In occasione dell’uscita de La Sindrome di Leonardo, la redazione di MegaNerd è orgogliosa di incontrarne l’autore, Maurizio Rosenzweig, virtuoso del disegno e celebrato narratore dalla colta ironia, che ha all’attivo collaborazioni con Dark Horse, Bonelli, Mondadori, Panini, Star Comics, Mucchio Selvaggio, Alta Fedeltà, Grifo Edizioni, DeAgostini, Rizzoli, Aurea e Sony Edizioni.
Ciao, Maurizio! Benvenuto su MegaNerd e grazie di aver accettato di fare una chiacchierata con noi.
Dunque, la tua carriera di fumettista è cominciata molto presto, da adolescente, possiamo affermare. Oltre la passione, avevi già chiaro cosa volessi fare e dove dirigerti?
Ehi. Grazie dell’invito e ben trovati a tutti.
Sì… devo dire che in modo molto istintivo ho sempre disegnato e scritto fumetti. Mio padre mi regalava ogni giorno fumetti di Superman e dell’Uomo Ragno e ho imparato a leggere da solo molto presto. Attorno ai 5 anni. Questo ha facilitato molto la mia passione per i fumetti. Li ho sempre amati e li ho sempre trovati il modo più efficace per fuggire la realtà, cosa che protegge il mio equilibrio mentale anche adesso. Ne leggo di tutti i tipi e mi sembrano tutti sempre magici. Beh… certi no. Non posso fare nomi, ma ce ne sono alcuni che faccio fatica anche a toccare e che per me non sono fumetti ma mini lapidi tascabili. Però te li dico a voce e quando non ci sente nessuno.
Naturalmente la mia passione per Superman rimane una costante. Credo sia il personaggio più potente e complesso mai inventato.
Sono autodidatta e mio padre è stato mio complice da sempre. Non ho mai pensato di potere fare altro. Forse il veterinario. Ecco. Quello lo avrei fatto con piacere.
Quando ero ragazzo non era facile come adesso entrare in contatto con altri autori e disegnatori. Dovevi andare alle Fiere, che non erano così tante, mettere da parte la timidezza e scocciare quante più persone potevi.
Se volevi lavorare per l’America dovevi andare a New York con il tuo book.
Insomma: se non era una passione quasi in senso letterale, non andavi da nessuna parte.
Adesso è una meraviglia, rispetto ad allora. Ci sono ancora meno difficoltà. Puoi davvero solo preoccuparti di ottenere quello che desideri dal tuo disegno. Alla fine qualcuno lo vede. È splendido. Forse l’unica controindicazione è che i ragazzi sono meno comunicativi fuori dai loro habitat. Ma probabilmente va bene lo stesso.
Non c’è una sola strada per arrivare dove si vuole e ognuno deve trovare la propria.
La Sindrome di Leonardo, per Feltrinelli, è il tuo nuovo lavoro come autore completo. Un fumetto complesso, che esterna molte delle problematiche legate alle nona arte. Puoi parlarci del lavoro di produzione dell’albo? Quanto tempo ti ha portato via la sua realizzazione?
Ho lavorato al libro per un anno. È stato un anno interessante perché lavoravo al libro da mezzanotte alle 3 di mattina, dato che durante il giorno avevo le altre committenze da accontentare. È stato strano perché la mattina dopo ritrovavo vignette che non mi ricordavo di avere impostato o balloon che non ricordavo di avere scritto.
Quel libro è stato una specie di viaggio ipnagogico.
Avevo scritto una scaletta di come volevo che la storia procedesse. Poi ho fatto tutte le matite. La mia compagna (che scrive anche lei, ma a livelli molto più alti dei miei) mi ha aiutato a mantenere il treno sui binari. Una volta letterate e chinate le pagine, la mia super editor di Feltrinelli ha sistemato tutto per la stampa. Il lavoro dell’editor è fondamentale, e anche per il mio libro è stato salvifico perché io sono uno scrittore emotivo e mi perdo molti pezzi di quello che scrivo. A volte cambio i nomi dei personaggi o lascio in sospeso dei concetti, cambio registro senza avvisare nemmeno me stesso.
L’editor si assicura che tutto stia in piedi.
Il fumetto racconta dello sconforto dovuto alla perdita di ispirazione. Quanto c’è di te nel protagonista Leonardo? E come affronti questo genere di situazioni?
Leonardo è un Totem che contiene parte della mia esperienza, ma anche di quella dei miei amici e colleghi che negli anni mi hanno raccontato le loro difficoltà e i loro timori nel fare questo mestiere. Infatti la questione del tempo che passa, o quella di non avere storie da raccontare è abbastanza comune per chi scrive. Leonardo è un po’ tutti noi assieme.
Quando mi trovo fra le zanne di un blocco cerco di non buttarmi a testa bassa contro questi giganteschi carnivori, ma di aggirarli elegantemente.
Faccio altro. Leggo, guardo film. Mi alleno. Cerco di staccare la testa dalla cementificazione di ansia che queste situazioni inevitabilmente creano. Poi le idee arrivano. Fanno il loro giro, ma poi arrivano. Chiaramente in storie di questo tipo la componente autobiografica deve avere un bel peso, altrimenti non sono genuine. Devi farti coinvolgere. È il prezzo da pagare.
Io avrò buttato via 6, 7 inizi di libri. Forse 8.
Di uno ho 80 pagine finite. E sono lì. Abbandonate.
Va così e credo sia anche da accettare, questa cosa.
Visto il tema della tua opera, ti senti più sceneggiatore o disegnatore? Come convivono queste due nature dentro di te?
Io mi sento entrambi. Magari non uno sceneggiatore classico, perché non credo riuscirei a scrivere certe storie che mi capita di leggere e che sono un manuale di solidità. Ma per le mie storie mi vedo bene. E lo scrivo con umiltà, anche se non sembra dal tono. Il fatto è che per me raccontare storie a fumetti è sempre stato connaturato al mio costante lavoro di scoperta del Mondo e alla mia crescita personale. Le storie negli anni sono cambiate con me; dalle avventure rocambolesche di Davide Golia, a quelle più oniriche di Zigo Stella fino a quelle genitoriali di Leonardo.
Nel tempo ho anche imparato a lavorare sulle sceneggiature scritte da altri, ma ammetto che le soffro un po’. Ho sempre personaggi miei che sgomitano per uscire. Posti da inventare che possono diventare vignette. Poi per lavoro lo si fa. Ma credo di aver lavorato solo con due sceneggiatori che mi piaceva quello che avevano in testa. Credo sia solo un problema di carattere, il mio. Non di qualità come scrittore né tantomeno di una colta esigenza di lettore. Ecco. Diciamo che è un capriccio.
Quali sono stati, e quali sono ancora, i tuoi punti di riferimento per il tuo percorso artistico?
Non lo so bene, perché come ti dicevo, sono cambiati tanto andando avanti con gli anni e cerco sempre stimoli perché di mio sono molto curioso. Devo dire che ci sono dei disegnatori che guardo sempre con ammirazione e devozione che sono Buzzelli, De Luca, Crumb, Blutch. Ma poi tanti ne scopro anche adesso fra i miei colleghi che mi sembra trovino soluzioni al disegno che sono illuminanti. Per il resto, guardo molti film. Compro ancora i dvd. Ne ho 8.700 e ne compro ancora. E lì ogni occasione è buona per aggiungere un ulteriore mattone a quel palazzo che è il mio immaginario. In Centro a Milano. Anche se vorrei vivere vicino al mare.
Sei solito lavorare su carta oppure sei passato al digitale?
Carta. Con la Cintiq coloro soltanto. E la uso come se fossero pennarelli, perché non mi entrano in testa le finezze tecniche che il mezzo mi consentirebbe se non avessi i sassi nel cervello.
Mi piace ancora il contatto con la carta, lo sporco sul tavolo, le macchie di china sulle mani. Ti confesso che quando vedo i tavoli di certi colleghi tutti puliti, con la Cintiq lì ferma che li guarda senza macchie o trucioli di gomma, mozzi di matita e boccette di china e straccetti vari mi viene un po’ di tristezza. Si può dire? È come una palestra di boxe che non puzza di fatica. C’è qualcosa che non va.
C’è un progetto in particolare (che sia personale o commissionato) a cui ti senti più legato e di cui ti senti soddisfatto?
Amo molto Zigo Stella perché mi ricordo che mentre ci lavoravo ero felice. È un libro che ho disegnato e scritto senza farmi nessun problema di maniera sull’uso del linguaggio del fumetto.
Ho trovato anche un fantastico editore che mi ha detto di aprire le pagine in tre, in quattro, in verticale. Senza limiti di griglia.
Avere un editore che ti da così tanta fiducia e complicità è raro e prezioso.
Ma poi sono legato a tutti i libri di Davide Golia perché sono figli della mia vita e adesso Leonardo.
Leonardo è un libro molto importante per me perché ha tanti significati; è stata una sorta di rinascita, di rivalsa su momenti difficili e faticosi, di scoperta di nuove possibilità narrative. Leonardo è forse il mio personaggio più complesso perché non è una mia proiezione come era Davide Golia, ma è l’accorpamento di tante persone e tanti momenti. Non è stato semplice farlo vivere. Quando riguardo gli studi che ho fatto per trovare le sue fattezze mi sento come Victor Frankenstein. Alla fine sono riuscito a fare una bella fusione fra Gérard Depardieu e Bonvi da ragazzo che mi è entrata in testa e disegnarlo è stato sempre più semplice, pagina dopo pagina.
Il suo corpo muscoloso è perché sono convinto che per fare i fumetti si debba avere la schiena forte.
Hai qualche aneddoto particolare avvenuto nel corso della tua carriera?
Sarebbero troppi e alcuni imbarazzanti da raccontare.
Per Zigo Stella, che gli mancava il finale e non sapevo dove trovarlo, io e l’editore siamo andati a fare una camminata in montagna e fra marmotte e mucche gigantesche in piena transumanza, lui ha messo le idee assieme e ha trovato il finale che io non avevo. Ho pensato che era così che avrei sempre voluto lavorare ai libri. Amo quell’uomo.
Devo dire che alla fiere mi sono sempre divertito parecchio.
Adesso ne faccio meno perché sono stanco e le energie che mi rimangono le voglio tenere per il mio bambino. Che va a batterie solari e non dorme mai.
Fuori dai fumetti mi viene in mente un bel pomeriggio passato a Milano con Gene Simmons, il bassista dei Kiss che era qui a presentare il disco solista che aveva fatto con Dylan e il figlio di Zappa.
Ascolto i Kiss da quando avevo 10 anni. Incontrare un mito di quel peso è sempre un rischio; invece è stato fantastico.
Quando l’ho abbracciato per salutarlo sono certo che temeva che non mi staccassi più.
Ultimamente si parla molto di AI, programmi rendendo l’arte accessibile a tutti attraverso la semplice digitazione di parole chiave. Molti artisti sono insorti, anche per l’uso che questi programmi fanno di determinate immagini senza averne l’autorizzazione. Tu, invece, come vedi la cosa?
Come tutti non mi piace la disumanizzazione di questo mestiere, ma non credo di poter fare qualcosa per ostacolare o anche solo rallentare questo spaventoso e straordinario balzo in avanti. Spero solo che riescano a usarla con buon senso e rispetto. Di fatto è una cosa meravigliosa che usata male sarebbe davvero sprecata.
Secondo uno studio condotto da AIE, in Italia 9 milioni di persone leggono fumetti, eppure molti fumettisti fanno fatica ad arrivare a fine mese o ad inserirsi nel mercato. Alcuni editori sono spariti, e nascono sempre più realtà indipendenti, mentre altri autori preferiscono autoprodursi. Come percepisci questi cambiamenti?
Per raccontarti quello che penso ci vorrebbero pagine e pagine di sproloqui e teorie.
Dico solo che le autoproduzioni sono anche occasioni e spazio per qualche vero talento di esprimersi senza le manette del marketing.
Il marketing è stato il male supremo.
Che consigli daresti a chi vuole intraprendere questo mestiere?
Anni fa avrei suggerito di stare al tavolo a disegnare, disegnare, disegnare e studiare. Adesso non lo so più.
Perché non conosco tutti i nomi di questi straordinari programmi per disegnare che facilitano e rendono tutto più scorrevole e meno spaventoso. Credo valga sempre come consiglio quello di leggere tanto, per quanto riguarda la scrittura. Che se si vuole imparare a fare i fumetti bisogna leggerne tanti. Sul disegno non sono più qualificato. Ahimè.
Quando insegnavo dicevo che se vuoi imparare a disegnare devi imparare a guardare.
Dai. Lasciamo questo consiglio qui a chi ci legge e vediamo se serve a qualcuno.
Siamo giunti alla fine, ma prima di salutarti, vorremmo chiederti: cosa c’è nel futuro di Maurizio Rosenzweig?
Ancora libri con storie mie. Due mini serie con Image. Una roba Bonelli scritta da me. Una cosa per la Francia. E ancora libri con i miei personaggi e storie scritte da me. E spero un po’ di serenità.
E che non mi manchi mai la curiosità e l’autoironia.
Grazie mille per la tua disponibilità, Maurizio, per averci fatto entrare anche solo un pochino nel tuo mondo. È stato un onore, un enorme piacere poterti ospitare. Sperando di poterti incontrare presto, la redazione ti saluta calorosamente.