La Profezia dell’Armadillo – Recensione

Emanuele Scaringi, debuttante alla regia, porta sul grande schermo il primo libro di Zerocalcare: La Profezia dell’Armadillo

Non era facile.
Emanuele Scaringi, per il suo debutto alla regia ha scelto di buttarsi in un’avventura in cui probabilmente aveva più da perdere che da guadagnare. Perché la popolarità di Zerocalcare è alle stelle, perché il libro d’esordio dell’autore romano è rimasto nel cuore a molti suoi fan, perché il tema trattato non era facile da prendere di petto. Ultima cosa, ma non certo per importanza, bisogna considerare che se decidi di trasformare un fumetto in un film, avrai davanti a te una strada tutta in salita, in cui non ti verrà perdonato niente, proprio per i motivi di cui sopra.

Mentre mi recavo in sala per assistere alla prima dello spettacolo, avevo tutti questi pensieri in testa. Uniti soprattutto dal fatto che gran parte della stampa di settore, che aveva già avuto modo di vedere il film, non era stata certo tenera nelle recensioni. Ero pervaso da un presentimento pessimo, quasi rassegnato a vedere la trasposizione di un gran bel libro maltrattata e fraintesa.

Avevo soprattutto paura che Zerocalcare non fosse capito, non fosse arrivato al cuore di chi questo film doveva realizzarlo. Non lo so, non era davvero facile.
Finiscono i mille trailer, buio in sala: La Profezia dell’Armadillo finalmente può cominciare.

Il film si apre e si chiude con una piccola sequenza animata. Idea carina, visto che è tratto da un fumetto, ma la storia che ci viene raccontata in questa manciata di minuti non c’entra assolutamente niente con il resto del film. Però apprezzo l’originalità, si vede che a monte c’era la voglia di far bene, soprattutto di strizzare l’occhio ai fan dell’autore. Vengono citati spezzoni di altri libri, aneddoti di vita vera vissuta da Zerocalcare (Genova, una cicatrice indelebile nella sua storia personale). Però non è lui a firmare questa sequenza e si vede, con tutto il rispetto per chi l’ha realizzata.
Probabilmente se almeno questa piccola porzione di film l’avesse fatta lui, in questo momento ci sarebbe una considerazione generale più alta di quest’opera, chissà.

Arriviamo poi alla pellicola vera e propria, che cerca in tutti i modi di seguire il più fedelmente possibile la storia principale raccontata in un libro pieno d’intermezzi, in cui vediamo il protagonista affrontare una delle sfide più dure di tutta la sua vita: elaborare il lutto per una sua amica, sconfitta da una maledetta anoressia.
Sia il fumetto che il film vertono molto su questo. Per Zero non è facile accettare che una persona per lui così speciale (il suo primo amore, oltretutto mai dichiarato) se ne sia andata così. All’improvviso, così giovane.

Quando accade una cosa del genere con chi te la prendi?
Bella domanda.

Il film non ha la presunzione di raccontare chissà quale disagio giovanile, ma – proprio come il fumetto – cerca semplicemente di farci capire come un ragazzo che quotidianamente si barcamena tra lavori più precari che saltuari, arrivi ad accettare la scomparsa di una sua amica.


Camille.
Una ragazza che probabilmente abbiamo incontrato tutti, nella nostra adolescenza.
Una bellezza non convenzionale, intraprendente, simpatica. Fuori dagli schemi.
Una ragazza per cui si  può tranquillamente perdere la testa, perché se non prendi le sbandate a quell’età, non le prendi più. Il piccolo Zero non sfugge a questa regola e infatti eccolo lì che s’inventa un corso di cultura giapponese pur di prendere tutti i giorni lo stesso tram di Camille e scambiarci qualche parola in più.

Eppure Zero non ha mai confessato il suo amore.
Perché a quell’età è difficile dire tutto, anche le cose più semplici.

Insieme a Zero conosciamo la rappresentazione della sua coscienza, l’armadillo: una presenza tanto ingombrante e fondamentale nel fumetto, quanto totalmente inutile in questo film.
Sul serio, non serve a niente. Ed è un peccato, perché se nel libro tramite i dialoghi tra Zero e l’armadillo conosciamo ancor di più i protagonisti ed il loro vissuto, qui si ha quasi la sensazione di ridicolo.
L’armadillo si vede poco ed è molto meno incisivo, in una situazione in cui dovrebbe essere una sorta di “grillo parlante” quasi onnipresente. Paradossalmente manca proprio il dialogo in cui l’armadillo fa la profezia che poi dà il titolo all’opera.

Questa è una grande pecca del film, che riesce comunque a salvarsi grazie all’ottima alchimia tra i due protagonisti, Simone Liberati Pietro Castellitto, perfettamente calati nei ruoli di Zero e Secco. Peccato che la stessa cosa non si possa dire dei bambini che interpretano loro da giovani: non proprio disinvolti davanti alla macchina da presa, mettiamola così.

La storia invece regge. Ha qualche piccola forzatura, qualche sbavatura di troppo, ma nel complesso il film è assolutamente godibile, che riesce a strappare anche qualche sorriso (date un Oscar ad Adriano Panatta).
Zero non sa come vivere questo lutto, ha una tempesta di emozioni dentro di sé. Questo esce fuori, anche se in un modo completamente diverso rispetto al fumetto.

Alla fine del film mi rendo conto che è inutile fare parallelismi forzati, trovare per forza punti di contatto. Ci sono, certo (in alcuni momenti vengono persino recitate esattamente gli stessi dialoghi del fumetto, i personaggi sono vestiti esattamente come le loro controparti cartacee, la musica di sottofondo possiamo finalmente sentirla), ma è un’altra cosa. Fondamentalmente è la stessa storia, ma raccontata con altri occhi e con una sensibilità diversa da quella dell’autore originale. Poi che sia un bene o un male lo deciderete voi in base alle vostre sensazioni, ma certamente vi consiglio di provare entrambe le versioni.

Soprattutto perché a un certo punto film e fumetto vanno in due direzioni opposte, con il primo che vuole farci una morale che non solo nel fumetto non c’è, ma che probabilmente non appartiene all’autore (il passaggio all’età adulta coincide con la morte della fantasia? Ma dai, su…), mentre il secondo cerca anzi di ritrovare – o di ricordare – quella leggerezza di cui parlava Camille in uno dei momenti chiave della storia.

Insomma, sono due cose diverse. Si somigliano tanto, certo, ma non sono la stessa cosa.
E probabilmente è meglio così. Certamente non è la tragedia che volevano farci credere, anzi. È un film che ce la mette tutta e almeno una possibilità se la merita. Basta non paragonarlo troppo al fumetto, basta prenderlo come un’altra cosa. Un cugino alla lontana, più che un fratello, mettiamola così.

La Profezia dell’Armadillo è un film imperfetto, che andrebbe giudicato più come prodotto a sé stante che come derivato di un fumetto. Intrattiene quel tanto che basta, cade su alcuni punti ma riesce a riprendersi in altri momenti. No, non ha lo sguardo di Zerocalcare, ma potrebbe invogliare lo spettatore a recuperare il fumetto.
E chissà, magari potrebbe persino riuscire nell’impresa di strappare un sorriso a chi l’ha giudicato solo dal trailer, sperando in una copia carbone del libro.

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Mr. Kent

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Appassionato di fumetti, curioso per natura, attratto irrimediabilmente da cose che il resto del mondo considera inutili o senza senso. Sono il direttore di MegaNerd e me ne vanto.

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