano Fantelli, intervista su “Julian” – Lo Spazio Bianco

Io ho fornito l’idea, ma Stefano l’ha sceneggiata, sempre per quel motivo che bisogna essere bravi a farlo, e Marcello l’ha disegnata. Non ho mai avuto un’idea di questa storia disegnata, ma è venuta fuori esattamente la storia che avrei voluto vedere. Meglio di così non potevo immaginarla. Sono veramente felice di come è stata realizzata.

Leggendo Julian, la prima cosa che mi è venuta in mente è stato Il mistero di Sleepy Hollow di Washington Irving, e ti spiego il motivo: in quel romanzo era presente un cavaliere senza testa, uno dei personaggi più inquietanti della letteratura ottocentesca. Qua, invece, c’è una testa… senza corpo, come protagonista! Il che rende Julian un’opera affascinante e originale. Come ti è venuta questa idea?

Il ragionamento è stato: voglio scrivere una storia horror ‘necrofila’, quindi partiamo da un corpo morto. Però mi piacerebbe che questo corpo non fosse morto e basta, altrimenti si cadrebbe nel banale. Vorrei che questo corpo ‘morto’ fosse in realtà vivo. E questo è stato l’inizio.

JULIAN

Poi ho pensato alla testa… e contemporaneamente alla ghigliottina e alla Rivoluzione Francese, ed ecco che la testa si trova in quel periodo storico lì. Poi, però, quello che faccio io quando sperimento, è inserire tutta una serie di ostacoli, altrimenti sarebbe poi finita lì.

Gli ostacoli sono: una testa con un occhio semichiuso, la bocca mezza aperta, insomma una testa in una condizione grottesca, da Grand Guignol.

Questa testa grottesca, all’inizio fa sorridere per la situazione in cui versa, però è disperata e mi pongo la domanda “E adesso che succede?”. Da lì vengono fuori le idee, perché, come faccio sempre io, cerco di scoprire cosa può accadergli e alla fine magicamente riesco a trovargli la conclusione che per me risulta perfetta.

Julian è un grapich novel weird horror, ma, come hai detto, con alcuni spunti ironici e grotteschi. Alcune situazioni che capitano a Julian, sono capaci di strappare un sorriso. È più facile per uno scrittore far ridere o far paura al lettore?

Far paura è sicuramente più facile, perché giochi su dei meccanismi che sono più collaudati, più solidi da un certo punto di vista. Tutti noi abbiamo paura e quasi sempre delle stesse cose, ma soprattutto abbiamo ‘paura della paura’. Credo sia proprio questo il punto.

Pensa che a scrivere di horror mi ha insegnato, pare incredibile, un regista di film hard. Parlando con lui, una volta mi disse “Perché secondo te nei film pornografici tutti ansimano e fanno sto gran casino? Nella realtà non si fa così. Ma lo spettatore non si eccita di quel che vede, ma si eccita dell’eccitazione’. Altrimenti il corpo nudo e basta… è un corpo nudo!”.

Il miglior esempio che mi viene in mente, sono le commedie sexy degli anni ‘70, in particolare quelle con Renzo Montagnani, che guardava da uno spioncino di una serratura e faceva tutti quei versi, vedendo la donna seminuda dall’altra parte della porta.

Per la paura è la stessa cosa. Se improvvisamente arriva un fantasma e tutti lo guardano, ma fanno finta di nulla, non funziona. La paura ce l’hai perché vedi la faccia di uno che ha paura di qualcosa, e questo è un meccanismo che funziona.

Ridere, invece, è diverso. Prima di dedicarmi al noir, scrivevo commedie comiche per il teatro e mi toccava far ridere…subito! Si trattava di spettacoli fatti principalmente all’aperto e che si svolgevano durante sagre di paese, dove la gente va e viene. Devi fargli fare una risata forte in meno di un minuto, altrimenti le persone non si fermano. Sono altri meccanismi, per me più difficili.

Come accennato, questa non è la tua prima esperienza nel fumetto. Hai scritto diversi fumetti tra cui Coliandro, un soggetto per Dylan Dog, ma soprattutto sei stato tra gli autori di Cornelio, serie di racconti noir a fumetti con toni sovrannaturali, riproposta da Cut Up Publishing in pregiati volumi cartonati. Il protagonista è Cornelio Bizzarro, uno scrittore in crisi, che ha le tue fattezze e che si dedica per lo più a risolvere casi di omicidi. Quanto della tua personalità è presente nel personaggio?

Cornelio Bizzarro nasce da un’idea di Mauro Smocovich e Giuseppe di Bernardo, che volevano scrivere di uno scrittore in crisi che si trova all’interno di un universo simil ‘dylandoghiano’ e mi hanno coinvolto in questo progetto. Loro sceneggiavano e io ero una sorta di supervisore. A un certo punto mi hanno detto “Ci piacerebbe farlo uguale a te!”.

Torna Cornelio, fumetto nato tra Toscana ed Emilia
(da sinistra, Mauro Smocovich, Carlo Lucarelli, Giuseppe Di Bernardo)

Sembrava una cosa divertente, ma gli ho detto seccamente “NO!” perché in quel momento avevo il comico Fabio De Luigi, [all’epoca nel cast del programma televisivo di Mediaset, Mai Dire Gol, condotto dalla Gialappa’s Band n.d.r.], che faceva la mia imitazione con ‘Paura eh?’ che mi è sempre piaciuto moltissimo, ma il rischio era che diventassi una macchietta.

CORNELIO

Quando, però, ho letto cosa mi avrebbero fatto fare e le idee che mi proponevano, che erano bellissime, ho accettato e gli ho detto “Va bene, fatelo pure”.

Il risultato è stato che Smocovich e Di Bernardo, ma anche i disegnatori, si sono studiati le mie trasmissioni per vedere le mie movenze e i miei modi di fare. Cornelio non è uno che mi assomiglia, sono proprio io, identico a com’ero all’epoca. Ora sono diverso perché invecchiato, ma allora ero così e hanno solo cambiato il nome; se si fosse chiamato Carlo Lucarelli, ero io a tutti gli effetti.

Io leggevo le storie, davo il mio piccolo contributo, ma sono loro che hanno sviluppato tutto. Sono stato felicissimo di vedermi fare e vivere delle avventure che non avrei mai vissuto.

Il nome ‘Cornelio Bizzarro’ è stato scelto dagli autori o è stata un’idea condivisa con te?

Cornelio è un nome che io ho usato tante volte, soprattutto per un mio personaggio che è un prete che ha a che fare con i servizi segreti Vaticani. Un personaggio molto oscuro. Ma Cornelio è anche un nome che mi piace molto e se dovessi usare uno pseudonimo probabilmente utilizzerei proprio questo.

Bizzarro, invece, è un’idea loro [di Smocovich e Di Bernardo n.d.r.] perché le avventure diventavano sempre un po’ tese e ironiche.

Attualmente sembra che il fumetto stia vivendo un momento di maggiore popolarità rispetto al passato. Nella classifica dei libri più venduti spesso si sono collocati dei fumetti nella top ten, come ad esempio le opere di Zerocalcare. Pensi che sia solo un momento d’oro o può essere una vera e propria rinascita della nona arte? E, qualitativamente, il fumetto italiano contemporaneo si può considerare alla pari delle opere letterarie?

Quando il fumetto è scritto bene e ti racconta una storia importante è al pari di un romanzo. Ho capito di più su curdi, Kobane [città in Siria n.d.r.] e tutto il resto grazie a Zerocalcare, rispetto agli articoli che leggevo sul giornale e da cui non si capiva granché della situazione. Quando ho letto Kobane Calling ho capito molte cose.

Ma non solo; se penso al momento in cui ho cominciato a capire il meccanismo dei cosiddetti misteri italiani che ho raccontato in televisione, ricordo due momenti chiave che mi hanno fatto comprendere meglio il clima politico degli anni ‘70: quando ho visto Io ho paura di Damiano Damiani che mi ha fatto esclamare “AH!” e quando ho letto, quasi in contemporanea, Lo Sconosciuto che mi ha fatto dire “AH! AH!”. È cosi che ho capito, da ragazzotto, che cosa stavo leggendo sul giornale in quel momento.

Se penso a chi mi dice che Delitto e Castigo di Fëdor Dostoevskij gli ha cambiato la vita e gli ha fatto comprendere il rapporto tra il bene e il male, io rispondo che ho capito il rapporto tra il bene e il male quotidiano con Lo Sconosciuto di Magnus.

Allora sì! Il fumetto che noi ora chiamiamo ‘graphic novel’, ha avuto la stessa deriva che ha avuto il romanzo poliziesco.

All’inizio eravamo il romanzo giallo, etichettato come quello che prendi leggi e butti via. Poi piano piano siamo stati presi più in considerazione e abbiamo cambiato nome; non siamo più ‘i gialli’, ma ‘noir’, e andando avanti si utilizzeranno altri termini. Tutto ciò, per nobilitare un qualcosa che era già nobile di suo, che ha avuto (anche) dei momenti commerciali e scadenti.

Il giallo classico era visto spesso come un ‘giochino’: scoprire prima dell’investigatore chi era stato l’assassino. Tutte le forme di comunicazione e narrazione hanno una parte che è commerciale e banale, però, quando il giallo voleva raccontare le cose fatte bene, era un romanzo.

La stessa cosa per il fumetto; siamo passati dai giornalini ai fumetti, poi i fumetti sono diventati una cosa per intenditori e infine graphic novel. Ma si parla dello stesso prodotto, uguale e fortissimo.

Certo, c’era la possibilità di leggere delle banalità assurde, ma anche dei bellissimi fumetti.

La stessa cosa vale per il noir; leggi storie sui serial killer fatti a fotocopia e va benissimo, ma poi leggi anche un grandioso romanzo.

Immaginiamo di mettere su una bilancia la trama di una storia da un lato e la tecnica nel raccontarla dall’altro. Hanno eguale peso per te o una è più importante dell’altra?

Avrebbero lo stesso peso, ma il risultato non lo ottieni se li metti sullo stesso piano. Mi spiego. La trama è importante tanto quanto la tecnica narrativa, siamo d’accordo. Ma una trama banale, anche se la racconti bene, rimane tale. La stessa cosa capita se hai una buona tecnica e racconti una storia importante ma la diluisci nella maniera sbagliata. Non avrai un ottimo risultato.

Però, sicuramente, una buona tecnica narrativa, che nel romanzo di genere come il mio significa ‘non racconto tutto subito’, è essenziale e ti porta al risultato.

Quello che faccio io è cercare, appunto, di non raccontare tutto subito, di non anticipare le cose, ma inserirle nel punto giusto, dove devono essere inserite. Non basta semplicemente ‘la trama’, ma serve il ‘suonare’, ovvero dare il respiro alla storia.

Ad esempio, se dico ‘c’è un uomo che apre una porta e istintivamente va da un’altra parte.. e la porta rimane mezza socchiusa’ quest’ultima cosa non lo specifico subito. Poi sento che arriva il momento in cui devo dire ‘e c’era la porta socchiusa!’. Opla’ torna tutto! E chi ti legge in quel momento capisce, ed entra nei ritmi. Questa cosa è essenziale, ma anche la storia è importante.

Una volta Marco Paolini [attore teatrale celebre per il suo monologo Vajont n.d.r.] in un suo spettacolo ha cominciato a leggere un elenco del telefono. A un certo punto si è fermato e ha detto “Mi dicono ‘sei così bravo che ti basterebbe leggere l’elenco del telefono’. Ma non è così! Al quarto, quinto nome è noiosissimo!” Quindi ti serve la storia, non basta essere bravi. Però la tecnica e il talento sono essenziali.

Il tuo rapporto con il pubblico e i tuoi lettori è sicuramente cambiato quando hai realizzato per la televisione il noto programma Blu Notte, da te anche condotto, dove parlavi dei mostri, quelli veri. Durante le tue ricerche per realizzare i contenuti delle varie puntate, c’è stato o ci sono stati episodi in cui ti sei sentito in pericolo o di essere in situazioni simili a quelle che vivono i personaggi dei tuoi libri?

Ne sono capitate tante, ma ti racconto questa. Quando facevo Blu Notte – I casi di cronaca, dove raccontavo quelli che, da un certo punto di vista, erano i casi più spaventosi… tornavo a casa alla fine dei tre giorni di registrazione della puntata. Io sto vicino a Bologna, quindi prendevo il treno, poi l’auto e arrivavo a casa che era sempre notte.

Blu notte - RaiPlay

Entravo in casa e andavo giù nel mio studio per sentire la segreteria telefonica e i messaggi che mi avevano lasciato. Di solito c’erano i messaggi di mia mamma, mio fratello … e poi, una sera, sento un messaggio con una voce veramente inquietante che dice “TROPPO GIOVANE PER MORIRE”, ma pronunciato in maniera molto particolare. Mi è venuto un colpo, perché pareva una voce camuffata come nei film horror, però non ci ho fatto caso più di tanto.

La settimana dopo torno, accendo la segreteria e sento un altro messaggio con la stessa voce che dice “SACRIFICI UMANI!”, e mi piglia di nuovo un colpo.

Allora porto la cassetta al mio amico poliziotto con cui facevo la trasmissione, e al maresciallo dei carabinieri segnalandogli che c’era qualcuno che mi stava minacciando. “Troppo giovane per morire” era rivolto a me?

Registro un’altra puntata. La settimana successiva sono a casa, uso la segreteria come filtro e a un certo punto sento quella voce. Alzo subito la cornetta e rispondo “Chi è?”. Dall’altro capo del telefono la voce chiede “PERCHE’ NON SIETE ANDATI IN ONDA QUESTA SETTIMANA?

Rispondo che abbiamo finito la serie e gli chiedo “Scusi ma lei chi è?”.

Scopro che era un fan che parlava proprio in quella maniera strana e gli ho domandato il motivo delle sue minacce. “MA CHE MINACCE ERA UN COMMENTO ALLA PUNTATA; LA RAGAZZA ERA TROPPO GIOVANE PER MORIRE!”.

L’ho mandato a quel paese [risata n.d.r.] e gli ho detto “Lo sa che se andavo a finire sotto una macchina venivano a cercarla?” e lui mi ha detto “NO MA IO SONO UN SUO GRANDE FAN!”.

Insomma, mi succedono anche queste cose qua.

Sappiamo che tra i tuoi progetti imminenti, sei tra gli interpreti di un corto horror girato da Claudio Chiaverotti su sceneggiatura di Stefano Fantelli ‘Muse comes Homes’. Che ruolo hai, sempre se ce lo puoi dire senza fare troppi spoiler?

In realtà il mio è un cameo. Sono la voce fuori campo, il narratore. E poi ci sono anche in una scena, all’interno di una macchina, dove vedo qualcosa che mi spaventa. È una partecipazione molto piccola.

Muse Comes Home

Però bella l’idea e loro sono bravi. Ho potuto portare sul set anche le mie due figlie, che fanno la parte di due zombie.

Già altre volte mi è capitato di partecipare a serie TV, ma sempre interpretando me stesso. Ad esempio ho partecipato a ‘Un Posto al Sole’ dove una delle protagoniste mi sognava mentre dicevo alla mia maniera certe cose sul suo fidanzato. Ogni tanto faccio qualcosa, ma nulla di che.

Domanda di rito. Tra le tante cose che ti riguardano c’è stata in passato una tua esilarante imitazione di Fabio De Luigi. Come hai accolto inizialmente questa imitazione e cosa vi siete detti la prima volta che vi siete incontrati?

Io non lo conoscevo [De Luigi, n.d.r.]. Poi mi telefona una mia amica e mi dice “Guarda che domani Fabio De Luigi – che era un suo amico – farà la tua imitazione. Lui ti voleva avvertire, non prenderla male”.

Io ero quasi dispiaciuto che nessuno mi avesse ancora imitato, e mi sembrava perfetto. Poi sai, le imitazioni si possono fare bene o male, alcune possono essere cattive.

Quindi ho detto alla mia amica “No ma io sono contento. Vuol dire che sono famoso se vengo imitato”.

Mai dire story - Lucarelli

Quando l’ho vista, l’ho trovata divertentissima. Mi prende in giro come stereotipo del giallo. Io a quei tempi facevo già Blu Notte – Casi Storici e se mi avesse preso in giro mentre parlavo della strage di Bologna, sarebbe stato di pessimo gusto. Ma lui mi prendeva in giro mentre parlavo di Delitti da Giallo e quindi … perfetto! Bellissimo! Meraviglioso!

Anche se, comunque, mi ha creato dei problemi… ‘piccolini’ intendiamoci; ad esempio ho dovuto smettere di tenere le mani nella mia posa classica, perché la redazione mi diceva che assomigliavo alla mia imitazione. Era grottesco: io assomigliavo a lui, ma sarà stato il contrario invece?

Poi sono andato nell’ultima puntata di quella stagione di Mai Dire Gol e l’ho conosciuto. Ci siamo visti al trucco. Fabio De Luigi all’epoca era un giovane alto di bell’aspetto. Mi siedo di fianco a lui e osservo mentre lo truccano; gli mettono un cuscino sopra la pancia, la calotta per farlo pelato, gli fanno le rughe… al che ho detto “ Oh, ma sono così brutto io?” [risata n.d.r.]. Poi abbiamo fatto la puntata…e sono stato felice.

Guarda, avessimo ricevuto un centesimo per tutte le volte che ho fatto “PAURA EH? in un selfie, io e De Luigi saremmo miliardari. Ma va benissimo così.

Oltre a Julian, ci sono altri tuoi racconti che ti piacerebbe vedere trasposti in fumetto, magari con lo stesso team creativo Fantelli & Mangiantini?

Questa prima avventura mi è piaciuta, così come a loro. Io ho altri racconti, tante altre cose che quando ho finito di scrivere ho pensato “Bella, questa è la sua vita, ma sarebbe altrettanto bella vederla anche in altre forme”. Ci stiamo riparlando, quindi vediamo se ne verrà fuori qualcosa più avanti.

Lo speriamo vivamente! Grazie mille Carlo e alla prossima!

Lucarelli
(da sinistra, Carlo Lucarelli e Stefano Fantelli)

CARLO LUCARELLI

Carlo Lucarelli (Parma, 1960) è scrittore, sceneggiatore, autore e conduttore radiofonico e televisivo. Il suo romanzo d’esordio, Carta Bianca, è uscito nel 1990 con la Casa Editrice Sellerio e da allora ha pubblicato più di venti romanzi e diversi saggi e raccolte di racconti con vari editori, tra cui principalmente Einaudi, Mondadori, Sellerio, Rizzoli e Solferino. Ha pubblicato alcuni libri per ragazzi e per bambini, tra cui Thomas e le gemelle, le cui protagoniste sono le sue gemelline: Angelica e Giuliana.

È autore di romanzi noir e storici (tra cui le serie con protagonisti il Commissario De Luca, l’ispettore Coliandro, l’ispettore Grazia Negro e il capitano dei carabinieri Piero Colaprico), e saggi di storia e criminologia, questi ultimi scritti assieme a Massimo Picozzi, docente e psichiatra forense.

Le sue opere sono stare tradotte e pubblicate all’estero, principalmente in Francia, Germania, U.S.A., U.K., Spagna, Grecia, Giappone e Portogallo. Per la RAI è stato autore e conduttore di programmi (Mistero in Blu, Blu Notte, Blu Notte Misteri Italiani, Lucarelli Racconta e La 13° Ora) in cui ricostruiva la storia del nostro paese attraverso i suoi misteri insoluti, con particolare attenzione al terrorismo e alla lotta alle mafie. Per RAI Storia ha condotto i programmi Italia in 4D e La Grande Guerra, quest’ultimo uscito in DVD come supplemento al Corriere della Sera.

Per Sky Arte HD è coautore e conduttore di diversi programmi che raccontano i misteri della storia dell’arte (Muse Inquietanti e Inseparabili-Vite all’ombra del genio) e di In compagnia del lupo – Il cuore nero delle fiabe, mentre per Crime Investigation ha condotto il programma Profondo Nero.

Due dei suoi personaggi, l’ispettore Coliandro e il Commissario De Luca, sono stati protagonisti delle omonime serie televisive di successo, di cui è anche sceneggiatore. Da altri suoi romanzi sono stati tratti film per il cinema e fiction televisive, è coautore della fiction RAI La Porta Rossa e ha collaborato con Dario Argento alla sceneggiatura di Non ho sonno.

Ha scritto e condotto vari programmi radiofonici per la RAI e Radio Deejay con le storie di Deegiallo, è autore di numerosi videoclip musicali, tra cui “Angeli” di Vasco Rossi per la regia di Roman Polansky e “Alta marea” di Antonello Venditti dove appare una giovanissima Angelina Jolie.

È autore di teatro (Via delle Oche, Tenco a tempo di tango, Pasolini un mistero italiano e diverse commedie a sfondo medioevale) e di fumetti (Dylan Dog, Cornelio delitti d’autore, Coliandro).
Ha ricevuto diversi premi e riconoscimenti nazionali e internazionali per l’attività letteraria (tra cui il Premio Franco Fedeli per il romanzo giallo, assegnato da una giuria di appartenenti alle Forze dell’Ordine e il Premio Manzoni alla carriera per il romanzo storico) e per l’attività di indagine e ricerca storica e civile (tra cui quelli intitolati a grandi giornalisti come Maro Francese, Giuseppe Fava e Ilaria Alpi).

Dal 2017 è presidente delle Fondazione Emiliano-Romagnola per le Vittime dei Reati.


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Doc. G

Il mio nome e' Doc. G , torinese di 36 anni lettore compulsivo di fumetti di quasi ogni genere (manga, italiano, comics) ma che ha una passione irrefrenabile per Spider-Man! Chi è il miglior Spider-Man per me? Chiunque ne indossi il costume.

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