Durante l’ARF – Il Festival del Fumetto abbiamo intervistato per voi Barbara Giorgi e Michela Bruno, autrici di The kids are alright, l’opera che si è aggiudicata il Premio Micheluzzi 2024 al Napoli Comicon nella categoria “Nuove strade”. Ecco cosa hanno raccontato ai nostri microfoni sul loro percorso.
Nato dalla loro esperienza personale di artiste, Barbara Giorgi (sceneggiatrice) e Michela Bruno (disegnatrice) si sono aggiudicate il Premio Micheluzzi al Napoli Comicon 2024 con il fumetto The kids are alright, che racconta in modo sincero e senza fronzoli le sfide che il mestiere, inevitabilmente, comporta. Suggerisce, più che raccontare, poiché tra le pagine di questo volumetto in cui caldo e freddo si susseguono, la fatica, gli sforzi, le fregature sono abbozzate e lasciate intuire. Questo, se possibile, aiuta ancora di più nell’immedesimazione quanti provengono da percorsi simili, quale che sia la loro arte.
Barbara Giorgi e Michela Bruno – L’intervista
Il vostro libro ha vinto il Premio Micheluzzi 2024 al Napoli Comicon: era una vittoria che vi aspettavate?
Barbara: Assolutamente no, è stata una sorpresa enorme. Tieni conto che non eravamo presenti al Comicon, per cui la notizia l’abbiamo avuta in differita. Io a momenti svenivo per strada.
Michela: Io ero al lavoro, e c’era lei che mi mandava i messaggi per avvisarmi. Li ho letti dopo due ore e stavo per svenire, perché davvero non ce lo aspettavamo.
Com’è nata questa collaborazione tra voi?
Barbara: È nata perché io volevo tanto fare questo libro. All’inizio l’idea era molto sfocata, sapevo solo che volevo fare un fumetto raccontando dell’esperienza che ho fatto insegnando fumetto ai ragazzini di un campo estivo. Un’esperienza fatta proprio per campare, lo dico con tutta l’onestà che posso, ma che in realtà poi si è rivelata molto importante a livello di crescita personale e a livello psicologico.
Quindi ecco, volevo fare questo libro e ho iniziato a chiedere in giro; tra i miei colleghi di Firenze, una mi ha fatto il nome di Michela perché erano state compagne di classe. E da lì è nata la nostra collaborazione, di cui peraltro sono contentissima perché il suo è esattamente lo stile che cercavo.
Ci siamo trovate subito su tutto, dalla scelta dei personaggi all’uso del colore – nel libro c’è questo alternarsi di blu e arancione – ed è stato davvero molto bello. Già aver fatto questo libro mi ha fatto contenta, ero già contenta così, per cui essere nominate era già un obiettivo raggiunto. Quando mi chiedevano “Pensi he vincerete?” io rispondevo a tutti “A me già questo basta, ho già vinto.” Era già molto più di quanto mi aspettassi, e invece c’è stata questa bellissima sorpresa.
Michela: È stato bello perché ci siamo incontrate, per caso. Quando lei mi ha chiesto di fare questo lavoro, stavo uscendo da un periodo molto buio, e quello mi ha ridato la speranza. Ci siamo ritrovate tanto soprattutto sullo storytelling, perché il libro racconta un po’ di tutti noi che abbiamo avuto momenti del genere. È arrivato al momento giusto. Sono contentissima del premio, ma appena l’ho visto finito e stampato, ero già felicissima.
Parli di un momento buio che, a quanto pare, attraversano molti artisti. Quanto è difficile fare fumetti oggi, in Italia?
Barbara: È difficile, ci vogliono tanta pazienza e tanta tenacia. Quando inizi credi che arrivi tutto subito: non è assolutamente così e questo spesso scoraggia, anche perché le esperienze che si fanno appena usciti dalle scuole a volte non sono fantastiche. Le cose arrivano, ma tutti i giorni devi mettere un semino. In dei momenti sembra di arare un campo arido, ma poi qualcosa cresce. Come nel resto del mondo del lavoro, se non si ha quell’oculatezza iniziale, è molto facile finire in situazioni lavorativamente poco piacevoli e che purtroppo lasciano dei segni.
Nel mio caso è stato così; parlando con Michela, ho scoperto che è stato così anche per lei. Per fortuna, entrambe abbiamo sempre avuto l’autoproduzione a fumetti, che ci ha sempre ridato quella libertà e quella possibilità di fare fumetti e far conoscere la nostra voce. Che questo fumetto sia uscito in autoproduzione per me è un grande traguardo.
Michela: Sono d’accordissimo con Barbara; quando inizi, lo fai con tutto l’entusiasmo del mondo, ma poi capisci che gli ostacoli ci sono e sono tanti. Nessuno ti prepara a questa cosa. È molto difficile superare questi momenti, ma come diceva anche Barbara bisogna insistere e farlo con i propri tempi e i propri ritmi: non è una corsa. La cosa più importante, poi, è che si faccia una cosa che piace: se fai qualcosa che non ti piace a un certo punto diventa pesante a livello emotivo superare le difficoltà che ci sono, soprattutto all’inizio. Puoi anche fare scelte sbagliate, però poi le devi superare. Si fa, poco alla volta, con tanto coraggio, ma si fa.
Vi faccio una domanda spinosa: credete che parte di queste difficoltà siano associate al fatto di essere donne?
Barbara: Io collaboro anche con il Collettivo Moleste, e sarei una bugiarda a dire che non crei impedimenti aggiuntivi. Nel libro, in uno dei dialoghi si dice proprio “Faccio fare il libro a voi, che siete una coppia di autrici, perché siete belle ragazze e venderà bene”. C’è sempre un po’ un pregiudizio, ed è brutto perché ti svilisce, ti porta a chiederti “Sono stata presa in considerazione perché davvero sono brava, o c’è un fine altro?”.
È una cosa che fa molta rabbia, mi fa anche tremare la voce. Spero che l’attività di Moleste e di tutti gli autori e le autrici che portano avanti questo messaggio e che fanno in modo che si parli di transfemminismo anche nei fumetti, contribuisca sempre di più a creare un ambiente paritario.
Michela: Personalmente, già solo guardandomi intorno capisco che le difficoltà ci sono. L’editoria è un mondo al maschile, capita spesso di essere considerate come autrici non per la bravura, ma per altre motivazioni.
Un altro limite può essere quello di associare le autrici solo a determinati generi, come se le donne potessero scrivere solo di alcune tematiche e affrontare solo tematiche “leggere”.
Barbara: Io spero che sia un pregiudizio sempre più superato, soprattutto adesso che ci sono autrici di una bravura impressionante e che si scardinano da qualsiasi genere in cui si cerchi di intrappolarle. Se una persona mi facesse questo commento adesso, mi verrebbe da ridergli in faccia, perché ci sono migliaia di esempi da citare, sia qui che oltre oceano. Una persona che fa un commento del genere non so da quanto non legga un fumetto [ridiamo tutte].
Michela: Ormai le autrici non sono bloccate in un genere; hanno stili differenti, affrontano tematiche differenti, e si spera vadano sempre di più in questa direzione.
Mi dite tre fumetti, storie o romanzi che hanno plasmato voi e la vostra arte?
Barbara: Difficile, cavolo!
Michela: Io potrei già iniziare. Uno dei più importanti per me è stato Persepolis, una delle mie prime graphic novel di quand’ero piccina. Mi ha introdotto nel mondo del fumetto ed è stato tanto di aiuto. Poi Bellezza
Barbara: Lo volevo dire anch’io! [ridono]
Michela: Bellezza perché mi ha cambiata; non so dire nemmeno perché ma mi ha cambiata totalmente, ed è un fumetto che porto nel cuore. Poi ce n’è un’infinità di altri, non saprei quale scegliere… Ti direi Blankets; anche quello mi ha cambiato sia a livello artistico che umano.
Barbara: Allora, io ripeto Bellezza, che è stato il primo che mi è venuto in mente. Tra le altre cose, l’altro giorno l’ho anche regalato dicendo “È bellissimo, lo devi leggere!”. Io poi di Hubert sono innamoratissima, e credo sia stato uno dei migliori sceneggiatori sulla piazza.
L’altro che mi ha proprio cambiata, perché l’ho letto nell’esatto momento in cui ho deciso di fare questo lavoro è stato L’eroe, di David Rubín, che è una rivisitazione molto molto bella del mito di Ercole e parla del linguaggio del fumetto, in un modo molto delicato, ma ne parla tanto, secondo me.
E poi uno che ho letto di recente, che avrei voluto leggere prima di scrivere The kids are alright: ed è Ducks [che avevamo recensito per voi, ndr]. Bellissimo. È bello perché è onesto, è un libro di cuore. E personalmente, coi fumetti è quello che mi sono sempre riproposta di fare.
Chiudo chiedendovi: cosa sperate che arrivi, della vostra storia?
Barbara: Che si ricomincia sempre. Ci sono sempre paura, dolore, l’esperienza brutta: è la vita. Ma quando succede qualcosa di doloroso, il compito di chi scrive o disegna è snodare quel gomitolo di dolore e tradurlo in una storia. Farci qualcosa. La paura di non riuscire e di non essere abbastanza, ma non è mai un valido motivo per fermarsi.
Michela: Anch’io vorrei che trasmettesse della speranza, in qualsiasi ambito. Dalle esperienze brutte si può rinascere. Quest’esperienza c’è servita per andare avanti, e vorrei che alla gente arrivasse questo.
Grazie mille a Barbara Giorgi e Michela Bruno per il loro tempo e la loro disponibilità; auguriamo loro tanti successi, e di avere sempre questo coraggio che le spinge ad andare avanti e snodare quei gomitoli di dolore di fronte ai quali la vita ci pone, di tanto in tanto.