Walter Leoni, un babbo fumettista tra ansie e (dolci) risate

Nella cornice della splendida Piazza Napoleone, durante le giornate di Lucca Comics and Games 2024, il sempre più bravo Walter Leoni ci ha raccontato un po’ del suo ultimo bambino cartaceo, “Cresci piano pensa a me!”, raccolta di strisce edita da Beccogiallo. 

intervista walter leoni

Walter Leoni è quell’uomo che mi ha fatto scoprire una genitorialità allegra e intensa con Cresci piano pensa a me!, raccolta di strisce edita da Beccogiallo, che ho recensito praticamente piegata in due dal ridere. Durante Lucca Comics & Games 2024 l’ho incontrato – o meglio, ho stalkerato gli amici della casa editrice per incontrarlo – e ho potuto fargli un po’ di domande sul libro, sulla paternità, sullo scorrere del tempo. Ne è venuta fuori una chiacchierata piacevolissima, che mi ha fatto riflettere molto sul tipo di genitore che mi piacerebbe essere, e sul tipo di traumi che inevitabilmente genererò alla mia prole. Nell’attesa, ne approfitto per recuperare qualche lettura venuta fuori dalla nostra intervista; voi, intanto, godetevela!


Cresci piano pensa a me! : Leoni, Walter: Amazon.it: Libri

MegaNerd incontra Walter Leoni a Lucca Comics & Games 2024

Ciao Walter, inanzitutto grazie: sono contentissima di averti qui perché mi sono divertita un sacco con le tue strisce, le ho fatte leggere e ho detto a tutti “comprate, leggete!”. Ho tanti amici papà e ho detto loro: “Guarda qui e fammi sapere se ti rivedi in questa cosa”, perché io ci ho rivisto la mamma che potrei essere. Com’è nata l’idea di raccontare la tua esperienza di genitore in quel modo lì?

Guarda, se c’è una cosa che avevo sempre detestato – prima di farla -, erano quegli artisti, musicisti, che appena gli nasceva un figlio scrivevano la canzone dedicata al bambino, o scrittori che gli scrivevano una poesia: era una cosa zuccherosa, fastidiosa… E l’ho fatta immediatamente. [ridiamo]

Di solito ti dicono: “Ti nasce un bimbo e ti si apre una finestra di consapevolezza nuova, le tue priorità si ribaltano, il tuo sguardo sul mondo cambia”. Era una cosa che mi sembrava un po’ un’esagerazione… E invece mi è successo esattamente quello. Quindi, abbandonando ogni remora morale, ogni pudore, ogni vergogna, ho fatto quello che mi sentivo giusto fare: mi sono preso cura di mio figlio.

Siccome mia moglie fa un lavoro serio, io invece faccio un lavoro che mi permette di organizzarmi con il tempo, ci siamo seduti a tavolino, abbiamo valutato un po’ le entrate di entrambi e le prospettive di carriera. È stata una riunione che è durata molto poco [ride] e abbiamo stabilito rapidamente che io mi sarei occupato del bambino e lei avrebbe continuato con il suo lavoro.

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Così, dal terzo mese della paternità, mi sono occupato di mio figlio, che all’epoca era piccino. I bimbi, più son piccini più occupano spazio. Occupano stanze, portabagagli delle macchine – a volte non basta e devi mettere anche il portapacchi -, e occupano anche tutto lo spazio mentale, perché ti riempiono l’immaginario. Tutti i miei colori a bassa saturazione, elegantemente abbinati, sono stati sostituiti da quest’orgia di colori primari e plasticosi.

Anche tutto il mio immaginario di letture è stato riempito da Il popò di Ippoppò, mentreTwinkle Twinkle Little Star ha sostituito Vinicio Capossela, ed è andata sempre peggio. Alla fine, per creare strisce attingi al tuo immaginario, e quando è zeppo di quello, peschi da lì; è stata una forma di autodifesa, per sopravvivere.

Ho iniziato a raccontare quella fase della mia vita nelle mie strisce, pensando che sarebbe durata poco, ma poi il tempo è passato e ho continuato. Con il Covid, mi sono ritrovato di nuovo a casa con mio figlio quattrene da intrattenere da mattina a sera, mentre mia moglie lavorava da remoto. A quel punto, ho ritirato i remi in barca e mi sono dedicato a lui. E lì di nuovo: in tre mesi di lockdown, l’ho quasi trasformato in un bimbo degli anni ’70!

Naturalmente, lo intrattenevo con il mio immaginario; e quindi, al primo carnevale disponibile si è voluto travestire da Indiana Jones, tra la costernazione dei suoi compagni – che non sapevano chi fosse -, delle maestre e di parecchi degli altri genitori; cantava pure Furia, cavallo del west.

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All’inizio sono stato fiero, poi un pochino allarmato perché ho pensato che fosse il caso di creare anche uno scambio; e quindi ora parecchie cose gliele racconto io e parecchie me le racconta lui. Sai, quando ero piccolo io, il rapporto con un genitore – con un padre, soprattutto – cominciavi ad averlo quando tu ti avvicinavi alle cose che piacevano a lui.

Io invece volevo fare dei passi nella sua direzione, volevo entrare nel suo immaginario, così che avessimo un immaginario condiviso al quale contribuissimo entrambi. Poi, come emerge dai fumetti, il mio immaginario un po’ datato molto spesso ne esce con le ossa rotte. Mi rendo conto che tante cose con cui sono cresciuto io non sono più adatte per crescere un bambino; parecchie hanno fatto il loro tempo.

Quindi il racconto è anche uno scontro di immaginari: il mio, pop, fatto di fumetti, cinema, musica e della mia formazione di bimbo di anni ’70, e quello che invece cerco di insegnare a mio figlio. Mi sono rimangiato un sacco di cose, ho dovuto rimettere in discussione tutto quanto.

Ho letto un’altra tua intervista in cui dicevi che la paternità è stata particolarmente sfidante anche perché sei diventato papà tardi…

Sì, avevo quarant’anni e quindi ho dovuto fare i conti anche col fatto che non mi potevo permettere di invecchiare così rapidamente come avevo messo in conto; per me sarei invecchiato tranquillamente. Invece no, sono dovuto ringiovanire, sono dovuto tornare ai cartoni animati, ai Playmobil, ai LEGO contro la mia volontà, perché io da piccolo non ci giocavo e invece mio figlio li adora.

E ho dovuto ritirare fuori un vasto armamentario che consideravo oramai sepolto; quindi viva Peppa Pig! Che poi ti dirò: a parte che è un bel cartone animato, fatto bene per i bambini, ma poi Papà Pig c’ha una sua dignità, perché rispetto agli altri papà c‘è in tutte le puntate. Questo gli fa onore.

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Tu hai sempre avuto sguardo ironico, le tue vignette sono state sempre satiriche, affilate, divertenti. Ti è mai successo qualcosa che ti ha fatto dire: “Questo è troppo assurdo anche per le mie vignette”?

Mi succede alcune volte, che conoscendo come ragionano mio figlio e mia moglie, faccio delle vignette su episodi che non sono realmente accaduti. Però ecco, conoscendo i caratteri, immagino le reazioni di mio figlio, di mia moglie e mia in determinate situazioni. A volte mi è capitato che quelle situazioni poi si verificassero effettivamente, ed esattamente come le avevo immaginate, con le reazioni che avevo ipotizzato: le chiamo vignette autoavveranti, ma è un grande potere che non so gestire ancora con piena consapevolezza. Effettivamente è rischiosa come cosa.

Poi, chiaramente ci sono cose che posso raccontare cose e cose che non posso o non voglio raccontare: parlando di persone che esistono nella realtà, non le posso trattare come personaggi di fantasia. Devo fare sempre cose in linea con il loro carattere, e non mi va di forzarle come se fossero personaggi immaginari.

Quindi effettivamente le cose traggono ispirazione dalla realtà che mi succede tutti i giorni, con i relativi limiti, perché sono persone che devo trattare con rispetto.

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C’è un’opera che ti piacerebbe aver ideato o disegnato?

Dal punto di vista economico, direi parecchie [ridiamo]. Di recente ho letto Hilda e il troll di Luke Pearson con mio figlio. Sono dei racconti che parlano di una bambina e del suo rapporto con un troll, e l’ho trovata adatto sia a bambini che ad adulti, colorato in modo splendido, e ne hanno tratto anche un cartone animato bellissimo, molto raffinato.

Poi, tra le opere del passato, sicuramente Mafalda, di Quino: ci sono cresciuto e quelle lì sono sempre stato il mio obiettivo. Un’altra cosa che ti posso dire è che uno dei pochi autori per cui ho provato invidia, nel senso di dire “faccio le cose come le faccio perché non mi riesce di farle come lui” è stato Tuono Pettinato.

Purtroppo, non l’ho conosciuto personalmente – l’ho incontrato solo una volta – ma l’ho letto con passione e ne ho tratto ispirazione. Nonostante fosse poco più giovane di me, alcune cose che ha scritto mi hanno aperto delle finestre di possibilità su come dosare umorismo e tenerezza, e non necessariamente fare cose facili.

Per me è stato un maestro: un po’ mi imbarazza anche dirlo, però è così. La raccolta Apocalypso contiene una serie di situazioni che ho riutilizzato in mille altre circostanze, magari non rendendomene neppure conto. Era uno dei pochi che mi faceva veramente invidia, di quella benevola, perché non facevamo le stesse cose e io non sarei in grado di farle come lui, ma mi sarebbe piaciuto.

ITALIAN COMICS -Festa del papà…leghista

Il Walter di oggi cosa direbbe al Walter ventenne?

Gli direi: “Non andrà come pensi, ma non aver paura: può anche andare meglio. Prenderai strade che non stai ipotizzando in questo momento, ma starai bene”. A vent’anni non pensavo di fare il fumettista, né puntavo a farlo. Mi ci sono ritrovato molto dopo ed è stato strano, perché ho realizzato a trent’anni il sogno che avevo a dodici; solo che in mezzo ne avevo fatti altri.

Però non mi ero mai concesso il lusso di pensare che quello potesse diventare il mio lavoro; è stata una bella sorpresa. Tra mille difficoltà, la cosa migliore che mi ha dato è stata la possibilità di organizzarmi e poter crescere con mio figlio. Nonostante i difetti del mio mestiere, questo è sicuramente il lato positivo che devo riconoscergli.

Grazie Walter, sia per il tuo tempo, che per averci regalato un modo diverso, vero e divertentissimo di guardare alla paternità. Ti abbraccio forte e spero di rivederti presto su MegaNerd!


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Claire Bender

Vive con un dodo immaginario e un Jack Russell reale, che di recente si è scoperto essere Sith. Grifondoro suo malgrado, non è mai guarita dagli anni '80. Accumula libri che non riesce a leggere, compra ancora i dvd e non guarda horror perché c'ha paura. MacGyver e Nonna Papera sono i suoi maestri di vita.

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