In un’intervista dello scorso maggio, l’attore Michael J. Fox ha rivelato come il personaggio di Leonardo DiCaprio nel film di Quentin Tarantino lo abbia spinto a smettere di recitare.
«Ho pensato a ‘C’era una volta a… Hollywood’, alla scena in cui il personaggio di Leonardo DiCaprio non ricorda più le sue battute. Va nel proprio camerino e urla contro la sua immagine riflessa allo specchio. Dannatamente pazzesco. Anch’io ho avuto un momento in cui mi sono guardato allo specchio e mi sono detto ‘Non riesco più a ricordare. Va bene, andiamo avanti.’ Mi ha dato un senso di pace.»
Nella sua non facile carriera, l’attore ha vinto cinque Emmy, quattro Golden Globes, un Grammy, due SAGA, un People’s Choice award, e il premio speciale di GQ Uomo dell’Anno; solo qualche mese fa, lo scorso giugno, ha inoltre ricevuto un premio alla carriera dal Museum of Moving Image.
Mai mancato neppure l’impegno benefico: nel 2000, insieme alla moglie Tracy Pollan (conosciuta sul set di Casa Keaton) ha creato la Michael J. Fox Foundation per la ricerca contro il Parkinson, che da allora ha già raccolto oltre 1.5 miliardi di dollari.
Lo scorso anno, al Sundance è stato presentato un documentario diretto da David Guggenheim che racconta la sua quotidianità fianco a fianco con la malattia, STILL: A Michael J. Fox Movie.
«Ogni giorno diventa più difficile. Non si muore di Parkinson, si muore con il Parkinson. Ho pensato a lungo a quello che comporta, non arriverò a ottant’anni.»
Guggenheim ha però evidenziato come questo non fermi Fox, né lo spinga a fare un dramma della propria situazione:
«Ogni tremore è come una scossa di terremoto, ma non l’ho mai sentito dire ‘Guarda quanto ho sofferto’. Durante la produzione ha passato l’inferno, è stato più tempo al pronto soccorso che a casa. E nonostante questo, non si è mai incazzato né lamentato, sapete? […] Non vuole che si provi pena per lui. Dice che ‘la pena è una forma benigna di abuso’.»
Aggiungere altro sarebbe superfluo, oltre che difficilissimo: le parole mi si incastrano nella tastiera. Penso solo che recupererò il documentario, per celebrare qualcuno che, con il suo hoverboard e quello smanicato così simile a un giubbotto di salvataggio, ha reso la mia vita un po’ più colorata.
Fonte: IndieWire