Abbiamo l’onore di scambiare quattro chiacchiere con un grandissimo disegnatore, che con la sua arte ha segnato la storia del fumetto Disney in Italia, ma non solo: i suoi lavori per la Sergio Bonelli Editore e Les Humanoides Associés hanno illuminato la fantasia di milioni di lettori in tutto il mondo.
Signore e signori, diamo un caloroso benvenuto a Corrado Mastantuono sulle nostre pagine!
Ciao Corrado, grazie per essere qui con noi. La tua carriera è stata davvero ricca, sei riuscito a spaziare per moltissimi generi imponendo il tuo magnifico stile ovunque, diventando una vera e propria istituzione del fumetto italiano. Ti andrebbe di ripercorrere gli inizi del tuo lavoro per i nostri lettori?
Uscito dall’Istituto professionale statale per la Cinematografia e la Televisione con la qualifica di Animatore iniziai a lavorare per l’ItalStudio di Italo Burrascano.
Ho passato una decina d’anni a disegnare cartoni animati, e questo ha sicuramente contribuito a formarmi professionalmente, allenare la mano, a darle velocità e padronanza tecnica. L’esperienza del disegno animato contribuisce a sviluppare una manualità eccezionale, se si sopravvive allo sforzo. Eh, eh. Questa esperienza mi ha lasciato in eredità un tratto che ho applicato alle diverse esigenze del fumetto. Le migliaia di ore passate a gestire la tridimensionalità dei personaggi del cartone animato mi ha portato, come chiunque abbia fatto la «gavetta» in questo settore, la capacità di riuscire a costruire personaggi e saperli muovere nello spazio. È con questo bagaglio che mi avvicinai al mondo delle storie disegnate su carta.
Quali sono stati i fumetti fondamentali per la tua formazione, quelli che ti hanno convinto a intraprendere questa professione?
Da piccolo, come molti ragazzi della mia generazione, sono stato rapito dai fumetti e da tutto ciò che aveva a che fare con il disegno. Leggevo senza sosta tutto quello che mi passava per le mani: Geppo, Gianconiglio, Paperinik, Braccio di ferro, Hulk… ma un solo personaggio mi ha fulminato veramente…l’Uomo Ragno!
Pur non essendo mai stato un collezionista, posseggo l’intera serie Corno fino al n.250. Del tessiragnatele collezionavo tutto, strisce giornaliere, gomme da masticare, poster. Arrivai a convincere mia mamma a cucire il suo vestito per il mio pupazzo preferito di allora, Big Jim. Ora, su un altarino, di fronte al tavolo da lavoro, campeggia un disegno originale della striscia quotidiana dell’Uomo Ragno disegnata da John Romita, doveroso tributo per il più accattivante dei disegnatori Marvel.
Da adulto Sono tantissimi gli autori che ho negli anni amato: Scarpa, Cavazzano, Carpi, Jacovitti, Magnus, Franquin, Quino, Nine, Uderzo e Pazienza, Romita, Magnus, Milazzo, Manara, Breccia Senior, Mandrafina, Zaffino, Bernet, Moebius. Allargando il discorso ai miei attuali punti di riferimento possiamo dire che cambiano da stagione a stagione. Dipende da che cosa sto realizzando in quel preciso momento. Perciò attualmente sarebbe meglio parlare di fonti d’ispirazione più che degli inamovibili punti di riferimento. Chiunque riesce con un lavoro, anche con una sola immagine a sorprendere, a emozionare, a far apprezzare la cura della narrazione o dei dettagli, sarà sempre meritevole di essere studiato a fondo.
I personaggi Disney sono quelli con cui cresce ogni bambino. Cosa si prova a disegnare delle vere e proprie icone dell’immaginario mondiale?
Un grande senso di responsabilità. Cerco di esprimermi a seconda dell’interlocutore. Nel caso di Topolino, rifuggo inquadrature di difficile comprensione o prospettive ardite. Il linguaggio deve essere semplice e immediato e caratterizzato da un segno il più possibile rassicurante e divertente con un rimando agli elementi iconografici dei maestri che mi hanno preceduto.
Quando scrivo cerco di tenermi il più lontano possibile dai moralismi retorici e dal buonismo, anche se la morale dei personaggi Disney, compresa quella di Bum Bum, personaggio che più spesso di altri affronto nelle mie sceneggiature, è senz’altro una morale positiva. Non sempre l’equilibrio tra queste due cose è facile da gestire.
Dopo aver disegnato un quantitativo davvero enorme di tavole, a un certo punto della tua carriera hai deciso di tentare la via della sceneggiatura, arrivando quindi a far disegnare ad altri artisti le tue storie. Com’è avvenuto questo passaggio e cosa si prova a passare dal disegno alla parola?
In realtà mi è sempre piaciuto scrivere. Prima di sperimentarla per Topolino, la vena di narratore era già molto “pressante”. Esordii con dei racconti autoconclusivi per la ComicArt già nel lontano 1990, per poi proseguire con un’altra rivista della stessa casa editrice, L’Eternauta con la serie Buzzer & Todavia.
Quando scrivo una storia non la immagino affatto disegnata ma solo in forma letterale. È un piacevole miracolo contemplare le tavole di altri una volta finite. Trovo sempre incredibile la loro interpretazione di quello che ho scritto. Per quanto riguarda la regia il disegnatore ha la massima libertà ma, anche se sono sempre pronto a accettare suggerimenti, sui contenuti ci si deve attenere rigorosamente a quello che richiedo in sceneggiatura, per la buona riuscita della storia. C’è anche da dire che tutti i disegnatori che hanno affrontato una mia sceneggiatura, ancora prima che essere colleghi, sono amici. Il gioco di queste collaborazioni è cominciato con Stefano Intini. La prima esperienza è stata elettrizzante! Sull’onda dell’entusiasmo ho coinvolto maestri del calibro di Cavazzano, Freccero, Faccini. Hanno accettato senza neanche lamentarsi troppo. Io per sdebitarmi ho cercato di creare delle storie su misura per loro. Con Faccini ho sbagliato di due taglie. 🙂
Quanto e come cambia la scrittura della sceneggiatura se devi disegnare tu o un’altra persona?
Quando sceneggio per me divido la storia in vignette e scrivo i dialoghi. Ambienti, recitazione, inquadrature, sono scolpite nella memoria e sarebbe solo una perdita di tempo fissarle su carta. Le sceneggiature destinate ad altri invece sono molto tradizionali: comprendono l’inquadratura, i dialoghi, gli stati d’animo e i movimenti in campo. Tutto quello che serve per fornire una regia che, pur senza essere soffocante, guidi a una narrazione visiva fluida.
C’è chi mi chiede se sceneggio tramite storyboard. Solo scrittura, per carità. Ci mancherebbe solo che mi mettessi a disegnare anche dove è superfluo. Trovo le sceneggiature disegnate fortemente condizionanti. Imbrigliano la fantasia del disegnatore con soluzioni necessariamente sbrigative. Meglio l’astrazione narrativa, risulta essere molto più evocativa.
Esattamente 20 anni fa, nel luglio del 1997, esordiva sulle pagine di Topolino n. 2172 Bum Bum Ghigno, divertentissimo personaggio creato proprio da te in occasione della storia “Paperino e la macchina della conoscenza”. Com’è nato questo personaggio e cosa si prova a far interagire una propria creatura con un “pezzo da 90” come Paperino?
Vorrei precisare che il personaggio di Bum Bum non è nato a tavolino. Non è stato progettato per piacere al lettore tipo, è nato e basta! Con un tassello alla volta ha preso forma, si è evoluto, si è arricchito. Non sapendo quali sviluppi avrebbe avuto, inizialmente non ho preso alcun riferimento. La verità, molto semplicemente: Bum Bum doveva esaurirsi nella storia da te citata dove aveva il ruolo del cattivo che si redime. Il nome fu il risultato di cinque secondi di riflessione. Era un personaggio tra i tanti con un nome qualsiasi. Poi, prima che anch’io me ne rendessi bene conto, era diventato una star. Ma ormai aveva un nome da deficiente.
Mentre alcuni personaggi della commedia disneyana non hanno un’attività fissa, e non si sa nemmeno bene come facciano a guadagnarsi da vivere, Bum Bum fa un mestiere preciso. E non si tratta del giornalista o dell’investigatore… Il fatto di averlo reso imbianchino, o “pittore” come dice lui, lavoratore non di concetto e “proletario” (come si diceva un tempo) ha un significato ben preciso: Bum Bum non ha né la scaltrezza né l’inclinazione per fare il detective o il giornalista. Quello dell’imbianchino è un mestiere duro, certo, soprattutto quando non ti affidano mai un lavoro, ma è l’unica cosa che sa fare e lui, modestie a parte, la sa fare veramente male! In fondo è un’attività libera, senza vincoli, con grandi pause tra un lavoro e l’altro e rende credibili le sue avventure in giro per il mondo. In alcune traduzioni delle sue storie fatte dagli editori del Nord Europa, Bum Bum è stato identificato con un immigrato, di probabile origine est europea, trasferitosi a Paperopoli. In Germania credo lo chiamino Sergei Schlamassi, e Grovfrans in Danimarca. Se proprio dovevano dargli delle origini diverse da quelle paperopolesi, avrei preferito delle origini italiane, ma mi piace l’idea che anche all’estero Bum Bum abbia un ruolo da emarginato.
Abbiamo parlato del tuo doppio impegno in Disney e in Bonelli. Inutile dire che tra le atmosfere di Topolino e quelle di Tex passa davvero un mondo: come riesci a calarti in situazioni così differenti tra loro pur mantenendo un tratto così riconoscibile?
Ho avuto la fortuna di intraprendere la doppia strada quasi in simultanea, iniziando a collaborare con Comic Art e con Disney a distanza di pochi mesi. Altrimenti penso che lo stress e il senso di frustrazione avrebbe avuto la meglio.
In casa Bonelli hai avuto l’occasione di lavorare su molti personaggi (il già citato Tex, Dylan Dog, Nick Raider, MagicoVento), con quale di questi ti sei trovato più a tuo agio?
Tex rimane il mio preferito. Forse, anche grazie alle quasi 1500 tavole realizzate, il suo mondo familiare è facile da tradurre in disegno anche se nutro ancora un rispetto che sfiora la soggezione quando devo definire la sua figura.
Che rapporto hai con i coloristi? Sappiamo che spesso hai curato tu stesso i colori delle copertine di Nick Raider e MagicoVento.
Il mio rapporto con chi si è trovato a colorare le mie storie è ottimo.
Quello del copertinista e del fumettista sono due mestieri vicini ma profondamente diversi. Anche con Magico Vento negli ultimi anni mi limitavo a disegnare le cover essendo già passato a disegnare le tavole a fumetti per la serie regolare di Tex. In questo caso il problema più grande è quello di non conoscere la storia di cui si sta realizzando la cover. Sarà compito della redazione di fornire tracce, spunti e documentazione per mettere a disposizione tutti gli elementi per poter comporre al meglio.
Quando sei al tavolo da disegno ti attieni scrupolosamente alle sceneggiature che ti arrivano oppure cerchi di aggiungere anche qualcosa di tuo?
Generalmente cerco di affrontare la sceneggiatura con rispetto e rigore ma qualche volta può capitare di sentire l’esigenza di intervenire. Per esempio se lo sceneggiatore di turno mi invita a inquadrare una scena dall’alto io posso ritenere opportuno cambiare e scegliere alternative. Sia chiaro però che quando succede lo si fa per migliorare l’estetica della vignetta o la leggibilità dell’azione, non per risparmiare lavoro.
Spesso ci si confronta al telefono e comunque, anche quando mi prendo delle licenze, mi riparo dietro al fatto che, prima del ripasso a china, i disegni verranno approvati dalla redazione in modo da correggere gli interventi non condivisi.
Parlaci un po’ della tua esperienza con il mercato francese: hai trovato molte differenze nella realizzazione del fumetto rispetto all’Italia?
I miei contatti sono stati da subito col direttore della Les Humanoides Associés. Brunò Lecigne è una persona deliziosa che, fin da subito, mi ha lasciato tutta la libertà di cambiare, sostituire, trasformare pagine e vignette a mio piacimento. Man mano che inviavo in visione le tavole, Brunò non ha fatto altro che complimentarsi usando aggettivi esagerati. Certo, ho sentito tutto il peso della responsabilità di realizzare un albo di un genere mai affrontato prima per un mercato straniero dai meccanismi oscuri ma alla fine tutto è andato per il meglio. Silvianne Corgiat, scrittrice di romanzi e sceneggiature per film ma esordiente nei fumetti, è stata molto attenta a distribuire i ritmi giusti a ogni sequenza e ha accolto l’idea che cambiassi qualcosa per rendere tutto più scorrevole con intelligente spirito collaborativo.
Le differenze sostanziali sono nella veste e nei numeri. Il prodotto francese non è da edicola mentre in Italia ,è nella quasi totalità, popolare. In Francia la confezione raffinata e il prezzo più alto obbligano a un prezzo più alto e punti di pareggio più bassi a equilibrare vendite più esigue.
Credo che in Italia funzioni ancora bene il personaggio mentre in Francia quello che fa la differenza è ancora l’autore.
Ultimamente tantissimi disegnatori italiani stanno trovando fortuna negli Stati Uniti: ormai è una piacevole consuetudine vedere all’opera artisti nostrani su albi Marvel o DC Comics. Tu hai mai pensato di cimentarti con i supereroi?
No, non si sono mai create neanche lontanamente le circostanze.
Su cosa stai lavorando ora? Puoi anticiparci qualcosa circa i tuoi progetti futuri?
Una nuova serie della Bonelli: un western che scardina la tradizione con una serie di novità che faranno rimanere a bocca aperta alcuni e scandalizzeranno altri. Una miniserie di sei albi di Michele Masiero con i disegni del sottoscritto e dei grandi Frisenda e Andreucci.
Invece per Topolino una storia che dopo venti anni riprende un vecchio discorso lasciando in sospeso con la storia “Topolino e il fiume del tempo” con la firma degli stessi tre autori. Operazione nostalcomics.
Prima di lasciarti, dobbiamo sottoporti alla domanda che facciamo sempre in chiusura: quali sono i tre fumetti che assolutamente non possono mancare nella tua libreria?
Tex, Topolino e una qualsiasi opera di Moebius.
Grazie mille per la grande disponibilità, Corrado. Per noi è stato davvero un grande onore poterti ospitare su MegaNerd. A presto!
L’onore è tutto mio, un caro saluto a tutti i lettori.
Mr. Kent