Ripercorriamo uno degli episodi più controversi nella storia del wrestling: siamo nel 1997 e Bret Hart sta per disputare il suo ultimo incontro con la WWF. Per la prima volta, lo sport-spettacolo diventa una farsa, impregnandosi di cinismo e cattiveria: ecco lo Screwjob di Montreal.
Alla fine degli anni Novanta, nel nostro Paese si riaccende un lumicino sul wrestling grazie al ritorno di un programma tivù su Italia1 (WCW Nitro in forma ridotta) e alle notizie reperibili su qualche sito italiano creato da appassionati hardcore che, muniti di parabola, avevano continuato a seguirlo sui canali stranieri durante il lungo periodo di blackout italiano.
Con il mio model 56k che, durante la connessione, occupava la linea telefonica, ogni tanto cercavo informazioni in rete che, dopo anni di forzata privazione, acquisivo ancora con lo stupore di un bambino. Fra il 1994 e il 1999 erano successe tante cose, molti lottatori della mia infanzia erano passati a una federazione rivale – la World Championship Wrestling – che, da piccolo, non conoscevo, ma ciò che mi aveva più colpito erano tre avvenimenti: nel 1996 Hulk Hogan era diventato un “cattivo”, nel 1999 Owen Hart era addirittura morto tragicamente durante un pay-per-view e, in mezzo, nel 1997, Bret Hart era stato fregato durante il suo ultimo incontro nella World Wrestling Federation.
Sappiamo che le fregature nelle storyline del wrestling sono all’ordine del giorno: tradimenti, inaspettati voltafaccia, trucchetti sono una consuetudine per i giganti del ring. Ma nel caso di Bret Hart l’imbroglio non era stato parte della finzione televisiva. L’incontro in cui aveva perso il titolo a favore di Shawn Michaels, per una volta, non si era concluso secondo i piani. A Montreal, in Canada, Bret era salito sul ring certo di conservare il titolo davanti ai suoi connazionali (per poi magari perderlo la sera dopo, visto che il suo contratto con la WWF stava per scadere) perché questi erano gli accordi presi con il management. Al contrario, però, quella sera la cintura finì alla vita di Michaels. Una colossale violazione del codice non scritto del wrestling, per la quale negli anni seguenti i protagonisti si sarebbero lanciati a più riprese aspre accuse, che passò alla storia come lo “Screwjob di Montreal”.
L’avvenimento, che proprio lo scorso 9 novembre ha celebrato il suo ventitreesimo anniversario, fece talmente scalpore che gli appassionati della disciplina ne parlano ancora oggi. Al riguardo, negli anni si sono scritti libri e girati documentari. L’ultimo in ordine di tempo dovrebbe essere – dico “dovrebbe” perché sull’argomento c’è un tale proliferare di materiale che non si riesce a starci dietro – quello tratto dalla serie Dark Side of the Ring prodotta dal canale televisivo Viceland e andato in onda negli Stati Uniti nel 2019. Ma a Bret Hart, che vi ha pure partecipato con la sua testimonianza, la ricostruzione non è piaciuta affatto.
La storia, a grandi line, è la seguente. In un’epoca in cui la WWF stava subendo la concorrenza della rivale WCW, che la batteva regolarmente negli ascolti e le aveva “rubato” parecchie stelle a suon di milioni, anche a Bret Hart viene fatta una grossa offerta per cambiare casacca. Il lottatore canadese, però, per lealtà nei confronti della federazione di McMahon, che lo aveva reso un wrestler di fama mondiale, decide di rimanere alla WWF accettando una quantità minore di denaro bilanciata, però, da una durata del contratto più lunga di quella propostagli dalla WCW. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi? Neanche per sogno.
Ad un certo punto, visto che i problemi economici della WWF si erano aggravati, Vince McMahon è costretto a comunicare a Bret che, purtroppo, non gli sarebbe stato più possibile onorare il contratto stipulato e che, quindi, l’Hitman sarebbe stato libero di accasarsi alla WCW. Non proprio tutto bene, ma almeno è finita qui, giusto? Non proprio.
Si dà il caso che, in quel momento, Hart fosse il campione in carica della WWF e che la sua relazione off screen con il primo sfidante, Shawn Michaels, non fosse del tutto idilliaca. Diciamo che quello che si vede nelle puntate di Raw di fine 1997 corrisponde più o meno alla realtà dei rapporti che i due hanno nel backstage. Bret è un lottatore molto professionale che vive quasi in simbiosi con il suo personaggio: la sua formazione old school lo porta ad una tale identificazione con il suo lavoro sul ring da non riuscire a scindere – si vociferava ai tempi fra alcuni dei suoi colleghi – la finzione televisiva dalla realtà. Shawn, dal canto suo, è un tipo controverso, disposto a rompere le regole tradizionali per ritagliarsi un posto al sole. Anzi, lui vuole prendersi proprio il posto migliore: punto.
Il passo fra la semplice diversità caratteriale e l’antipatia reciproca è quindi brevissimo. E quello fra l’antipatia e il conflitto aperto è automatico quando i due si ritrovano di fronte in tivù a contendersi la cintura di campione. Basti pensare che il nome della stable formatasi intorno a Shawn Michaels, cioè la leggendaria D-Generation X, prende il nome dalla definizione che lo stesso Hart aveva dato del gruppo (“a bunch of degenerates”, un’accozzaglia di degenerati) durante un promo televisivo.
E dire che, da quanto emerge dalle ricostruzioni degli anni successivi di Bret Hart, pare che all’inizio il canadese avesse approcciato il previsto passaggio del titolo al rivale con la solita professionalità. Bret aveva parlato con Shawn mettendosi a disposizione per una transizione on screen del tutto corrispondente alle regole non scritte di questo sport-spettacolo. In sostanza: se devo perdere, lo farò senza esitare ed in modo che il tuo personaggio ne esca rafforzato agli occhi del pubblico. Il problema, semmai, era stata la risposta ricevuta dall’Heartbreak Kid: grazie ma sappi che io non farei la stessa cosa per te.
Ecco, questo rappresenta esattamente il punto di svolta della vicenda: la molla che fa irrigidire anche un integerrimo professionista – comunque molto orgoglioso – come Hart e manda tutto in malora.
Si arriva alla sera in cui si disputa l’incontro. La cintura di campione è in palio nel main event delle Survivor Series, uno dei quattro show più longevi e importanti della federazione. Nonostante i ripetuti tentativi di McMahon, fino qualche ora prima del pay-per-view, di trovare un accordo per la cessione della corona, Bret si era rifiutato categoricamente di considerare qualsiasi opzione di sconfitta davanti al pubblico di casa. Alla fine, con le parole di Shawn che gli ronzano ancora in testa, il campione si offre comunque di passare il testimone la sera dopo, durante la consueta puntata di Raw.
Il compromesso sembra raggiunto, quindi. Ma il proprietario della WWF non si fida e teme che l’Hitman non rispetti la parola data e lasci la federazione per passare alla concorrenza con ancora la cintura alla vita. Per cui, poco prima di andare in scena, qualcuno (nel documentario di Viceland, i collaboratori di allora, Jim Cornette e Vince Russo, si prendono entrambi il merito della “bella” pensata) gli suggerisce una soluzione fai-da-te: Michaels avrebbe dovuto bloccare Hart nella sua stessa mossa di sottomissione, lo sharpshooter, e a quel punto l’arbitro avrebbe dovuto decretare la vittoria dell’Heartbreak Kid per cedimento dell’avversario.
Insomma una vera e propria congiura. Tutti d’accordo, nonostante alcuni dei protagonisti, successivamente, avrebbero provato a smentire il proprio coinvolgimento.
Inizia il match. Il pubblico è tutto dalla parte dell’eroe nazionale. I due lottatori si esibiscono nei consueti scambi preliminari. In genere il meglio dell’incontro, soprattutto se si tratta del clou della serata, arriva dopo almeno un quarto d’ora d’azione. A Montreal, però, si è già deciso che la pratica sarebbe stata sbrigata velocemente. Solo che uno dei due wrestler sul ring ne è completamente all’oscuro.
Quando sono passati dodici minuti scarsi dall’inizio, si materializza il piano dei congiurati. Shawn Michaels prende le gambe del campione al tappeto, le piega in modo da stringerle in una morsa e applica la mossa tipica del repertorio del rivale. Sembra un passaggio della contesa come un altro. Invece, dopo qualche secondo, l’arbitro Earl Hebner, storico volto della WWF, si precipita a far suonare il gong. L’incontro è finito, Bret ha ceduto.
Ma Bret non ha affatto ceduto e rimane da solo sul ring, come intontito, mentre Shawn viene frettolosamente accompagnato nel backstage dai dirigenti della federazione. Il pubblico fischia, incredulo. Hart si riprende dallo smarrimento, realizza cos’è successo e sputa in faccia a Vince McMahon che è lì a bordo ring. Il resto è storia.
Si dice che lo “Screwjob di Montreal” sia un avvenimento fondamentale per gli annali del wrestling perché, oltre a una clamorosa violazione di quella sorta di codice d’onore dei lottatori, rappresenta la prima volta in cui, in diretta tivù, si spezzò la kayfabe di questo sport-spettacolo, cioè quella “magia” che rendeva credibili agli occhi del pubblico le storie sul ring scritte e programmate a tavolino. Magari questa versione “romantica” non è del tutto corrispondente alla realtà (il pubblico adulto, per esempio, ha da sempre “voluto” credere alle storyline, più che essere stato indotto a farlo). Devo ammettere, però, che quando, cercando notizie in rete con la mia rudimentale connessione a internet, venni a conoscenza di questa vicenda, fu come essere improvvisamente svegliati dal torpore dell’infanzia e rendersi conto di essere diventati già grandi.