Vincitore del premio Oscar come miglior film di animazione 2003, un viaggio attraverso un mondo magico, una vasta gamma di colori e una quantità infinita di spiriti ambigui: ecco a voi La Città Incantata
Il castello errante di Howl e La città incantata sono senza dubbio le opere più famose, e per molti anche le più belle, dello Studio Ghibli. A conferma di ciò il fatto che al secondo sia andato l’unico premio Oscar mai assegnato ad un anime e l’Orso d’oro al Festival di Berlino nel 2002.
La città incantata è liberamente ispirato al romanzo fantastico Il meraviglioso paese oltre la nebbia della scrittrice Sachiko Kashiwaba – edito in Italia dalla Kappalab come La città incantata al di là delle nebbie – e nell’anno della sua uscita incassò ben 330 milioni di dollari al box office, guadagnando ad oggi 30,4 miliardi di yen (primo nella storia dell’animazione giapponese).
Non è un segreto che i temi più cari al Maestro Miyazaki siano l’infanzia, i sogni, l’inquinamento, la fantasia, la natura e il cibo. In particolar modo in questo lungometraggio i personaggi hanno un rapporto simbolico con le cibarie nelle quali s’imbattono, potremmo dire che sono in qualche modo caratterizzati proprio da ciò che mangiano, ma ripercorriamo prima la trama.
Chihiro è un bambina di 10 anni, capricciosa e testarda, che sta traslocando con i genitori dalla sua vecchia casa. Durante il viaggio si imbatte con loro in una sorta di mondo segreto, pieno di cibi deliziosi e numerose leccornie: la vista di tutto quel ben di Dio attira come le api al miele i genitori della piccola, che cominciano a mangiare tutto a dismisura senza nemmeno preoccuparsi di dover chiedere il permesso a qualcuno.
Il cibo è rappresentato a regola d’arte da Miyazaki: pollo, ravioli e montagne di dolcetti, tanto che ci sembra quasi comprensibile tutta l’ingordigia dei due, finché non scopriamo che quel cibo era in realtà riservato a degli Dei antichi, che per punirli decideranno di trasformarli in maiali. A questo punto Chihiro non ha scelta, è una ragazzina coraggiosa e decide di trovare il modo di salvare i suoi genitori.
Inizia così il suo viaggio attraverso quel mondo magico e misterioso, abitato da antichi spiriti detti yokai.
Mentre Chihiro s’incammina tra le strade di questo posto misterioso, iniziano ad accadere cose alcquanto strane: gli yokai cominciano ad affollare le vie e la bambina si rende conto di star lentamente diventando invisibile. In suo aiuto arriva Haku, un ragazzino che le fa mangiare una bacca proveniente dal mondo magico, grazie alla quale il corpo di Chihiro diventa di nuovo concreto e tangibile, permettendole così di restare in vita all’interno della nuova città. Haku inoltre le svela l’esistenza del dominio della strega Yubaba che regna su tutto il complesso e le spiega che l’unico modo per non farsi catturare dai suoi uomini è quello di trovarsi un lavoro all’interno del suo impianto.
Grazie all’aiuto di Kamagi e di Lin, suoi nuovi amici, la bambina riesce ad ottenere udienza presso la strega ed un contratto di lavoro, che la priva però del suo vero nome, ribattezzandola come Sen. Questo trucco viene usato dalla maga poiché la mancanza di nome rende i suoi sottoposti incapaci di abbandonare la città.
Durante la sua permanenza, Sen incontra innumerevoli personaggi emblematici, primo tra tutti Senza-volto, il suo primo cliente, che avrebbe dovuto rappresentare uno spirito del cattivo odore, ma che una volta pulito a fondo dalla bambina si scopre non essere altro che lo spirito di un fiume inquinato. Lo stesso senza-volto però si trasformerà ben presto nel simbolo dell’ingordigia per eccellenza, cominciando a tentare tutti gli inservienti con dell’oro in cambio di enormi quantità di cibo, fino a diventare gigante.
Chihiro sarà man mano messa a dura prova: dovrà ritrovare sé stessa per non essere inglobata dalle migliaia di esseri che incontrerà lungo il viaggio, scoprire il segreto di Yubaba e soprattutto salvare Haku e i suoi genitori.
Ogni fotogramma che compone la pellicola è abitato da tantissime creature differenti, ogni dettaglio è curato in maniera minuziosa e il lavoro fatto a mano risalta in ogni angolo.
Una caratteristica dei film di Miyazaki è il tempo che ogni sequenza ci concede per respirare e vivere i mondi da lui creati. Si tratta di scene in cui non accade quasi nulla, come dei vuoti lasciati liberamente all’interno della storia, senza l’obbligo di creare una pausa nella trama.
“Le persone che fanno i film hanno paura del silenzio, vogliono evitarlo” ha spiegato il regista “sono preoccupate che gli spettatori ne siano annoiati. Ma il fatto che l’80% di un film sia pieno di azione non significa che i ragazzini ti grazieranno della loro attenzione. Ciò che conta sono le emozioni soggiacenti – quelle non ti sfuggono.”
Proprio questi momenti statici sono diventati iconici ne La città incantata: le tavole imbandite, le stanze con le vasche termali, Chihiro fuori dalla sua camera che guarda il mare e sempre lei con i suoi compagni di viaggio in treno e lo sguardo perso nel vuoto.
Durante il film ci sembra quasi di sentire l’odore del cibo, probabilmente perché oltre a creare uno spettacolo visivo è usato anche come strumento di conforto. Uno dei messaggi che vengono trasmessi molto chiaramente è quello che la condivisione del cibo, specialmente con la famiglia e gli amici, sia la chiave della serenità. Il momento in cui la protagonista si trova a tavola con i suoi amici e i loro discorsi sono accompagnati da biscotti, bevande calde e dolcetti, è sicuramente il più rassicurante del film.
La città incantata è diventato con gli anni un cult ed essendo una vera e propria fabbrica di sogni, col tempo ha ricevuto molteplici interpretazioni. La più comune è quella che paragona Chihiro ad Alice nel paese delle meraviglie, mentre un’altra vede La città incantata come rappresentazione del Giappone antico, quello che si ribella al progressismo moderno (rappresentato dalla realtà di Chihiro e dei suoi genitori). Nel secondo caso la morale consisterebbe nell’importanza di imparare a far coesistere presente e passato senza che nessuno dei due offuschi i valori dell’altro. Una terza interpretazione vede il film addirittura come un’allegoria della prostituzione infantile, in cui i bagni pubblici presenti nella pellicola assumono connotazioni molto più sinistre, visione probabilmente dovuta al fatto che Miyazaki una volta dichiarò che la società giapponese fosse diventata un’industria del sesso.
Qualcuno vi scorge anche un duello tra forze opposte, il capitalismo e la spiritualità messi in risalto l’uno contro l’altro. Tempo fa siamo venuti a conoscenza di un tweet in cui veniva chiesto allo Studio Ghibli dell’importanza della trasformazione in maiali dei genitori di Chihiro. Nella risposta lo Studio ha dichiarato che la scena è servita a rappresentare il modo in cui le persone sono diventate maiali durante la bolla economica giapponese degli anni 80, seguita dal crollo del 1991. Ogni volta che qualcuno si comporta come un maiale viene innescato un processo per cui gradualmente otterrà anche “il corpo e l’anima” del maiale. Metafora vera non solo nel mondo della fantasia.
La morale di fondo che dobbiamo cogliere è l’importanza dell’equilibrio. Non ci sono personaggi maligni ma solo azioni guidate da intenzioni negative, l’antitesi dell’equilibrio è rappresentata dall’eccesso. Ciò a cui andiamo incontro cercando di ottenere sempre di più ce lo dimostrano fin da subito “i maiali”, ingozzandosi: dall’ingordigia e dall’avarizia non deriva mai nulla di buono.